Il macchiaiolo venuto da Nord

Forlì riscopre Silvestro Lega Forlì riscopre Silvestro Lega Il macchiaiolo venuto da Nord I FORLÌ' N QUEL di Modigliana omaggio patrio, fino al 29 luglio, al romagnolo Silvestro Lega, allievo degli Scolopi, ammiratore e ritrattista del prete garibaldino Giovanni Verità e uno dei capintesta dei Macchiaioli toscani, benché Fattori, scrivendo nel 1884 al ministro Martini sui toscani da inserire nell'istituenda romana Galleria nazionale d'Arte moderna, lasciò nella penna il suo nome. Perché questa preclusione da parte del geniaccio toscano nei confronti del giovane romagnolo, venuto diciasettenne a studiare all'Accademia Fiorentina e trasferitosi in seguito alla scuola purista di Mussini? La questione è complessa e implica antichi vizi critici, forse anche rivalità vent'anni dopo, fra Castiglioncello di casa Martelli e Piagentina di casa Batelli. E' impensabile pensare a una preclusione dei toscani verso l'immigrato - tra l'altro volontario in un battaglione toscano nella prima guerra d'indipendenza -, perché è stata continua, e caratterizzante fin dall'inizio, l'immissione di linfa «nazionale», da Sud e da Nord, nel tronco toscano. La risposta va dunque cercata altrove. La mostra è istruttiva da questo punto di vista perché la presenza viva e vitale di quasi tutto il meglio di Lega in mostra - mancanze sostanziali sono solo il Pergolato di Brera e Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini, assurdamente non recuperato al nostro patrimonio nel 1959 da Christie's a Londra e finito nel Museo di Providence - rende evidente che la preclusione per Lega riguardava sia la «geografia artistica» sia la posizione personale, fra etica e sociale, nel gran dibattito del «vero». In quel dibattito, che per la banda della «macchia» riguarda innanzi tutto l'interazione tra forma, colore e luce (vero è innanzitutto l'occhio, e la reazione dell'occhio), diventa importante la specificità del modello naturale. In ogni stagione la luce e l'aria e l'umor di tena e la bava o la percussione del vento e lo splendore solare riflesso dal mare o il pallore umido del cielo sulla valle dell'Arno offrono all'occhio e alla tavolozza materie, graniture, limpidezze diverse fra la Maremma livornese di Castiglioncello, calcinata dal sole, perentoria nell'intarsio della macchia, e la campagna dolce alla periferia fiorentina, fra orti e muretti a secco, conventini e ville, lungo le acque magre dell'Affrico. A conti fatti, un solo capolavoro in mostra, purtroppo Silvestro Lega, « agliai al sole» giunto a noi decurtato di un quarto della già notevole base di un metro e venti: L'elemosina del 1864 presenta tutta l'ortodossia della macchia nella compatta pannosa stesura monocroma delle vesti da campagna delle tre madame (le Battelli: Lega è un flaubertiano nella scelta di modelli e situazioni). Ma il cielo azzurro pallido e la verzura dietro la striscia luminosa del bordo del muretto sono umidi, ombrosi; e il selciato a lastroni con ciuffettini d'erba - lo stesso dieci anni dopo nella Visita alla balia, lo stesso, più frammentato, nella celebre, cartesiana Visita della Galleria d'Arte Moderna di Roma - anticipa di trent'anni le molecole di luce di un Morbelli o di un Pellizza. La scheda, nel bel catalogo Nuova Alfa a cura di Giuliano Matteucci e Carlo Sisi, ripropone l'usuale discorso dei ritmi figurali dedotti dal '400 toscano, quasi come enorme predella o frontale di cassone: un discorso già proposto, mezzo secolo prima del Gusto dei primitivi di Lionello Venturi, dallo stesso Si; gnorini amico e ammiratore di Lega. Probabilmente Signorini voleva solo sottolineare l'eredità «purista». Questa eredità è il fondamento che rende Lega così incomparabile nel contesto, anche rispetto a Signorini. Ma il purismo del maestro Mussini traspare in lui quando approda a Firenze in casa Bellelli. E c'è anche questo, forse una prova d'incontro, nel capolavoro assoluto, Il canto di uno stornello entrato a Pitti per lascito Marchi da soli 10 anni (la fortuna pubblica postuma è interessante argomento in catalogo). Ancora una volta la scheda richiama, per il precipite tappeto sotto i piedi delle tre donne, il Trecento senese; ma in maniera molto più illuminante sottolinea anche la precognizione dei pavimenti ribaltati nelle scatole sceniche di Casorati. Questo unicum dell'Ottocento italiano, con la gran finestra spalancata su un sogno di paesaggio già quasi simbolico, come un Grubicy, e lo staglio di luce sulle tre donne, ci parla di un'Oltralpe nata dal sogno romantico, ma intrisa di intima realtà quotidiana, il mondo di Caspar David Friedrich. Con tutte le differenze intercorrenti fra un figlio del secolo dei lumi e un contemporaneo di Flaubert e di Turgenev. Che riesce a puntinare in rosa e celeste la veste di calicò di Virginia Batelli al piano in un modo di luce che ricomparirà solo, quindici anni dopo, con Seurat. Marco Rosei ; Silvestro Lega, «Pagliai al sole»

Luoghi citati: Firenze, Forlì, Londra, Modigliana, Providence, Roma