«Ho visto nascere il contagio»

«Ho visto nascere il contagio» Fiorisce il «mercato della salvezza»: 500 dollari per fuggire dalla città in quarantena «Ho visto nascere il contagio» Un prete: ho assistito il primo malato di Eboia FRA I DANNATI DELLO ZAIRE KIKWIT DAL NOSTRO INVIATO Sono due le religiose italiane contagiate dal virus Eboia. Non c'è ancora la certezza assoluta che suor Rosa e suor Annamaria, delle Poverelle di Bergamo, abbiano contratto la terribile infezione, ma i sintomi sono molto preoccupanti: da parecchi giorni hanno la febbre alta e accusano forti dolori di testa. Ieri pomeriggio campioni del loro sangue sono stati inviati al «Center for Disease Control» di Atlanta, il laboratorio che nel 1976 scoprì il virus dell'epidemia che aveva colpito il villaggio di Yambuku, in Zaire, cui fu dato il nome del fiume che gli scorre accanto: Eboia. Buone notizie, invece, sulla salute delle altre sei religiose, due italiane e quattro zairesi, che lavoravano nell'ospedale di Kikwit ed erano state messe in quarantena, con suor Rosa e suor Annamaria, nel loro convento. Nessuna traccia di contagio: oggi avrebbero dovuto uscire dall'isolamento, ma poiché in questi giorni hanno vissuto a contatto con le consorelle che potrebbero essere infette, i medici dell'Oms hanno deciso di prò- lungare la quarantena. «Purtroppo - dice padre Nicola, vicario episcopale di Kikwit - non è stata una quarantena rigorosa. All'inizio non sono state prese tutte le precauzioni necessarie: suor Rosa e suor Annamaria avevano assistito le quattro consorelle che sono morte e poi sono state isolate con le altre. Perciò potrebbero averle contagiate». Padre Nicola non nasconde la propria preoccupazione per le due religiose: «Hanno una febbre sospetta perché è costante. Non sono state ricoverate nel padiglione 3 dell'ospedale, quello in cui sono trattenuti i casi accertati di Eboia, ma sono isolate in una stanza del convento, sotto costante sorveglianza medica. A Kikwit ci sono i più grandi specialisti del mondo e sicuramente sono curate nel migliore dei modi possibili». Perché i campioni di sangue sono stati inviati soltanto ieri ad Atlanta? Questi controlli non avrebbero dovuto essere più tempestivi? «Non so perché non sono stati fatti subito i test, queste sono decisioni che devono essere prese dagli esperti. A Kikwit non possono essere fatte analisi complete perché manca l'attrezzatura necessaria e questo rallenta le operazioni». Padre Nicola ha vissuto la tragedia di Kikwit fin dall'inizio. «Sono stato io a portare a Kìnshasa i campioni di sangue delle quattro suore italiane, dei medici e degli infermieri che hanno accusato per primi i sintomi del male e li ho spediti ad un laboratorio di analisi dì Anversa, dove i tecnici, dopo i primi controlli, sospettando che potesse trattarsi del virus Eboia, li hanno immediatamente spediti ad Atlanta». Qual è stata l'origine dell'epidemia? «Potrebbero essere diverse, forse il primo ad essere contagiato potrebbe essere stato uno dei tecnici che lavorava nel laboratorio dell'ospedale dove si fanno gli esami del sangue. Ma quasi certamente il portatore del virus Eboia è stato uno degli abitanti di Kikwit, ricoverato in ospedale per una peritonite e sottoposto ad un intervento chirurgico. Tutti quelli che erano presenti all'operazione, il medico, l'anestesista, le quattro suore italiane sono stati contagiati e sono morti». Kinfumu, un uomo di mezza età che ha vissuto a lungo in Angola e che, sembra, era tornato da pochi giorni in un villaggio vicino al confine, sarebbe la causa dell'epidemia. «Verso la metà di aprile era stato ricoverato perché da parecchi giorni soffriva di forti dolori all'addome. I medici avevano diagnosticato una peritonite e avevano deciso di operarlo. Tre giorni dopo sono sopravvenute dtlle complicazioni ed è stato sottoposto ad un nuovo intervento per un'occlusione intestinale. E' stato operato da un'altra équipe medica: il chirurgo, l'anestesista, due infermieri e una suora zairese presenti all'operazione sono stati contagiati e sono morti». Purtroppo è passato molto tempo prima che i sanitari si rendessero conto del pericolo e il contagio si è propagato. «I primi ad ammalarsi sono stati i dipendenti dell'ospedale, poi i loro familiari, i vicini. A loro volta anche i parenti di Kinfumu sono stati contagiati e sono diventati portatori del virus». Secondo Bopenda Bon-Kumu Lony, presidente del comitato sanitario, tutti i casi sospetti sono stati isolati. Secondo le autorità, i morti accertati sono 89,114 i malati ricoverati. «Soltanto la città di Kikwit e il circondario sono in quarantena precisa Bopenda - ma per misura precauzionale il governatore di Kinshasa ha disposto posti di blocco lungo la strada che collega la regione Bandundu alla capitale». Con risultati drammatici: si parla di tremila persone bloccate fra i villaggi di Mongata e Duni, senza cibo e senza acqua. Bopenda sdrammatizza: «Questo forse accadeva nei primi giorni. Adesso vengono fermati solo i casi sospetti». Ma sarebbero migliaia i viaggiatori bloccati lungo la pista. E l'epidemiologo Jean-Jacques Muyembe ha lanciato l'ennesimo allarme: per fuggire da Kikwit basta pagare. Il prezzo è di 550 dollari. Dall'Italia, intanto, sono stati inviati a Kikwit nove «kit» sanitari, ognuno dei quali può curare 10 mila persone per tre mesi. Francesco Fornati A Kikwit le vittime del virus Eboia sono già salite a 89

Persone citate: Padre Nicola

Luoghi citati: Angola, Anversa, Atlanta, Bergamo, Italia, Kikwit, Kinshasa, Zaire