Wojtyla: sarà Dio a mandarmi in pensione di Stefano Mancini

Oggi compie 75 anni, ma non ha voluto cerimonie: «Rinnovo la mia disponibilità a servire la Chiesa» Oggi compie 75 anni, ma non ha voluto cerimonie: «Rinnovo la mia disponibilità a servire la Chiesa» Wojtyla: sarà Dio u mandarmi in pensione Giovanni Paolo II smentisce ogni voce di dimissioni CITTA' DEL VATICANO. Ma che dimissioni! Papa Wojtyla resterà sul trono di Pietro «finché Dio vorrà»: lo ha annunciato egli stesso, ieri, alla vigilia del suo 75° compleanno. Un anniversario importante, tanto più importante per un vescovo. Infatti, in base alla legge ecclesiastica, arrivati a questa età i responsabili di una diocesi, o di un incarico in Curia devono rimettere il mandato nelle mani del Pontefice. E dal momento che il nuovo codice di diritto canonico, promulgato da Giovanni Paolo II, non esclude , anzi lascia ben aperta la possibilità che il capo della Chiesa cattolica decida di seguire la strada aperta secoli fa da Celestino V, negli ultimi anni è aleggiata negli ambienti intorno a San Pietro la voce secondo cui Papa Wojtyla avrebbe potuto aggiungere un'estrema novità alle tante scaturite dal suo regno: le dimissioni. Si era persino parlato di un possibile ritiro in un convento di carmelitani (ordine che gli è caro) in Polonia, per proseguire in un ambiente congeniale il suo cammino mistico. Naturalmente gli acciacchi degli ultimi anni hanno indebolito il Pontefice, e hanno rinforzato voci e dicerie; ma ieri Papa Wojtyla è apparso categorico. «Prima di tutto rinnovo davanti a Cristo l'offerta della mia disponibilità a servire la Chiesa quanto a lungo egli vorrà - ha detto ieri all'udienza generale, in una lunga esternazione autobiografica Giovanni Paolo II - abbandonandomi completamente alla sua santa volontà. Lascio a lui la decisione sul come e quando vorrà sollevarmi IL CASO IL «SECOLO» ALL'ATTACCO PAPA rosso, non avrai il mio scalpo. E' con un urlo di battaglia che i cattolici di An finiscono di leccarsi le ferite dopo la batosta elettorale delle amministrative. In fondo a un crescendo di sofferta tensione, ieri, l'esplosione: un corsivo di Luciano Garibaldi sulla prima pagina del Secolo d'Italia. Titolo: «Il cedimento di una parte del clero al comunismo viene da lontano». Antefatto: l'imprevedibile risultato dell'ormai famoso seggio 230 di Padova, interno all'Istituto delle terziarie francescane elisabettine, dove su 120 votanti (in gran parte suore), 112 voti sono andati al candidato pidiessino. Che cosa è accaduto? Il giornale di An se io è chiesto accoratamente, in questi giorni. Un primo tentativo di spiegazione è venuto la settimana scorsa, da un editoriale di Roberto De Mattei: tutta colpa di mons. Giovanni Nervo, già vicepresidente della Caritas, che si sarebbe trasformato in «galoppino elettorale» del pds. Troppo semplice, obietta Garibaldi : la resa «viene da lontano». «Come la scuola, l'uni- REAZIONI LA REPLICA DEI VATICANISTI TUTTA colpa del Vaticano U? Papa Giovanni e Paolo VI sensali dell'innaturale connubio fra cristianesimo e marxismo, padri spirituali dell'abominio cattocomunista? «Giovanni Paolo II sarebbe il primo a sentirsi sgomento» riflette Giuseppe Alberigo davanti alle tesi esposte sul giornale di An da Luciano Garibaldi. Massimo esperto italiano di storia della Chiesa e consulente del Concilio nel gruppo del card. Lercaro, Alberigo si spiega: «Se non ci fossero stati Giovanni XXIII e Paolo VI, mai ci sarebbe stato un Papa polacco. La sua elezione è frutto diretto di quella Ostpolitik iniziata già da un uomo insospettabile come il card. Siri, con il pieno consenso di Pio XII. Fin dagli Anni 50 il problema di superare la frattura con Mosca era aU'ordine del giorno in Vaticano. Quando diventa Papa, Giovanni XXIII avvia una fase ulteriore, con uno scopo ben preciso: ottenere che i vescovi cattolici dell'Est potessero venire a Roma per il Concilio. Niente aperture ideolo- da questo servizio». Più chiaro di così non poteva essere; e comunque l'eventualità di un abbandono era resa meno plausibile dalla raffica di viaggi annunciati, fino all'anno prossimo, e dalla volontà del Pontefice di celebrare il Giubileo di fine millennio. Oggi in Vaticano sarà una giornata come tutte le altre; Giovanni Paolo II non ha voluto che ci fosse nessuna cerimonia particolare, anche se forse suor Germana gli preparerà una «szarlotka», di me¬ le, o una «sernik», a base di formaggio bianco. Ma ieri all'udienza si è festeggiato, eccome. Dalla Polonia, oltre a migliaia di pellegrini, che cantavano «sto lat», «cento anni», è arrivata la Banda dell'Esercito al completo, vescovi e cardinali hanno stretto calorsamente la mano al Pontefice, mentre in piazza erano presenti, provenienti dal Friuli, centoventi «coetanei» (classe 1920) del Pontefice. «Non c'è posto