CACUCCI : LA MIA BANDA SUONA IL JAZZ

CACUCCI : LA MIA BANDA SUONA IL JAZZ CACUCCI : LA MIA BANDA SUONA IL JAZZ del destino? Va' a saperlo. Fatto sta che già a due anni mi trasferisco: Chiavari. Mare e idee. Poi, nel '76, Bologna, il Dams: arte, comunicazione e rivoluzione. Anni di caricature hippy, di cretinità esasperata, di disadattamento totale. Già precario per natura, affogo nell'anarchia e mi salvo strappando biglietti all'ippodromo e alle fiere, facendo la raccolta delle patate in campagna e correggendo bozze disumane». E un lavoro fisso? «Per carità. La cosa più vicina al "posto" è stata una cooperativa dove tipi come me tiravano a campare rivedendo bilanci di case editrici e di notai». Poi la febbre messicana. Un attacco improvviso? «No, un fatto del tutto casuale. Un'occasione su una di quelle carrette dell'Aeroflot che solcavano i cieli scommettendo più sulle tariffe stracciate che sulle ali. Ma in venti giorni di una vacanza inattesa scopro un nuovo mondo». Da cambiarle la vita? «A tal punto che, appena tornato, mi vendo la moto per ripartire. E la mia favola incomincia tra i fumi di Città del Messico dove, spezzata la crosta dura, affondi in un crogiuolo di umanità calda e devastante. Uno di quei posti da cui vorresti subito scappare. Ma che, se resisti, diventa improvvisamente il trampolino di mille avventure mentali. Ho Gloria con me, mia moglie. Nessun figlio in programma, ma un camioncino Volkswagen col quale dirigersi a Nord. A San Miguel de Allende». E lì che cosa succede? «"Lì" è una cittadina coloniale di jazzisti e di adepti della salsa. Un'isola a due passi dai deserti e dai canyon, popolata di musicisti americani che, sfiorato lo star system, hanno passato il confine per fondare una sorta di marca di frontiera dove annegare felicità e frustrazioni nel Cuba libre. Niente tequila che è ubriachezza elitaria. Ma Coca e alcool denaturato. O qualsiasi intruglio che bruci dentro. Occhi alcolizzati che compongono e suonano. Ritmo, canto, chitarre, voci. C'è uno, Bob Kaplan, un batterista che è stato un grande di Gato Barbieri, che ha in testa un piano: dieci giorni di bevute smodate e due o tre di clinica dove gli amici lo portano regolarmente quando crolla a terra svenuto». E poi? «C'è Eugenio, un mex che sembra un gringo tanto è alto e biondo. Un gigante che arriva da Nord, da Chihuahua, con la testa sanguinante e le lacrime agli occhi. La sua donna l'ha piantato. E lui urla da giorni il suo dolore pestando col plettro su quattro corde bagnate di pianto. C'è Lobo Wolf, un chitarrista tedesco che fa solo flamenco. C'è Willy, il violinista che sbircia il discografico americano Storia di uno scrittore anarchico da «Puerto Escondido» alla gang Bonnot: Bologna, Messico, cinema, musica, politica e voglia di nascondersi che ogni tanto passa e può portarti la fortuna con un Cd da frontalieri». Fauna affascinante... «Più che fauna una banda. Si sta insieme. Si fanno cose insieme. Si pensa insieme. Si progetta, facciamo riviste, mettiamo su cinque bar, io tengo la barra del bancone, servo, mescolo, procuro fumi perché il genio si scateni in note. Musica e piccola imprenditoria: per sopravvivere. Perché il tempo non finisca subito». Di fila? «No, andando avanti e indietro con l'Italia. Digerendo conoscenze e sensazioni. Agli strimpellatoli si aggiungono gli scrittori: Luis Sepulveda, Paco Taibo II. Imparo ad

Persone citate: Bob Kaplan, Bonnot, Gato Barbieri, Lobo Wolf, Luis Sepulveda, Puerto

Luoghi citati: Bologna, Città Del Messico, Cuba, Italia, Messico, San Miguel De Allende