CHE BUGIARDI QUESTI FRANCESI

CHE BUGIARDI QUESTI FRANCESI CHE BUGIARDI QUESTI FRANCESI Per loro non conosciamo il romanzo d'amore Giovanni Macchia e (sotto) Cesare Garboli anInna, ssia «ege Macchia getta acqua sul fuoco. L'assenza della Vita Nova non può però lasciarlo indifferente. «Sì ammette - è proprio l'inizio dell'amore, il racconto di un percorso attraverso contrasti e strategie, finzioni e pentimenti». Ricorda, poi, un'altra educazione sentimentale dell'epoca, Il Fiore. Giusto. H poemetto anonimo che qualcuno attribuisce a Dante, benché ricalcato sul Roman de la Rose offre un esempio tutto italiano di «educazione sentimentale» ante litteram. Sfrondati digressioni enciclopediche e didattismo, è tutta un'esaltazione di amore libero e di vita spregiudicata, un'ars amatoria opposta all'ideale cortese. «Tutte le opere del Boccaccio, rappresentando il perfezionamento di un giovane attraverso l'esperienza amorosa, rientrano nel romanzo di formazione)), aggiunge Cesare Segre che non si ferma al Duecento. Cita la Vita di Celimi e quella di Alfieri, oltre al Baldus di Folengo e al capolavoro di Nievo. Quanto alla Vita Nova «è solo una tappa del percorso che attraverso il Convivio, in cui la donna è trasformata in filosofia, approda alla Commedia)). Anche Garboli è dello stesso avviso. «La Commedia è il primo grande romanzo di iniziazione dell'Occidente - esclama tra il sorpreso e il divertito alla notizia della nostra esclusione dal "Magazine littéraire" -. Dante ha ripreso tutto il sapere precedente sia in latino che in volgare creando l'opera europea della cristianità medioevale. Che i francesi lo abbiano ignorato, si capisce: è un romanzo sovrannazionale. E in questo senso li si può perdonare». Ma il «pachiderma», come lo chiama Garboli, paradossalmente sfugge anche a Jacqueline Risset. «I francesi - spiega - ignorano la letteratura italiana. Ma dipende l'assenza di Menzogna e sortilegio, una sorta di «antieducazione che approda alle ombre della mente» anziché a una dimensione storica. Insomma, se per il nostro secolo non c'è che l'imbarazzo di una scelta che arriva ad includere anche quarantenni e giovanissimi, da Orengo di Miramare a Calandri di La via del ritorno, anche per il dopo-Dante gli esempi non mancano. La dimenticanza appare dunque clamorosa. Snobismo o ignoranza? «In effetti, la nostra tradizione del romanzo è fiacca. Nella nostra narrativa, non c'è una vera educazione sentimentale nel senso flaubertiano. Jacopo Ortis è troppo calcato sul modello del Werther, è il resoconto di una disfatta». Giovanni di Calvino, suggeriti da Franco Corderò II Barone Rampante e La giovinezza inventata di Lalla Romano indicati.da Grazia Livi e Cesare Segre che aggiunge II giardino dei Finzi Contini e Dietro laporta di Bassani. D'accordo su Bassani, d'accordissimo su Moravia di cui ricorda oltre ad Agostino, Il viaggio a Roma, Enzo Siciliano sfodera Azorin Mirò di Cancogni e Vent'anni di Corrado Alvaro. «Perché in Francia nessuno ne parla?», dice polemicamente. Elisabetta Rasy, incline a giustificare la rivista «perché il corpus dei romanzi della grande stagione ottocentesca europea non ha un corrispettivo nella nostra letteratura dell'epoca» trova però grave Due immagini tratte da «Sarajevo» (Motta editore), fotografie di Tom Stoppart e lesti di Predrag Matvejevic Snob o ignoranti? Ne discutono mi critici e autori di casa nostra vuole sforzarsi di capire davvero per trovare soluzioni». Dopo mesi di estenuanti discussioni, di inutili minacce, che cosa può fare concretamente l'Occidente per bloccare il massacro? «Innanzitutto abbandonare le categorie razziste accettate meccanicamente dai nazionalsocialisti serbi. Si continua a discutere di etnie. Mentre noi non siamo serbi, croati, musulmani, siamo uomini. Bisogna finalmente accettare l'individuo come principio fondatore della società e della cultura europea, non la nazionalità». Ma è ancora possibile pensare in questa direzione? Non è l'odio etnico che prevale in mezzo a bombe e mitra? «Niente affatto. Il caos, l'odio sono alibi che gli occidentali inventano