il vangelo secondo i narratori

tuttolihri LA STAMPA Sabato 1.3 Maggio 199~> IGNAZIO di Loyola, nei suoi Esercizi spirituali, dice che la prima «facoltà» da mettere in azione («il primo preludio») è la fantasia, l'«immaginazione», cioè la capacità di «contemplare», di «comporre» una visione. «Nella contemplazione di una realtà sensibile, com'è contemplare Cristo nostro Signore - spiega Ignazio -, la composizione consisterà nel vedere con l'immaginazione il luogo materiale dove si trova quello che voglio contemplare, ad esempio il tempio o un monte dove si trova Gesù Cristo o nostra Signora Maria... Chi contempla afferra subito il vero senso del mistero, poi riflette e ragiona...». Maestri di immaginazione sono, come ognuno sa, i narratori, gli autori di romanzi e di racconti. Stando a quanto propone Sant'Ignazio, dovrebbero essere loro, dunque, i più abili a trasferirsi dal mondo della fantasia a quello dello spirito. E in questi giorni, infatti, quasi contemporaneamente, nella repubblica italiana delle lettere, si sono presentati nelle librerie tre narratori, ognuno con un suo libro, dove sono mescolate narrativa e riflessione spirituale, o meglio la narrativa è di supporto .alla meditazione, come Ignazio di Loyola insegna. Giorgio Calcagno ripubblica il suo Vangelo secondo gli altri (San Paolo, pp. 158, L. 22.000), arricchito di un lungo racconto non apparso nella prima edizione di qualche anno fa. «Haceldama, il campo del vasaio». L'dmmaginazione» di Calcagno va sulle figure dei personaggi che passano rapidi o silenziosi nelle pagine dei Vangeli: il giovane ricco, lo sposo di Cana, il decimo lebbroso, il mercante del Tempio, Simone di Cirene, Giuda... Ognuno prende la parola, ognuno ha le sue ragioni da dire, ognuno dà voce non solo a se stesso, ma anche ai suoi duplicati che incontriamo in ogni stagione storica e in noi stessi, umili, faziosi, docili, falsi, pentiti... Giuda, un po' simbolo di tutti, non riesce a sopportare l'accerchiamento dell'amore che gli viene da Cristo e se ne sottrae per celebrare la propria libertà: per lui, il più grande atto di questa emancipazione è «vendere» Gesù. Ed è su questi trenta denari che si impernia il nuovo racconto «Haceldama»: l'uomo che, con quella somma, per ordine del Sinedrio, deve comprare il campo del vasaio, non riuscirà mai a trovare i confini di quel terreno. Con il peso di quei trenta denari, percorre ancora e sempre la terra e il tempo, perché sono gli uomini di ogni terra e di ogni tempo ad essere riscattati dal prezzo di quel sangue versato sul Golgota. Se Calcagno rimane soltanto dentro la cerchia del racconto, dentro la «contemplazione» di luoghi e di persone, per far sprigionare la riflessione o la penetrazione del «senso del Adelphi ripropone la tesi dì laurea M'mtellettuale goriziano marta suicida nel 1910, una fondamentale operafilosofica del nostro secolo ATORINO CCADEVA, un tempo, che le tesi di laurea entrassero nella storia del pensiero. Di rado, ma succedeva. Nel 1913, ad esempio, uscì per i tipi dell'editore Formiggini La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, l'intellettuale goriziano suicidatosi tre anni prima, il 17 ottobre 1910, con un colpo di rivoltella. La vigilia aveva ultimato le dottissime «Appendici crìtiche» al suo lavoro, adesso proposte in rigorosa veste filologica nella nuova edizione Adelphi del saggio (pp. 391, L. 75.000, a cura di Sergio Campailla). Con chi rievocare Michelstaedter, cresciuto nella «Nizza dell'impero danubiano» (Gorizia, appunto), se non con Claudio Magris, il timoniere di Danubio, dove il filosofo è una specie di guida segreta e nemmeno tanto segreta? Triestino, riconosce in Torino l'altra sua capitale. Qui si è laureato discutendo (relatore Leonello Vincenti) una tesi sul «Mito absburgico nella letteratura austrìaca moderna», lavoro anch'esso patrimonio, sosta obbligata, del nostro Novecento. Qui, magari nel ricordo di una pagina indigena di Calvino («Anche l'ultima città dell'imperfezione ha la sua ora perfetta, l'ora, l'attimo, in cui in ogni città c'è la Città»), ritorna per scoprirsi «persuaso». Persuasione e retorica, dice spesso, sono per lui le categorìe essenziali del vivere e dello scrivere. «Due - spiega Magris - le chiavi che mi hanno introdotto nell'universo di Michelstaedter. La prima è il poeta Biagio Marin. Era solito ricordare una pausa di studio nel cortile del ginnasio di Gorizia. Carlo lo invita a bere alla