CHIRAC E L'EUROPA TEDESCA di Barbara Spinelli

Andreotti usava la carta intestata di una scuderia CHIRAC E L'EUROPA TEDESCA la parola Altra Politica ricorda molto il termine usato da Mitterrand nell'81, quando il socialismo francese cadde fuori dal sistema ordinato della Comunità Europea, per poi impetuosamente rientrarvi nell'83. | Quella svolta, assai mal spiegata dalla sinistra, fu vissuta come una sconfitta umiliante dall'elettorato di Mitterrand, ed è per questo che Chirac vorrebbe evitarla assolutamente, all'inizio del mandato. Semmai cercherà più ampi margini di manovra alla vigilia delle elezioni legislative del '98, quando si tratterà di conquistare di nuovo una maggioranza parlamentare forte. Nel '98 d'altronde anche i tedeschi voteranno, cercheranno un nuovo cancelliere, e di qui ad allora molte cose potrebbero accadere, in Francia come in Germania. Per quella data Chirac potrebbe aver bisogno di Philippe Séguin, il presidente della Camera che ha fatto vincere Chirac con la forza del suo discorso sull'Altra Politica e sulle fratture sociali, e che tuttavia non è nel governo Juppé. E' come se Chirac avesse rovesciato le date emblematiche dell'europeismo mitterrandiano: prima sembra venire l'età della partecipazione europea e del rigore l'età dell'83 - poi potrebbe venire la prova dell'81 - la prova dell'Altra Politica e delle promesse più ardite. Questo significa che la Francia di Chirac ha bisogno per il momento della Germania, ma che anche la Germania ha bisogno di non essere sola con la propria forza, il proprio predominio. Di divenire una Germania Europea, non di entrare in un'Europa Germanizzata come temeva Thomas Mann. L'ex cancelliere Schmidt sostiene la necessità per il proprio Paese di «autovincolarsi», per evitare che la sua potenza appaia temibile agli occhi di nazioni anticamente nemiche come Francia e Polonia, e lo stesso ragionamento lo spinge a reclamare la moneta unica: senza moneta - così spiega - il marco regnerà con tanta più prepotenza su tutti gli altri. I dirigenti tedeschi non lo dicono apertamente ma anche in casa loro cresce il numero dei riluttanti, dei disappetenti d'Europa. Come alleato della democrazia Cristian;'., il partito liberale svanisce, por proprie ignavie e cecità, e un nuovo interlocutore ecologista cresce, che avrà anch'egli un'Altra Politica da proporre, più attenta all'ambiente, e - in parte - all'occupazione. Forse per questo Kohl ha detto a Chirac che il tempo non è più molto, che nel prossimo millennio le costellazioni politiche potrebbero cambiare: oggi l'Unione Europea può divenire irreversibile; domani l'occasione potrebbe non presentarsi affatto. L'Europa poggia appunto su una dialettica di tipo hegeliano: nulla di più labile, in questi tempi che non son più stabili come durante la guerra fredda, e che non sono propizi alle provvidenze dell'idealismo storico. Nulla può garantire che dalla moneta unica nasca di nuovo una volontà, che dall'economia nasca di nuovo la politica. Finora d'altronde non è mai successo, nella Comunità Europea: il metodo chiamato funzionalista non ha mai funzionato, e questa di oggi è l'ultima scommessa. Da questo punto di vista Chirac l'affronta meglio di Kohl: la moneta è meno forte ma la sua personale vocazione lo porta a dare il primato alla politica, sull'economia. Inoltre egli ha una maggioranza parlamentare più stabile, e più tempo a disposizione del can¬ celliere. Quando l'economia divergerà - e potrebbe divergere per ragioni demografiche, perché la Germania ha meno giovani e dunque meno disoccupazione giovanile - la forza politica del Presidente francese sarà di non poca utilità. Ma la costellazione europea resta fragile, perché Francia e Germania sono quasi sole, nel continente. Sono sole con l'alto concetto che ciascuna ha di sé: con Chirac che sogna di ritrasformare la Francia in «faro del mondo» e il cancelliere che manda a dire, sovrano: «Non dobbiamo svelarlo troppo in pubblico, ma ormai siamo il numero uno in Europa». Sono sole con attorno una periferia di nazioni che non riescono a riagganciarsi, come l'Italia o la Spagna o la Gran Bretagna di Major: nazioni che contano ormai ben poco, e anche quando contano non hanno particolarità da dire. Eppure sono molte le scadenze dei prossimi anni, e per scadenze non si intende solo quelle preparate dai tecnici sulla riforma delle istituzioni europee (conferenza intergovernativa del '96) o sulla moneta unica. Si intende soprattutto le scadenze del dopo-'89, del dopocomunismo: scadenze che le élites europee hanno collettiva¬ mente mancato di osservare in Bosnia, in Europa centro-orientale, e a Sud, verso l'integralismo islamico e l'Algeria. L'Europa non è più quella della guerra fredda: protetta dallo scudo americano, minacciata ma al riparo. E' minacciata da nemici meno prevedibili ma non meno visibili, con la differenza che il suo destino è ormai interamente nelle sue mani. E' questa verità che Kohl e Mitterrand avevano messo tra parentesi, dividendosi sulle guerre balcaniche come sull'allargamento della Cee e della Nato all'Europa orientale: allargamento avversato dai russi ma che Bonn auspica, affinché la Germania non ridiventi la frontiera orientale d'Europa. E' questa parentesi che ha dato alle élites tedesche il senso di essere ormai il numero uno, non controbilanciabile, nei rapporti con l'Europa post-comunista e la Russia. Che ha dato agli italiani la breve, intontita certezza di poter ritagliarsi uno spazio in periferia. Con Chirac forse la parentesi si riaprirà, e la storia un poco ricomincerà. Ricomincerà forse anche, empiricamente, la storia della partecipazione italiana alla riforma d'Europa. Barbara Spinelli