per mascherare la propria passività. L'esercito bosniaco viene sempre definito come musulmano. E' falso. Vi combattono 20 mila serbi, 7 mila croati, 2 mila ebrei. Il vertice è costituito da un generale serbo, uno croato e uno musulmano. A Sarajevo non c'è una guerra civile, né di religione. E' in atto uno scontro tra il principio della libertà individuale e l'isterìa del collettivismo nazionalista». Inettitudine, passività, indecisione. Questi sono i nemici più tenaci alla pace nella ex Jugoslavia. Ma «Il centro del mondo» con la sua intensità, costringe a riflettere, ci riavvicina all'orrore che si consuma tra le montagne. «Chi vive nel benessere si interessa con fatica alla giustizia, alle tragedie degli altri. Ma i padroni del mondo occidentale sbagliano clamorosamente a disinteressarsi di questa guerra. Dovrebbero intervenire direttamente come fecero gli alleati per sconfiggere Hitler. In Bosnia non è in gioco solo il futuro di una piccola nazione, ma gli stessi principi fondamentali della civiltà europea. Se in Jugoslavia la convivenza tra individui diversi sarà distrutta, l'Europa non potrà mai più essere unita davvero. Sarajevo è come Gerusalemme, un luogo simbolico dove si manifesta l'interezza del mondo. L'Occidente non deve pensare di raggiungere una pace impossibile separando artificialmente ciò che la storia aveva fuso insieme. Altrimenti si aprirebbero le porte alla divisione, all'incomunicabilità». Brano Ventavo! ma, proprio nell'area della triestinità permeata di psicoanalisi, rintraccia le «educazioni» più emblematiche: La coscienza dì Zeno e il trasgressivo Ernesto. L'altra, che non ritiene affatto essenziali al romanzo di formazione le qualità della controparte, alle Lamiel oppone Fosca di Tarchetti, donna tanto seduttiva quanto brutta. «Noi abbiamo le mamme - riconosce Garboli -. Però, marnine, c'è Beatrice che si perpetua come la sacerdotessa della cerimonia d'iniziazione». Ma qual è il giudizio sulla dimenticanza di «Magazine littéraire»? «I francesi si sono occupati di noi come di un Paese del Terzo Mondo, come un'icona del democraticismo francese», accusa Cordelli. «Loro sono colpevoli di grande distrazione - dice Siciliano - ma gli ambasciatori della nostra letteratura di tutto si occupano fuorché di far leggere il nostro romanzo ... I nostri critici non leggono. Di Silvio D'Arzo, Guglielmi doveva accorgersene da giovane non oggi. ... E poi nell'ultimo decennio la letteratura italiana importata in Francia è tutta filtrata dall'ultimo Calvino». Legata cioè al funzionamento delle strutture e alla ((somiglianza con Queneau». Se poi a Stefano Benni, l'unico a segnalare l'ariostesco Orlando, le stilizzazioni in generi non piacciono, perché mutilano «la complessità della letteratura» e permettono giochi in cui «si può far finta di ignorare alcune opere», Capriolo che ha tradotto per Marsilio Le affinità elettive, per quanto trovi ((imperdonabile» l'assenza della Vita Nova giustifica i francesi: «Non mi pare che nella nostra letteratura ci siano romanzi di formazione altrettanto esemplari e che si siano imposti con la stessa forza del Werther o deh'Educazione sentimentale». anche dagli italiani che mettono ai margini quanto c'è di meglio nella loro produzione. E poi, ha ragione Macchia: in Italia, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, non esiste il romanzo come categoria alla quale gli altri generi letterari fanno riferimento». A suo parere, se nella Vita Nova «l'approdo è tutto orientato verso altri beli» e se per il romanzo contemporaneo non si può parlare di formazione ((perché la psicoanalisi ne ha messo a nudo le viscere», la vera educazione sentimentale resta quella ottocentesca con figure femminili forti. «Avete solo la Pisana. Per fare un'educazione sentimentale ci vogliono Ninon de Lanclos, la Sanseverina e Mathilde de la Mole», dice infervorata dubitando che i romanzi mora vi ani siano delle vere «educazioni» e sottolineando che II Barone calviniano è ((rifatto su modelli del Settecento francese». Livi e Capriolo ribattono. La pri¬ Paola Decina Lombardi