fontana. Biagio, intimidito, esita. L'amico allora si disseta, quindi lo sollecita "nuovamente ad accostarsi allo zampillo. Un episodio, uno stato d'animo - la felicità di bere, la disponibilità ad attendere il proprio turno che esemplifica il valore supremo di Michelstaedter, la persuasione, da lui definita "il possesso presente della propria vita"». La seconda guida? «E' Ibsen, dominante nella biblioteca del filosofo, come in quella di Slataper e di Lukàcs. Il drammaturgo norvegese è una presenza fondamentale; più volte, nelle discussioni sollecitate in diversi Paesi e specialmente in quelli scandinavi - da Un altro mare (il romanzo di Magris che ha come protagonista Enrico Mreule, l'amico di Michelstaedter, ndr) è le emerso tale elemento. Si comincia appena adesso ad accorgersene su larga scala: è prossima una traduzione tedesca, c'è stato il romanzo La coscienza sensibile di Giorgio Pressburger.si è assistito di recente a una fioritura di studi». Sapeva, Ibsen, che pretendere di vivere è «una megalomania». Una convinzione - coglie Magris - «che inaugura La persuasione e la rettorica, là dove si paragona il non-essere dell'esistenza moderna al precipitare infinito del peso ancorato al gancio. Se cessasse di scendere non sarebbe più un peso, smarrirebbe la sua cifra. Così la vita, attratta nella voragine del poi: la perdiamo, la dissipiamo, la polverizziamo aspettando il futuro (l'esame da sostenere, la malattia da debellare, l'articolo da terminare), ciò che deve sempre venire e, perciò, non è mai. Come per il peso, la nostra vita è mancanza della nostra vita». La persuasione. E la rettorica. «Ovvero - chiarisce Magris - la muraglia che innalziamo e non ci stanchiamo di fortificare per occultare il vuoto, l'abisso». Secondo Michelstaedter, «la camicia di forza» che «contesta di tutte le cose nate dalla vita sociale: i mestieri, il commercio, il diritto, la morale, la convenienza, la scienza, la storia», gli psicofarmaci distillati nei secoli per stordire l'uomo, per distorglielo dalla riflessione sul nulla che è. «Il porto - è il messaggio inascoltato del giovane goriziano - non è dove gli uomini fanno i porti a riparo della loro trepida vita: il porto per chi vuole seriamente la vita è la furia del mare perché egli possa regger diritta e sicura la nave verso la meta». Non a caso è il greco la lingua di Michelstaedter, come dell'a¬ mico Enrico Mreule. «Il greco riflette Magris - è la lingua della persuasione perché è una lingua morta, non compromessa con la rettorica, con il dominio sull'individuo, non può organizzare la politica, può dire esclusivamente l'Essere». I numi greci di Michelstaedter? Parmenide, Eraclito, Empedocle, Socrate («Egli non teme la morte, e non cura il futuro. La sua vita non è un procedere ma un permanere»), non Aristotele (lo considera, osserva Campailla, «l'inizio e il codice della corruzione»), ma il Platone socratico. «Le Appendici critiche - rileva Magris - sono assai importanti perché in esse, come sottolinea bene Campailla, Michelstaedter volge le spalle al Platone della Repubblica. Non poteva condividerne il disegno, la preoccupazione sociale: dare un compito, un ruolo, ai vari membri della comunità. E' il gio- IBOLOGNA L suo nome era: Cacucci Pino. Sembra l'inizio di una di quelle storie etiliche da bar del Giambellino. Ma tra lui e il Cerutti di buona memoria c'è di mezzo Puerto Escondido, una generazione, il '68, e una pianura: quell'abisso padano che divide la Bovisa delle nebbie dalla Bologna della gioia. Per il resto, anche di lui gli amici «dicevan ch'era un Drago». Ma un drago diverso. Un drago che, dalle narici, soffia soltanto fiamme d'anarchia. Anche qui, però: di un'anarchia «così personale da non rientrare in alcun filone conosciuto». In altre parole? «Bakunin non è mio padre. Io sono figlio di Leo Ferrè. Di Sergio Leone. Del Mucchio selvaggio di Peckinpah. Se volete, di Villa e di Zapata. Il mio profeta in patria è Roberto Freak Antoni, il guru degli Skiantos. Un uomo che guardando dall'alto l'Italia ha il coraggio di scrutarti negli occhi e dirti: "Che cosa puoi aspettarti da un Paese che ha la forma di una scarpa?" Lo capisce? Un faro nella notte». Cominciamo dall'inizio, se non le spiace. Pino Cacucci nasce... «Ad Alessandria. Quarant'anni fa. L'otto dicembre, nel giorno del mitico Jim. Morrison, come segno tuttolihri

Luoghi citati: Alessandria, Cirene, Giuda, Gorizia, Italia, Nizza, San Paolo, Torino