«Sfidiamo Ebola col rosario» di Gabriele Beccaria

Il contagio ha colpito un'altra missionaria italiana: «Ma noi non abbiamo paura, vogliamo restare» Il contagio ha colpito un'altra missionaria italiana: «Ma noi non abbiamo paura, vogliamo restare» Sfidiamo Eboia col rosario» Fra le suore che assistono i malati REPORTAGE I DANNATI DELLO ZAIRE KINSHASA DAL NOSTRO INVIATO Come soldati in prima linea: al posto del fucile un rosario, il loro coraggio è la fede. Le Suore Poverelle di Bergamo sono state fra le prime vittime del virus maledetto, che terrorizza lo Zaire e il mondo. Quattro, tutte italiane, sono morte a Kikwit e sono state sepolte nel piccolo cimitero sul ciglio della strada che porta all'ospedale, dove hanno contratto il contagio assistendo i malati. Altre otto, quattro nostre connazionali e quattro zairesi, sono isolate in quarantena nel loro convento alla periferia della città. Due sono febbricitanti: i sintomi paurosi di Eboia, il virus che uccide. Secondo fonti dell'Oms, a Ginevra, una quinta religiosa italiana, forse la superiora delle Poverelle, risulterebbe contagiata ed sarebbe ricoverata nell'ospedale di Kikwit. Ho chiesto conferma per radio al responsabile del comitato di crisi della città: «Non abbiamo ancora informazioni al riguardo e non possiamo dire nulla in proposito», è stata la poco rassicurante risposta. . In una villetta nella 12a strada del quartiere di Limete, alla periferia di Kinshasa, c'è la casa provinciale delle Poverelle. Una delle suore italiane è appena tornata dall'aeroporto di Ndole, dove ha ritirato dei medicinali arrivati dall'Italia. Ha il viso tirato, gli occhi arrossati. Nessuna voglia di parlare. «Lasciateci nel nostro dolore, non è il momento. Stiamo piangendo le nostre sorelle morte». Attorno a lei si stringono in un silenzio doloroso alcune suore zairesi. «E' vero che la vostra superiora...». La suora ha un sussulto, mi interrompe con un gesto di rabbia subito trattenuto: «La prego, non insista, rispetti il nostro dolore, non ho niente da dire». Poco lontano, nella 2a strada, c'è la casa della Suore di San Giuseppe di Torino. Suor Eugenia, una religiosa zairese di 32 anni, è morta infettata da Eboia. «Frequentava l'ultimo anno di una "scuola per infermiere e stava facendo pratica all'ospedale di Kikwit», dice suor Silvia Favero, che è in Zaire da 6 anni. «Qui la gente muore per molte cause, ci sono epidemie di ogni genere: malaria, diarrea rossa, febbre tifoidea. Tutte malattie per cui esistono dei medicinali. Ma questo male è sconosciuto, non si può fare nulla per curarlo». Suor Silvia e le consorella zairesi vorrebbero andare a Kikwit per «aiutare i malati. Ci sono cinque consorelle ricoverate in ospedale, potremmo dare una mano, siamo infermiere, una di noi è anche medico, ma le autorità non ci lasciano partire». Non ha paura del contagio? «Siamo qui per aiutare chi soffre. Questa è la nostra missione. Se possiamo salvare una vita non ci tiriamo indietro: qualcuno deve aiutare chi sta male». Nelle 11 case della congregazione sparse nel Paese lavorano 45 suore, 12 sono italiane. «Abbiamo degli orfanotrofi, dei dispensari medici e delle scuole». Prima di uscire passo nella piccola cappella dove le religiose si sono riunite in preghiera. «Possiamo fare qualcosa per voi?» Suor Silvia allarga le braccia in un gesto di rassegnazione: «Soltanto la scienza può aiutar- dere nulla. Secondo le autorità e l'incaricato dell'Oms in Zaire, il dottor Moudi, il contagio sarebbe circoscritto nella regione di Bandundu, nel capoluogo Kikwit e in una quindicina di villaggi. Nessun caso di febbre emorragica di Eboia è stato riscontrato finora al di fuori del cordone sanitario che blocca ogni via d'accesso alla regione. Lungo la strada nazionale che collega Kinshasa a Kikwit sono stati installati cinque posti di blocco militari. I controlli sono rigorosi, tutti ci: pregate con noi perché si trovi un rimedio per questa malattia». Una giovane religiosa zairese, timida e gentile, mi dice quasi in un bisbiglio: «Fate in modo che ci lascino andare a Kikwit, lì c'è bisogno di noi, di infermiere e di medici. Finché rimaniamo a Kinshasa non possiamo far niente». Piccole, fragili e pure tanto coraggiose, un esercito disarmato che non si