Juppé premier Nel governo dodici donne di Enzo Bettiza

Juppé premier Juppé premier Nel governo dodici donne PARIGI. Incarico ad Alain Juppé questa sera, e presentazione del governo domani mattina neppure 24 ore dopo il passaggio di consegne Chirac-Mitterrand. Il neopresidente vuole aprire il suo settennato nel segno del binomio rapidità-efficacia: prima di lasciare Parigi per Strasburgo - giovedì pomeriggio - ove incontrerà Helmut Kohl, desidera che la Francia abbia un esecutivo già al lavoro. Le donne dovrebbero essere almeno 10, forse 12. L'ex ministro degli Esteri Juppé guiderà insomma un governo al femminile. Ma i ruoli chiave resteranno maschili, con tre fedelissimi - Bernard Pons, Louis Debré e Jacques Toubon - a Difesa, Interni e Giustizia. [e. bn.J va la Germania paradossalmente più affidabile, potenzialmente già alleata agli occhi del vincitore totale, di quanto la resa parziale e dubbia della Russia possa rendere questa altrettanto affidabile e alleata agli occhi di un vincitore non militare, ma soltanto ideologico ed economico: quindi un semivincitore diffidente, incerto dei guadagni concreti della propria vittoria, incapace di costruire una reale e convincente politica di recupero dell'ex antagonista semisconfitto. Una strategia di recupero, di riawicinamento, può basarsi solo sul convincimento e la persuasione reciprocamente sentiti e perseguiti dalle parti. Non può poggiare, come invece oggi poggia, sul prolungamento degli equivoci. Lo stesso discorso, simmetricamente inverso, vale naturalmente anche per la Russia. Essa a parole si dichiara riconvertita alla democrazia, rappacificata con l'Occidente, disposta ai negoziati e ai compromessi, decisa a ridurre per necessità se non per irenismo i propri arsenali atomici. Eltsin ha partecipato e certamente parteciperà ancora ai massimi incontri e vertici intemazionali. Ma al tempo stesso, nei fatti, Eltsin e la Russia inciampano sempre più spesso nei percorsi già seguiti durante la guerra fredda dall'Unione Sovietica e addirittura dagli zar durante le guerre calde di un tempo: tende la mano più che la bacchetta verso i serbi, blocca tutte le iniziative per una vera pace in Bosnia, pratica verso i ceceni musulmani la stessa strategia d'aggressione e di sterminio che i serbi perseguono contro i musulmani bosniaci, reagisce maldestramente ai maldestri tentativi occidentali di estendere la Nato ad Est, ricorrendo alla paranoia da accerchiamento e ai veti di sovietica memoria. La pace fredda, che minaccia di destabilizzare ulteriormente un mondo già di per sé ammorbato dai residui impazziti del comunismo, è insomma fatta di doppiezze assai diverse da quelle che una volta caratterizzavano la guerra fredda. Ai tempi di Breznev e di Krusciov la colluttazione senz'armi micidiali era avvolta nell'involucro menzognero dell'ideologia. Ai tempi di Eltsin, la sorda colluttazione senza ideologia appare avvolta nell'ipocrisia liberale del sorriso e della mano tesa. E questa regola ambigua, inquinata da falsi buoni propositi, sembra valere sia per la parte russa che per la parte occidentale: l'una priva di una politica nuova verso il semivincitore, l'altra priva di una politica lineare e preveggente nei confronti del semivinto. LA PACE TROPPO FREDDA Medio Oriente, ci prospettano per chissà quanto tempo un mondo privo di sicurezza stabile e d'ogni umana pietà. Ma l'epicentro della turbativa resta il rapporto non più idillico ma nuovamente teso tra una Russia senza una chiara politica occidentale e un Occidente senza una precisa politica russa. Come la guerra fredda era nient'altro che la continuazione della politica senza l'uso dell'arma nucleare, così la pace fredda, in atto da qualche tempo, è la continuazione della guerra fredda senza l'uso dell'arma ideologica dall'una e dall'altra parte. Il gioco si è fatto insieme più rozzo e più ipocrita. A parole, l'Occidente tratta la Russia come un nuovo membro della comunità democratica internazionale, degno di fiducia e d'aiuto, di accordi bilaterali e multilaterali, di istruzioni per l'uso con cui rimettere in piedi gli istituti della libertà e del mercato al posto della vecchia dittatura e del caos pianificato. Nei fatti, però, l'Occidente in questi cinque anni fatali ha continuato a umiliare la Russia e i russi come una nazione vinta, una nazione divenuta acefala senza la guida del comunismo, che doveva contentarsi dei pessimi aiuti e sbagliati consigli che esso le dava, che doveva accettare senza batter ciglio l'estensione della Nato fino a BrestLitovsk, che quasi senza discutere doveva inviare i suoi soldati in Bosnia e i suoi mediatori diplomatici a Belgrado. Tutto ciò in cambio di che cosa? Di nulla se non, per l'appunto, di belle e buone parole, di inviti a partecipare all'integrazione in un mercato europeo generoso nulla retorica politica, ma nella realtà quotidiana chiuso e refrattario all'acquisto di beni russi. Questa pace fredda, avara e ingannevole, instaurata con la Russia postcomunista, ritenuta la grande sconfitta, se palesata e si sta palesando come l'esatto contrario dui trattamento di favore riservato dall'Occidente alla Germania postnazista nel Quinquennio che andò dal 1945 al 1950. Il Piano Marshall, anche se ne fruirono abbondantemente l'Italia e diversi Paesi europei erosi dalla guerra, fu essenzialmente concepito per rimettere in piedi la Germania dell'anno zero. Quasi simultaneamente la Nato, la Ceca, il Mercato Comune aprirono le porte occidentali alla Repubblica federale di Adenauer e di Ehrhard, già avviala al miracolo per merito e decisione soprattutto degli americani. Si vede che l'annientamento totale rende- Enzo Bettiza