che bugiardi questi francesi

tuttoli LA STAMPA Sabato 13 Maggio 1995 «Magazine littéraire» sceglie i grandi classici di educazione sentimentale: ci sono tutti tranne gli italiani MAGAZINE littéraire» dedica un numero doppio a Les éducations sentimentales e nel voluminoso dossier che spazia da Francia a Germania, Inghilterra, Spagna, Stati Uniti e Russia non c'è posto per l'Italia. Che l'«educazione sentimentale», sia un genere non praticato nelle nostre lettere? Che non ci sia davvero nemmeno un esempio glorioso? Se il campo d'indagine si fosse limitato al romanzo ottocentesco, beh, a parte Le confessioni di un italiano non avremmo molto da opporre. Ma visto che si parte da un best seller medievale come il Roman de la rose, sviscerato in tutte le sue allegorie; visto che di questo sottogenere letterario vengono considerati sfaccettature, filoni, approdi e forme", non resta che sobbalzare. La Vita Nova che cos'è? Un poema eroicomico? E Jacopo Ortis, fl, piacere, L'isola di Arturo! La coscienza di Zeno o Senilità, e Una questione privata di Beppe Fenoglio sono forse romanzi che non reggono il confronto con Aurélien di Aragon? A interpellare scrittori e critici di casa nostra, la lista si allunga e, soprattutto per il Novecento, offre un ventaglio assai ampio nel quale - a parte Garboli che indica solo Ruben di Borgese, L'isola di Arturo, e «semmai La disubbidienza di Moravia», o Paola Capriolo che punta decisamente su Morante che invece Corbelli non vuole sopravvalutare a scapito di una Alba De Cespedes - spiccano oltre ai titoli citati, romanzi notissimi in gran parte tradotti in Francia. Come II compagno di Pavese, Uomini e no di Vittorini, Il sentiero dei nidi di ragno LO hanno definito il Primo Levi dei Balcani. E il bosniaco Dzevad Karahasan accetta onorato il paragone con l'amato scrittore. Poi precisa: «Abbiamo in comune un'esperienza di guerra. Ma, grazie a Dio, il dolore che io ho patito è molto, molto più lieve del suo. Come lui, invece, penso che la letteratura debba servire a non dimenticare l'orrore. Levi è per me un modello di scrittura etica». A metà tra memoria e accusa, tra Storia e diario di una carneficina, è «Il centro del mondo», scritto nel '93 durante l'assedio di Sarajevo, che arriva ora in Italia nella traduzione di Nicole Janigro, con un'appassionata introduzione di Slavenka Drakulic (Il Saggiatore, pp. 141, L. 22.000). Un mosaico di sensazioni, di rimembranze colte, di ricette culinarie, di particolari urbanistici, di sofferenza e humour, dedicato alla città che Isa bey Ishakovic fondò nel 1440 in una conca di montagne e che ora le artiglierie serbe si accaniscono per cancellare. Sarajevo è un'isola nel cuore del mondo, cantava il poeta Abdulah Sidran. E non era un'immagine viziata da amor patrio. Davvero in quella città arroccata lungo il fiume Miljacka, il particolare cercava di fondersi con l'universale. Perché ospitava in armonia le tre religioni del Libro e perché in cinque secoli aveva costruito una babele di lingue diverse. Là, le antiche case erano costruite dividendo gli spazi, la zona «maschile» per gli ospiti, per parlare di politica, di affari, delle guerre, delle assurdità del mondo; la zona «fenuninile» per chiudersi e proteggersi, per amare, per mettere al mondo figli. C'erano i quartieri musulmani che fronteggiavano la sobria razionalità degli edifici austroungarici. Oggi, invece, troneggiano ovunque carcasse di cemento. E Karahasan, nel suo diario sentimentale, cerca di fissare tutto ciò che può, per strapparlo alla distruzione, all'oblio, alla indifferenza. La letteratura, per questo sarajlije sfuggito alla vigliacca pedanteria dei cecchini, ha un peso enorme, vero, concreto. «Perché deve restituire all'uomo la responsabilità morale delle proprie azioni». Ma può anche essere più devastante tuttoli » di e i i Attualità .3 LA STAMPA