Un LIBRO

Mentre si apre l'ottavo Salone di Torino: uno scrittore riflette sul ruolo della lettura nelle nostre giornate Mentre si apre l'ottavo Salone di Torino: uno scrittore riflette sul ruolo della lettura nelle nostre giornate Un LIBRO per uscire dal rumore del mondo STorino si aprono le cateratte del libro 1995. Sei giorni di spettacolo, poi silenzio. Il pensiero dei pensieri è sempre «come fair leggere di più?» per il fine principale che c'è, là, un enorme mercato bramoso di prosperare. Tuttavia la domanda seguita inesorabilmente a scendere rispetto all'offerta. Se non è così, mi si potrà correggere. Ma mi pare che la tendenza a consumare immagini abbia ormai travolto ogni argine. Le librerie si attrezzano di reparti sempre più fitti di orribili, ripugnanti videocassette. Le più raffinate vendono manifesti e cartoline. Ogni tanto c'è un supervenduto, che al massimo tiene un paio di settimane. Fero anche troppo: i supervenduti non sono dei portatori di luce. Eppure è grazie a loro se il mercato non crolla. In una giornata, le ore disoccupate, e anche quelle in cui non è materialmente possibile consumare immagini, sono parecchie. Pensiamo alle attese lunghissime per le visite ambulatoriali. Saranno, ogni giorno, milioni di portatori di urina nel bicchiere che aspettano, con numero preso in portineria, di passare per la stanza faustiana delle Analisi. Non hanno proprio niente da fare e le loro facce sono di preoccupazione e di noia. Vedi mai qualcuno che apra un libro, che ammazzi il tempo che lo sta ammazzando in compagnia di un autore qualsiasi? Le donne parlano di tutte le malattie proprie e dei loro familiari, gli uomini restano ingrugnati e silenziosi. Le ore passano, tocca a quel numero, è mezzogiorno... Usciti di là, c'è un'ora di autobus, ecco un posto, altro tempo da ammazzare: si potrebbe finire addirittura il libro cominciato di primo mattino, invece no, perché ((portarsi dietro un libro» non entra nelle loro teste refrattarie. Analogamente, non vedi leggere nelle corsie e nelle stanze di ospedale. Quando non c'è uno stato di sofferenza o una condizione d'immobilità che rendano impossibile qualsiasi cosa che non siano immobilità e sofferenza, in quelle interminabilissime ore certi libri consentirebbero di uscire dall'ospedale con ali aperte di albatri, dimenticando tutto nel volo. Invece là non legge nessuno. Se per caso volesse questo è tortura - gli sarebbe impedito dalla presenza dei televisori, messi in quei luoghi come uno psicofarmaco uguale per tutti. In un ospedale dove ogni tanto vado per VOLEVO andare a Firenze per vedere e sentire Sergiu Celibidache. Uno dei grandi vecchi che sono rimasti, nel mondo della musica. Direttore d'orchestra, lo dico per chi non è del giro. Tipo strano. Con appiccicata addosso, per anni, la scomoda etichetta di anti-Karajan. Non so cosa ci fosse di vero. So che mentre quello brigava con mass media e tecnologie, esibendo un fiutò niente male per la piega che avrebbe preso il marcatone della cultura, l'altro, Celibidache, tirava dritto per la sua strada, che poi voleva dire poche interviste, poche foto, impegni misurati, nessuna mondanità e, da non crederci, niente dischi. In effetti, a ripensarci, due modi completamente opposti di essere grandi. In rivalità del genere io, d'istinto, sto sempre dalla parte di quello più silenzioso. Per cui stavo con Celibidache. Che era anche una cosa un po' frustrante, perché dischi ce n'era pochi, e lui non era facile incrociarlo. Mentre Karajan te lo visite, un televisore sempre acceso è nella sala d'attesa. Essendo uno che tira fuori un libro ogni volta che ha da attraversare dell'ombra, sono costretto a trasferirmi, in attesa del mio turno, sui gradini di una scala. E' vero, nessuno, o quasi, legge, ma chi volesse farlo, in cento in mille luoghi dove la lettura sarebbe un ritaglio di Eden perduto, si è obbligati a rinunciare perché c'è una Sorveglianza occulta che non è tenera con chi sgarra. L'invasione musicale non propizia certo la lettura. Sarebbe piacevole leggere qualche pagina