I'incubo Ebola non concede tregua di Daniela Daniele
Bloccato un gruppo di giornalisti stranieri, mentre l'allarme si estende ai Paesi vicini Bloccato un gruppo di giornalisti stranieri, mentre l'allarme si estende ai Paesi vicini I/incubo Eboia non concede tregua Zaire, morta un 'altra suora italiana KINSHASA. La quarta bara ha accolto ieri a Kikwit l'ultima delle suore italiane contagiate dal virus della «morte rossa». Dinarosa Belleri, 59 anni, originaria di Villa Carcina (Brescia), dal 1983 era stata trasferita a Kikwit, dopo aver lavorato in altre città dello Zaire. Assisteva i malati di tubercolosi. La fine è sopraggiunta in poco più di una settimana. Con una terribile agonia. Così era accaduto alle altre religiose della comunità delle Poverelle che avevano prestato assistenza ospedaliera nel centro dove s'è acceso il primo focolaio di Eboia. Si apprendono, intanto, nuovi particolari sull'inizio dell'epidemia. La prima vittima sarebbe stata un operaio infettato in Angola tra marzo e aprile: Kimfumu, 36 anni, si era recato nelle foreste nord-orientali dell'Angola a cercare diamanti. Lo ha riferito un medico zairese del comitato di crisi a Kinshasa. Nella zona, ha precisato il medico, vivono «scimmie che sono generalmente portatrici del virus Eboia ed è probabilmente qui che l'uomo è stato infettato». Ricordiamo che le scimmie sono soltanto uno degli organismi di cui si serve il virus per proliferare, ma non la fonte primaria dell'infezione che è, tuttora, sconosciuta. L'operaio, dunque, tornato a Kikwit il 9 aprile, venne colto da una febbre molto elevata e subito ricoverato in ospedale II virus lo uccise in breve tempo. E cinque, tra medi- ci e infermieri che l'avevano assistito, morirono in pochi giorni. L'allarme avrebbe dovuto scattare allora, invece purtroppo l'episodio fu sottovalutato. Con le conseguenze che sappiamo. Le prime due suore contagiate furono curate, dapprima, per malaria (malattia non contagiosa) e le consorelle che le assistettero hanno fatto, pochi giorni fa, la loro stessa fine. Ora la paura corre alla stessa velocità del virus. Il Sudan, dove nel 1976 Eboia fece una vera e propria strage, soprattutto tra il personale sanitario ospedaliero, è in stato d'allerta generale. Le preoccupazioni maggiori, però, riguardano sempre la capi¬ tale dello Zaire, Kinshasa: quattro milioni di abitanti, ammassati in una metropoli dove le condizioni igieniche sono pessime, dove non si fa distinzione tra acqua potabile e non e dove sarebbe quasi impossibile controllare il diffondersi del contagio. E proprio a Kinshasa, sulla pista dell'aeroporto, militari dello Zaire, mitra in pugno, hanno bloccato un gruppo di giornalisti e operatori televisivi stranieri che tornavano da un reportage a Kikwit. Sono sette francesi, sei britannici, sei statunitensi, due tedeschi, un astraliano e un sudafricano. I consolati stanno ora tentando di risolvere il problema. Ma non si esclude che le autorità sanitarie dello Zaire vogliano imporre agli stranieri la quarantena. A Kikwit, infatti, i giornalisti avevano visitato un ambulatorio dove erano ricoverate persone colpite dal virus e avevano anche fatto alcune riprese del feretro della monaca italiana appena morta. Il governatore della capitale, Bernadin Mungul Diaka, ha assicurato di aver aumentato il numero dei blocchi stradali e di aver ordinato d'intensificare i controlli da parte dell'esercito sulle vie di accesso alla capitale. Però ha ammesso che le disposizioni governative spesso non vengono rispettate, e che numerosi soldati «hanno accettato denaro dalle persone che volevano abbandonare le località colpite e le hanno lasciate andare verso Kinshasa». Continua, intanto, il balletto delle cifre sui decessi. «Eboia ha ucciso finora 64 persone», ha dichiarato ieri il professor JeanJacques Muyembe, il più importante virologo dello Zaire, responsabile della task force di medici che sta lottando contro il virus. E ha aggiunto: «Finora abbiamo avuto un totale di 76 casi: 64 degli ammalati sono già morti». L'Oms ha dichiarato ieri una cifra leggermente più alta, mentre la rete di Internet, nei giorni scorsi, parlava di «centinaia di casi». Daniela Daniele Gran parte dell'assistenza, negli ospedali africani, è affidata alle suore
Persone citate: Belleri
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