IL VANGELO SECONDO I NARRATORI

IL VANGELO SECONDO I NARRATORI IL VANGELO SECONDO I NARRATORI I dubbi della fede generano racconti mistero», Raffaele Crovi, nel suo volume Parabola (Piemme, pp. 300, L. 32.000), abbina, pur tenendole separate, l'esegesi e la narrativa. Proponendo diverse pagine di Vangelo, Crovi si esercita non tanto in una meditazione o in una costruzione di significati quanto in una spiegazione del testo, a volte fin troppo didascalica, ma che offre certamente utile abbondanza di nozioni per una comprensione della parola evangelica. Ad ogni pagina di Vangelo spiegata, segue un racconto, che dovrebbe impastare fantasia e sentimento con il commento precedente, ma che spesso richiede un certo sforzo di lettura per riuscire a fare un collegamento. Le «parabole» di Crovi si affiancano a quelle evangeliche, facendo scendere nella realtà contemporanea impensati interventi celesti, come il virus che va a scombinare i computer, immesso da Dio, stanco della concorrenza dell'uomo che vuole creare modelli umani basandosi sui sondaggi di opinione. Denso di domande, di dubbi, di drammatiche richieste di soluzioni, è, invece, Io credo? (Piemme, pp. 222, L. 24.000), di Ferruccio Parazzoli. Qui la narrativa, affidata a ricordi di gioventù e di figure educatrici di sacerdoti, penetra nella meditazione e ne diviene parte integrante. Ma, per la verità, anche la meditazione stessa, a volte, sembra soffrire un poco di esercitazione letteraria, di esibizione culturale. Qualcuno ha detto che non si scrive un libro per risolvere un problema, ma perché si ha un problema. Il problema di Parazzoli è quello della recita del «Credo»: è questo infilare parole e affermazioni che non hanno una connessione immediata con la razionalità. La soluzione di cui va in cerca Pa¬ razzoli, o la pretesa, è di poter credere e, insieme, di poter avere soddisfazioni razionali. La soddisfazione c'è, ad esempio, ed è sentimentale, per quanto riguarda Gesù: questa figura che arriva da lontano, dalle strade dell'infanzia o dei racconti evangelici, viene ad accostarsi a te, e tu l'ammiri e gli «credi» per quello che dice, anche per quello che esige da te... Ma poi, è normale che, per il resto, tu cada nel buio, che ti debba affidare a un atto di fede senza pretendere soddisfazioni razionali. Ecco, questo avviene quando dal fascino di Gesù devi passare al suo essere figlio del Padre, e devi passare al Padre. Ma è inutile che tu ti sforzi di vedere come avviene questo passaggio. Questo è ^enigma», e ti viene detto che può essere sciolto, ma soltanto con un altro «enigma», cioè con un altro «mistero di fede»: è il Padre che fa accadere questo in te, che ti produce dentro questo pensiero, questa convinzione che Gesù è Figlio di Dio. Esclama Pietro: «Tu sei il Figlio del Dio vivente». E Gesù replica: «Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli». Il «credo» funziona così! «State contenti, umana gente, al quia», raccomanderebbe ancora il vecchio Dante. La riflessione di Parazzoli procede drammaticamente, a volte quasi in atteggiamento di ribellione al quadro della fede, come quando entrano in campo i concetti e le immagini di Dio. Poi ci sono sviluppi che vanno, invece, in una direzione tradizionale della dottrina cattolica, come per la «risurrezione della carne». C'è, infine, una impostazione singolare: nel fluire degli interrogativi, fanno costantemente irruzione le affermazioni sicure, granitiche, del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica. Il Catechismo non è fatto di spiegazioni, ma di affermazioni, diluite in trattazioni con intento descrittivo, quindi non produce convincimenti, come quelli di cui va in cerca Paraz zoli. Il confronto, tuttavia, non è duro. Anzi, il Catechismo arriva quasi come una rassicura zione, come un placare l'ansia della ricerca e del dubbio, co me un addolcire il tormentoso pensare dell'autore. «El hombre piensa, y Dios rie» d'uomo pensa, e Dio ride), dice un vecchio proverbio messicano, una sapienza di peones, cui la terra amara ha impresso nell'animo il disin canto della vita, ma anche l'ironia sulla inanità del pensiero dell'uomo sulla terra. Dio ride, ma forse sorride soltanto, della fatica della mente dell'uomo. Alla fine del libro, anche Don Attilio, una delle figure evoca te nei racconti, non più sulla terra, ma ormai scivolato in Dio, «ride». «Ero certo che ridesse di me», conclude Parazzoli, anch'egli forse, ora, sorri dente. Domenico Del Rio