durante una corsa in taxi ma l'autista, di cui noleggi il mezzo a caro prezzo, mai che ti chieda umanamente se gradisci o no essere preso a martellate da un rock collegato con qualche satellite, in via Arenula o in via Larga, a lui indispensabile. La timida richiesta di togliere di mezzo la musica non è mai accolta: si ottiene, di malavoglia, l'abbassamento di volume, che serve a poco se si ha Antigone nella borsa o, per dimenticare in quale diabolica giungla siamo, la fantastica storia della Grande Morìa dei Dinosauri, l'uni- ca epoca in cui sarebbe stato bello vivere, da giurassici incapaci di uccidere, all'ombra di immense moli di erbivori. Una delle novità meglio decerebrate è quella della musica nelle librerie. C'è da domandarsi se i librai vogliano davvero o no che qualcuno finalmente glieli comperi, quei mucchi di libri, perché il vero lettore, com'è noto da rigorosi sondaggi psichiatrici, è uno che gira, guarda, sfoglia, medita, assaggia due o tre pagine, s'interroga se quel volume gli è proprio necessario per progredire nella Conoscenza. Ed è a questo essere prezioso, che abitualmente non esce senza aver comprato, che la Libreria appioppa un febbrile, micidiale sottofondo di suoni che gli rosicchiano l'attenzione, dissuadendolo dal fermarsi. Nel viaggio in treno In treno c'è io spettacolo delle monadi: due degli importanti sette buchi della loro (chiamiamola ancora così) testa tappati da due neri bottoni con filo ricettano per ore, anche quando saranno sbarcati, musica indicibile: è chiaro che per loro un viaggio non è un'occasione per leggere dialoghi platonici e neppure Stephen King. Da queste monadi esce un brontolio endocranico poco rassicurante. Non voglio pensare al loro futuro di dementi, vorrei soltanto leggere qualcosa, finalmente, unico viaggiatore con libro, su una trentina. Talvolta è bello, si è quasi soli, c'è però una nuca che si agita un po' più avanti e all'improvviso il suo imprevedibile soma emette un suono allarmante, e quel solitario si trasforma in macchina parlante, e monologa come i pazzi, premendosi una scatola nera contro l'orecchio e a voce così alta, gridando addirittura, che il tuo piacere di leggere va in fottitura radicale, devi aspettare che abbia cessato di prendersela con l'invisibile, ma tra qualche minuto ricomincerà. Bisognerebbe'addestrarsi a leggere dentro il rumore: rannicchiati, con una pila, in piena malavita sonora di discoteca o portarsi una sedia pieghevole sotto un semaforo sospeso, in un incrocio dei più furenti e ghigliottinanti, e là rileggere più volte il sermone buddista sul Nirvana o - agghiacciante simmetria - l'Imitazione di Cristo. Bisogna riconoscere che, se si legge po- Sd co, è anche per via di ambiente quasi dappertutto sfavorevole. Noto quest'altro sintomo di malattia: il libro diventato universale, superdiffuso, in incessante crescita di titoli e di scoperte, è offerto a persone soggette a perpetua succussione acustica, perturbate mentalmente da un vivere contrario ad ogni concentrazione, psichicamente sole eppure mai sole, ambientalmente sempre tirate per il pelo, impedite di indugiare in altro da irruzioni continue, come fossimo in mano ad una polizia segreta. Lo strumento che più ha fatto per uccidere la lettura, che l'ha ridotta al rantolo in tutte le case, le tende, le bidonville, si fa promotore di libri, li raccomanda calorosamente, intervista gli autori, li fa sentire (poveretti) i più importanti del secolo, scatena la caccia il giorno dopo al libro esibito tra i seni ((Mussolini il Gigante», «Sesso a Bologna», «Niger affluente del Po», uno più bestseller dell'altro - ed è un po' come se fosse chiamato a raccomandare la dieta senza carne, il presidente dell' Associazione Macellai. Resta incantevole la parola di Kafka, nel sublime racconto «La tana»: ti credi in casa tua, in realtà sei nella loro. BAR U M LO SPETTACOLO DELLA SETTIMANA

Persone citate: Celibidache, Fero, Gigante, Kafka, Karajan, Mussolini, Sergiu Celibidache, Stephen King, Storino

Luoghi citati: Bologna, Firenze, Niger, Torino