Biondi: il ministro se ne andrà
Biondi: il ministro se ne Biondi: il ministro se ne Bini martedì a Palazzo Madama La sinistra: meno «processi» ai giudici a, leader pds nuove ispezioni. Poi inviando il sottosegretario Guglielmo Negri alla conferenza dei capigruppo del Senato per ribadire che gli ispettori non andranno né a Palermo né a Milano. Infine Dini ha avuto pure un colloquio a tu per tu con Massimo D'Alema, in cui gli ha assicurato di aver convinto Mancuso, con l'aiuto di Scalfaro, a congelare l'ispezione al pool. Sì, il segretario della Quercia, che mantiene la «sgradevole impressione di una prevenzione» del ministro nei confronti della procura di Milano, ha bisogno di essere tranquillizzato. La decisione di presentare la mozione viene invece formalizzata in una riunione dei capigruppo di Camera e Senato della maggioranza e dei loro esperti del settore, alle due e mezzo del pomeriggio. Mancino è in ansia, perché teme che i suoi colleghi vogliano calcare troppo la mano. Ma se sentisse alcune voci dal sen pidiessino fuggite si tranquillizzerebbe. Quella del presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino, per esempio, che dice: «Fosse per me non farei nemmeno il dibattito parlamentare». O quella del migliorista Enrico Morando, . che spiega: «La "rivoluzione" non può durare all'infinito, prima o poi dovremo uscire dall'emergenza giudiziaria». Certo non lo rassicurerebbe il leghista Erminio Boso, che sostiene di «avere in tasca 36 firme leghiste per la mozione di sfiducia»: «Ma ho bloccato tutto - precisa - perché Scalfaro ha chiamato Bossi». La riunione, però, procede liscia come l'olio: Ayala, Senese e altri esperti si occuperanno di stendere materialmente la mozione. «Che sarà abbastanza generica», puntualizza Mancino. Tutto a posto, dunque, secondo le linee tracciate da Scalfaro, che fa grandi elogi di Mancuso, ma ribadisce che la parola spetta al Parlamento? Si direbbe di sì. Nella riunione del Centro sinistra, però, sulla bocca di tutti affiora il medesimo interrogativo: «E se tra una settimana questa mozione è già vecchia, perché il Guardasigilli chissà che altro ha fatto?». ROMA. Martedì prossimo, o mercoledì, al massimo, Lamberto Dini andrà in Senato per chiarire la posizione del governo sulla mozione di indirizzo di politica giudiziaria promossa dal Centro sinistra. E lì, nell'aula di Palazzo Madama, si misurerà tutta l'abilità politica del presidente del Consiglio «tecnico». Di documenti simili, infatti, il Parlamento ne ha votati a iosa, e sono rimasti generalmente lettera morta. Come ammette persino il pidiessino Fabio Mussi: «Io - spiega - sto alla Camera dal '92 e non mi è mai capitato di vedere che una mozione di questo tipo vincolasse effettivamente l'esecutivo». Questa volta, però, la situazione è un po' speciale. E non solo per il polverone suscitato dal «caso Mancuso». No, anche perché nel testo ci sarà un altolà al Guardasigilli sulle ispezioni: non è «opportuno» farle a largo raggio quando c'è un'inchiesta in corso, né reiterarle per la seconda volta. Già la mozione - che in un primo tempo il Centro sinistra era quasi tentato di non presentare, ma che alla fine si farà, così come è stato deciso in una riunione della maggioranza nello studio di Nicola Mancino - verrà costruita in modo tale da ingabbiare il più possibile il ministro. Che farà, allora, Dini? Lascerà solo il Guardasigilli consegnandolo alla sorte che gli profetizza Biondi? Secondo il predecessore di Mancuso, infatti, «il ministro si dimetterà». O piuttosto riuscirà ancora una volta a tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, visto che la mozione si atterrà a temi generici senza entrare nel dettaglio della vicenda? E in questo caso potrebbe allora realizzarsi la previsione del pidiessino Massimo Brutti, il quale dice: «Il ministro è tenace. Non si può escludere che lasci tutto in sospeso per un mese e poi torni alla carica, mozione o no, perché non possiamo mica impedirgli di fare le ispezioni». La parola spetta al premier. E il presidente del Consiglio si è già premurato di lisciare le penne al pds. Prima con una dichiarazione a Repubblica, in cui sottolinea che «allo stato dei fatti» non crede vi siano ragioni per Massimo D'Ale Massimo D'Alema, leader pds Maria Teresa Meli
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