Cissé e la sua Africa un orgoglio al futuro di Lietta Tornabuoni

Cissé e la sua Africa un orgoglio al futuro Cissé e la sua Africa un orgoglio al futuro PAESI LONTANI SENZA ESOTISMO contemplativi. Sarebbe paternalistico e ipocrita non riconoscere «Waati» come quello che è, un'opera pedagogica indirizzata soprattutto agli spettatori neri, speranzosa di risultare utile alla causa africana: e interessante appunto per questo. Qualche mese fa, ad un'asta a Parigi, una stampa rappresentante il ritratto d'un attore firmato Sharaku è stata venduta per un milione e trecentomila franchi: «Sharaku» (L'insolente) di Masahiro Shinoda, giapponese, 64 anni, racconta per ipotesi la vita e la personalità molto misteriose d'un ritrattista vissuto alla fine del Settecento a Tokyo, allora chiamata Edo. Insieme, racconta il perenne conflitto tra artisti o intellettuali e il potere politico: in quel periodo storico l'edonismo e la cultura della capitale venivano avvertiti come una minaccia sociale dalle autorità che moltiplicavano leggi repressive contro gli editori, contro i teatri con i loro attori, la promiscuità dei sessi nei bagni pubblici, i ricchi bordelli raffinati, i romanzi popolari, l'arte erotica e non, gli abiti lussuosi, imponendo la frugalità, impartendo dure punizioni (non l'arresto, a esempio, ma la costrizione a restare ammanettati anche per cinquanta giorni). Insieme, il film racconta quella aspirazione insopprimibile alla libertà di espressione e di vita che unisce la coppia innamorata composta da Sharaku (Hiroyuki Sanada) e dalla bellissima, sofisticata, giovanissima prostituta Hanasato (Riona Hazuki). Altro tema del film è il rapporto sempre battagliero tra l'artista e il suo committente (recitato da Frankie Sakai, al quale si deve pure la concezione d'insieme), tra l'artista e le costrizioni del mercato, tra artista integro e artisti corrivi più facili al compromesso. Le stampe giapponesi hanno avuto in Occidente una loro notorietà ribalda (il luogo comune le indicava come pretesto maschile per attirare donne in casa, «Venga a vedere la mia collezione di stampe giapponesi»): di Sharaku invece si sa pochissimo, neppure il vero nome. Se la sua identità resta un enigma, è misteriosa anche la sua opera: ritratti in grottesco, per nulla idealizzati, di popolari attori del teatro Kabuki, poco più d'un centinaio, eseguiti durante appena dieci mesi tra il 1794 ed il 1795. Nient'altro, salvo le ipotesi avanzate dal film ricco, ben fatto e convenzionale. Il festival offre quest'anno prima delle opere in concorso, come «appetizer», come gioco, come veicolo di memoria della storia del cinema, dei corti «Preludi» ideati dal direttore Gilles Jacob e realizzati anche da suo figlio Laurent Jacob. Sono brevi composizioni di montaggio che organizzano intorno a uno stesso tema rapide citazioni da celebri film del passato: veramente incantevoli, così spiritose, ingegnose e divertenti che ogni televisione normale (e non intossicata, squattrinata o pigra come quella italiana) se li assicurerebbe subito come ideali intermezzi. Sincra si son visti illustrare argomenti quali il direttore d'orchestra (con la geniale partecipazione dei fratelli Marx), il ballo e il latte, con l'elegante uxoricida Cary Grant. CANNES Diane Keaton e Andìe MacDowell qui a destra: Bernardo Bertolucci in alto: Patsy Kensit sotto: una scena di «Waati» DAL NOSTRO INVIATO L'incerto futuro dell'Africa e il passato splendente del Giappone in due film senza esotismo, più storicamente, socialmente o culturalmente interessanti che belli o nuovi, classici: si sa che ai festival, come a teatro, il secondo giorno dello spettacolo è sempre il più spinoso, e perdipiù seguita a piovere. Souleymane Cissé, nato nel Mali, 55 anni, bravo regista sempre presente nelle manifestazioni internazionali in rappresentanza dell'Africa, conclude una sua trilogia con «Waati» (Il tempo), nel quale ha voluto condensare tutto o quasi: il leone simbolico; la persecuzione razzista dei neri e l'ambiguità della Chiesa cattolica in Sudafrica; i riti o le leggende della civiltà africana e la sua cultura espressa anche dalle maschere o dalle danze; l'esortazione rivolta ai giovani perché studino e progrediscano attraverso il sapere così da formare una nuova classe dirigente, la raccomandazione di guardarsi dalla distruttività dell'alcol, della droga, dell'inerzia (e persino del fumare tabacco); la necessità dell'impegno personale soccorrevole; l'invito agli africani a non lasciarsi dividere da differenze etniche ma a restare uniti; i Tuareg azzurri nel deserto percorso da tempeste di sabbia; l'esaltazione del coraggio e della resistenza nera; il forte dubbio che, anche dopo Mandela, in Sudafrica i bianchi nemici non siano molto cambiati. Il film girato in Sudafrica, Costa d'Avorio, Namibia, Mah e alle soglie del Sahara, capace di restituire con ammirevole bellezza il grande paesaggio africano, affida i suoi molti messaggi al viaggio iniziatico di una adolescente sudafricana (Lineo Tsolo) nata sotto l'Apartheid, che fugge nell'Africa occidentale per sottrarsi alla repressione e a una condizione insopportabile, che torna poi maturata al suo Paese; lo stile efficace e toccante alterna dinamicità all'americana nelle sequenze di violenza razzista a ritmi più nobilmente lenti, Il Giappone del 700 rivive in «Sharaku» di Masahiro Shinoda: un ritratto di pittore Lietta Tornabuoni