arrende, che non arretra di fronte al pericolo e, soprattutto, che lavora in silenzio, senza chie¬ altri morti per fame o per disidratazione, bisogna provvedere al più presto per far arrivare viveri ed acqua a questi disperati. Ieri, cinque persone sono morte vicino al villaggio di Mongata, a 150 chilometri dalla capitale, sfinite dalla fame. Lungo la strada è un susseguirsi di scene macabre e terrificanti: donne e bambini incapaci di reggersi in piedi attendono un aiuto improbabile, più realisticamente la morte, sdraiati sotto gli alberi. Chi è ancora in forze cerca di cu COSI1 SI TRASMETTE IL VIRUS Un virus consiste in un involucro di proteine che circonda il materiale genetico. I virus infettano l'ospite ordinando ai meccanismi della a di produrre altri virus. cei NUCLEO Il virus attacca la cellula ospite. L'intero virus può entrare nella cellula o semplicemente iniettarvi il proprio materiale genetico, o genoma. NUOVVIRUS NUOVI VIRUS Ogni nuova copia del genoma ordina alla cellula di costruirgli un involucro proteico. I nuo la chiamata di un ambasciatore americano, dell'Organizzazione mondiale della Sanità o di un centro di ricerca. Sul filo corrono Sos continui, oltre mille l'anno, e una volta ogni dieci l'allarme è tale che - come in queste ore una «task force» del «Cdc» si mobilita e parte per la «zona di contagio». Medici e ricercatori si portano dietro un pacco di milioni di dollari in materiale «high¬ rezza di Juan Carlos» superare gli sbarramenti, avventurandosi sulle piste che attraversano la foresta ma, secondo il racconto fatto da alcuni camionisti diretti a Kikwit, «la maggior parte è destinata a morire perché è impossibile sopravvivere senza bere e senza mangiare in quell'inferno. E poi ci sono serpenti, insetti velenosi». In alcuni casi sono stati gli stessi militari a permettere alla gente di raggiungere i villaggi per procurarsi qualcosa da mangiare. Il virus Eboia uccide e fa paura, MATERIALE GENETICO ESEMPIO DI VIRUS G MATERIALE GENETICO DEL VIRUS e e I genoma virale usa i meccanismi della cellula ospite per replicarsi più e più volte. vi virus escono dalla cellula ospite in grado di infettare altre cellule. In questo processo, sovente la cellula originaria yiene distrutta. tech»: un laboratorio portatile che comprende generatori d'energia e frigoriferi per stivare campioni di sangue, di fegato, di reni. Con le tute, in una valigia, ci sono anche un po' di «body bag», i sacchi a tenuta stagna dove infilare qualche vittima e riportarla a casa per un'analisi approfondita. La procedura è standard, a Kikwit come in ogni altra operazio- Operazione tra Sicilia ma in questo Paese che nasconde nel sottosuolo incredibili ricchezze, la maggior parte degli abitanti non ha i soldi per comperare il pane e si continua a morire ogni giorno per fame. Lungo la strada nazionale, vicino ai posti di blocco, ci sono questi accampamenti miserabili di persone stremate dalla fatica e dalla paura che attendono che si faccia 'qualcosa per loro. Ma è un'attesa che non ha speranza. Francesco Pomari La task-force addestrata ad Atlanta combatte contro le malattie infettive ne. Si va alla ricerca del «caso numero uno», vale a dire la prima persona che ha contratto il virus e, poi, da lì, si disegna la mappa del contagio: uno, due, tre, dieci, cento, mille. E' l'infiorescenza della malattia, il suo progredire e il suo moltiplicarsi. Si prelevano campioni di sangue e di tessuti dagli animali e dalle vittime, si cerca qualche sopravvissuto che abbia prodotto dentro di sé anticorpi nuovi. Anche nel '76 si fece così e oggi, con i dati di allora, siamo un po' meno indifesi. Almeno, si sa chi è il nemico e come si diffonde. Solo adesso Eboia comincia a emergere dal buco nero nel quale ha riposato per un tempo che non riusciamo ancora a calcolare. La strada verso un vaccino è appena abbozzata. Potrebbero volerci anni, potrebbe non essere mai trovato. I «cowboy» del «Cdc» ci provano. A Kikwit, ogni giorno, due volte al giorno, mentre guardano i loro simili morire, si misurano la temperatura. Controllano che Eboia non li abbia toccati. Lui comincia così, con una febbriciattola. Gabriele Beccaria e Piemonte, 8 in cella

Persone citate: Juan Carlos, Silvia Favero, Suor Eugenia, Suor Silvia