Scoviamo i «portatori di luce» da Rilke a Conrad, a Singer

Scoviamo i «portatori di luce» da Rilke a Conrad, a Singer Scoviamo i «portatori di luce» da Rilke a Conrad, a Singer Il secolo XX dei cristiani, in cui tutto è diventato Occidente (alla lettera: tramonto; figuratamente: razionalità, tecnica, democrazia) sta per finire e la specie umana, diventata parecchi miliardi, oltre che preparare i bagagli perché sfrattata dalla terra che ha insozzato, si alfabetizzerà unicamente per decifrare caterve di sigle e sgattigliare tastiere. Ma, questo, sotto un grandinare di libri contenenti la spiegazione o la narrazione del come un traguardo simile sia stato raggiunto, di libri per consolarsene, di libri per sopportare, segmenti di vita dispersa, una condizione piuttosto spietata. Ceneri e fantasmi, quante volte interrogati, quante volte evocati. Senza 3 decimonono non sembra comprensibile il ventesimo, dunque ad analizzare, a riscoprire, a frugare il decimonono e il suo ottimismo assassino... Il decimonono ci ha forniti di alcuni testi che sono chiavi per capire la prigione in cui ci hanno gettati, il cortile di Newgate in cui giriamo e godiamo la nostra ora d'aria, ma in lingua italiana c'è appena qualche parte profetica dello Zibaldone. Siamo molto più dentro all'oggi e al domani con i canti di Lautréamont e le Illumina- tions di Rimbaud, coi frammenti di giornale intimo di Baudelaire, coi diari di Amiel e il pensiero di Tocqueville. I lettori di Herbert George Wells non siano superficiali: Wells non è un bravo autore fantascientifico, è una miniera di conoscenza del destino e dell'avventura umana. Anche le Memorie del Sottosuolo e il dualismo psichico e metafisico della formidabile storia di Jekyll-Hyde aprono quasi tutte le porte, sapendoli'usare; là non si perde tempo. Se prendiamo per lampada l'energia (e anche l'ipertrofia) visionaria, quella utile - utilizzabile nei labirinti in cui abbiamo finito per perderci - brilla quasi esclusivamente in opere venute fuori a partire dal 1850. Nello stesso momento in cui cominciava, in uno strepitare vittorughiano di ottimismo, a puntare verso parossismi di violenza distruttiva finora sconosciuti (eventi e date di acme ne abbiamo già parecchi) la civiltà bianca fu visitata da uno sciame cherubico di visioni, impregnò di principi elementari di grandi decisive visioni future... Una parte di seme cadde negli studi dei pittori, una parte sui pentagrammi, un'altra si concentro sulla garla, nella salda convinzione che se uno è un Grande fa solo musica Grande, e quando non è bella è sicuramente almeno anticipatrice, o una geniale citazione, o una sintesi di qualche cosa, o un emblema di una certa civiltà, o un prodigio di costruzione formale, o. Una fatica bestiale, pur di non dire: brutta. E invece, a ben pensarci, è una cosa quasi commovente il fatto che sia semplicemente brutta, come risulta evidente, ad esempio, se uno prova a immaginarsi Beethoven, niente di meno che Beethoven, che decide di scrivere qualcosa per il più grande di tutti, Goethe, senza che nemmeno gliela chiedano, in verità, ma lui decide di scriverla e quel che gli riesce, alla fine, è fare qualcosa che sembra un falso Beethoven tanto è puntualmente beethoveniano, una specie di dépliant istituzionale dell'Azienda, tutto ordinato e a posto, tutto senza la minima traccia di Un disegno di John Buckland Wright parola, fino a costituire un corpus tra emerso e sommerso di nuove rivelazioni. In una società quasi interamente desacralizzata, nessuna visione avrebbe potuto assumere forma di libro sacro, di Scrittura, eccetto che in modo paradossale, frammentario, spesso clandestino. Ma ci furono, ci sono tuttora, uomini e donne scelti come portatori di luce dispersa, regioni viventi di martirio a volte, in mezzo allo heart ofdarkness e ai suoi lunghi incessanti gemiti. Tra quelli che lavorarono nella parola, posso ricordare Marina Cvetaeva, Varlam Scialàmov, Vassui Rozanov, Emily Dickinson, Dino Campana, Cristina Campo, Rilke, Antonio Machado, Miguel Hernandez, Samuel Beckett, Conrad, Isaac Singer. Qualcuno, come Celine, portò tenebra e luce insieme, nel suo trabocco visionario: il tempo e l'intelligenza le separeranno. Nel filosofo più rappresentativo, Heidegger, sono tante, pur nella lentezza e nella ripetizione, e ci vuole pazienza nel reperirle, le schegge di luce per fare meno buio, meno funesto il viaggio nel sottosuolo. L'importanza dello stile E' perso chi non avrà incontrato Kafka. A Praga, in casa del commerciante Hermann, nacque davvero un'Arianna, un'Arianna dal filo biblico, o forse un bodhisattva, una specie di Mediatore, che affidò il suo: cifrato messaggio di luce al libro. Montale si disonorò chiamandolo (da sinistra cornacchia». Un futile gioco di parole {kafka = cornacchia). Non era una cornacchia ma un Angelo, un malàkh, un Messaggero. E poi chi dice che il gracchiare della cornacchia sia ignobile? Anche le cornacchie cantano il tasbìh (la lode di Dio). Purtroppo, una sterminata massa di libri fiancheggia semplicemente l'opera di distruzione radicale che va compiendo questa civiltà incurabilmente cancerosa, ne è espressione, staffetta, strumento. Spesso, il meglio degli scaffali non ha che una funzione puramente anestetica, per niente illuminante. Il mondo stampato è un universo stregato, una foresta piena di antichi pericoli. Invece di magnificare, e di vasodilatare, i libri col segno malefico (nessun Indice li potrebbe mai contenere) rattrappiscono e vasocostringono. Producono distrazione e infelicità, inappagamento. Quando manca lo stile, l'assenza di luce è quasi una certezza. E' più difficile azzeccare un libro, nell'ignoto, che un farmaco adeguato. Non si può essere dei visitatori passivi, in un Salone del Libro. Guido Ceronettì genialità, come se lo spettro di Goethe l'avesse bloccato, tipo uno studente all'esame, come se volesse spiegare a quel Grande che anche lui lo era, ma spiegare è una cosa, esserlo è un'altra, e a lui non gli riuscì di esserlo, e questo è commovente almeno un po', e bello da pensare, così come il fatto, testimoniato dalla cronaca, che nemmeno riuscì a consegnare in tempo il suo lavoro, Beethoven; alla prima dell'Eg nont andarono in scena senza la musica, o con la musica di chissachì, quella di Beethoven arrivò in tempo per fare una replica, una sola, l'ultima - è come quando vedi Baresi piangere, o scopri che Martin Luther King tradiva la moglie. Sono cose, quelle sì, che li rendono veramente grandi. E comunque la Storia non è scema. Di quella musica, di fatto, salvò una sola pagina, la prima, l'Ouverture. Il resto, nel dimenticatoio. Alessandro Barìcco

Luoghi citati: Goethe, Praga