per un Papa emerito» (cioè in pensione), aveva detto un paio di anni fa il Pontefice, e oggi ha ripetuto il concetto, rendendolo ancora più limpido, e facendo capire che per alcune cariche della Chiesa la legge dei 75 anni non ha valore. Un lungo discorso iniziato rendendo grazie a Dio «perché la mia vita e il mio ministero sacerdotale, episcopale e petrino cadono in un momento di svolta epocale per l'Europa, per il mondo e per la Chiesa. Come non ringraziare - ha proseguito oggi per i vent'anni di ministero episcopale nella diletta chiesa di Cracovia? Come non rendere grazie per il dono della partecipazione al Concilio Vaticano II, che tracciò le vie della Chiesa verso il terzo Millennio cristiano? Come non ricordare oggi, con la trepidazione nel cuore, la data del 16 ottobre 1978, quando per il tramite della chiamata del Conclave, udii quella di Cristo: "Pasci i miei agnelli"? Abbraccio col pensiero gli anni di servizio nella sede romana, consapevole delle mie debolezze umane, e allo stesso tempo, con un'enorme fiducia nella grandezza della divina misericordia». Papa Wojtyla ha ricordato i suoi genitori, «scomparsi da tanto tempo», e si è detto «particolarmente obbligato a rendere grazie per il dono della vita terrena, ma ancora più per il dono della vita soprannaturale, grazie alla quale sono diventato figlio adottivo di Dio». Il personale «rendimento di grazie» del Pontefice è proseguito citando «il dono del sacramento del sacerdozio e dell'episcopato e prego incessantemente lo Spirito Santo di aiutarmi a rimanervi fedele fino alla morte». Il programma che attende Giovanni Paolo II nell'immediato è comunque assai fitto: una decina di viaggi nel corso dell'anno, un'enciclica e un paio di documenti già pubblicati, e almeno altrettanti in preparazione, l'atteso incontro di giugno con il Patriarca ortodosso e le vacanze di luglio in Val d'Aosta: un programma niente affatto rinunciatario. Marco Tosarti 13 maggio 1981. Wojtyla in piedi sulla jeep aperta che attraversa piazza San Pietro saluta la lolla. Sono le ore 17,19. Il terrorista turco Mehmet Ali Agca, 23 anni, nascosto tra i fedeli, alza una pistola Browning calibro 9 e comincia a sparare. Il Papa viene raggiunto da tre colpi di pistola. Uno gli entra nell'addome perforandogli l'intestino. Trasportato d'urgenza al Policlinico Gemelli, viene sottoposto a due interventi chirurgici. Sarà dimesso dopo 93 giorni. 27 dicembre 1983. Ancora sofferente per l'attentato di due anni prima, incontra in cella Ali Agca e lo chiama «fratello». Nel colloquio riservato, probabilmente viene a sapere perché ha sparato e chi sono i mandanti, ma non lo rivela. Il terrorista viene condannato all'ergastolo dopo un processo che lascia irrisolti molti interrogativi. 16 lugu01984. Sulle nevi dell'Adamello, si incontrano la massima autorità religiosa e il capo dello Stato, Sandro Pertini. 10 febbraio 1986. Durante il suo viaggio in India, incontra madre Teresa di Calcutta, insignita nel '79 del Nobel per la pace. La bacia sulla fronte e le dice: «Grazie a nome di tutti». 13 aprile 1986. Viene accolto nella sinagoga di Roma dal rabbino capo Elio Toaff. Nella storia della Chiesa cattolica, è il primo papa che mette piede nel tempio degli ebrei, i quali pregano con lui e commentano: «Questa visita rimargina una ferita Madre Teresa Il rabbino capo Elio Toaff vecchia di duemila anni». 30 settembre 1988. Nel documento «Dignità della donna» promuove un autentico femminismo cristiano, ma conferma l'impossibilità del sacerdozio femminile. 12 luglio 1992. Al termine dell'angelus, alla folla rivela che la sera stessa sarà ricoverato al Policlinico Gemelli. Cinque giorni dopo gli vengono asportati un tumore benigno e la colecisti. Comincia una lunga convalescenza che alimenta voci di possibili dimissioni. 30 aprile 1994.1 medici intervengono per ridurgli una frattura al femore che si è procurato scivolando. I tempi di recupero e riabilitazione sono di nuovo molto lunghi. 16 giugno 1994. Dalla Spagna stupisce il mondo dicendo che andrà a Sarajevo. Malgrado la guerra. «La Madonna mi proteggerà», dice Giovanni Paolo II, ma l'Onu lo ammonisce sui gravissimi rischi del pellegrinaggio. Il leader dei serbi Karadzic è più esplicito: «La sua visita è ,. sgradita». Tutto 11 P»pa malato rinviato. 15 marzo 1995. Annuncia il programma del prossimo viaggio: «Entro il 2000 voglio andare a Gerusalemme e ripercorrere in Terrasanta gli itinerari di Abramo, Mose e San Paolo». 30 marzo 1995. Viene presentata la sua ultima enciclica, «Evangelium vitae». Centoventi pagine contro l'omicidio, l'aborto e l'eutanasia, per affermare il valore della vita. Un atto di accusa contro «i potenti della Terra», «la cultura antisolidaristica», «la concezione efficientistica della società», «i falsi profeti». A CURA DI Stefano Mancini