DILEMMI DI UN PAPA

8 DILEMMI DI UN PAPA della sua «paternità», non può abbandonare i propri figli e che è suo preciso dovere rimanere al proprio posto di «servo dei servi di Dio». «Un padre», ragionava Guitton, «non può dire ai figli: "Sentite, sono vecchio e mi dimetto dalle funzioni di padre"». «Il papato è uno status, una condizione simile all'esistenza», continuava Io scrittore francese, «come tale non può essere interrotto chicdalia morte». Sulla stessa onda di considerazioni si pose «L'Osseiratore Romano», con un articolo del suo vicedirettore Virgilio Levi, dal titolo esplicito: «Perché il Papa non può dimettersi». Erano ragioni forse più di affetto che di convinzione, o per lo meno non erano grandemente convincenti. Anche un vescovo, in definitiva, è «padre» dei suoi fedeli. A intuire una motivazione mistica era stato, invece, Arturo Carlo Jemolo con un articolo su La Stampa, per l'ottantesimo compleanno di Montini. Jemolo, che aveva visto il Papa sofferente partecipare alla Via Crucis del Colosseo il Venerdì Santo (viene immediata un'analogia con la visione, cui abbiamo assistito quest'anno, di Wojtyla che porta la croce e si trascina zoppicante sul selciato dell'antico anfiteatro romano), trovava la ragione di una mancata rinuncia al pontificato nelle parole che lo stesso Montini avrebbe confidato a un amico: «Si può scendere da un trono, non da una croce». li colle del Vaticano tome un Calvario, il papato come una croce, il Papa come figura della sofferenza umana. Montini, ricordando la sua elezione a Pontefice, scriveva nel suo diario: «Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io governi e salvi la Chiesa dalle presenti difficoltà, ma perché io soffra qualcosa per la Chiesa». Era la consapevolezza della passione connessa al.suo ministero pontificale, l'intuizione di incamminarsi lungo una strada colma di tormenti. E', d'altra parte, una concezione di pontificato espressa più di una volta da Giovanni Paolo 11, che anzi ha allargato il sentire di Paolo VI oltre gli stessi confini ecclesiali: una missione che non è soltanto sofferenza per la Chiesa, ma è partecipazione al gemito di tutti gli uomini. 11 Vicario di Cristo che, come Gesù, presta il suo volto al dolore dell'uomo. E'ciò che è stato al fondo, per esempio, del grande desiderio di Wojtyla di essere in mezzo alla tragedia di Sarajevo. «Il successore di Pietro», ha detto un giorno a Fatima, «si presenta come testimone delle immense sofferenze dell'uomo, come testimone delle minacce che incombono sulle nazioni e sull'umanità». «Non so se arriverò al Duemila», ha detto Wojtyla a Trento conversando con i giovani. Il futuro non è nelle mani di nessuno sulla Terra. Ma è certo che Giovanni Paolo II cammina verso il Duemila, itinerante come il Popolo di Dio nel deserto, appassionatamente in cerca di una terra nuova, di un futuro nuovo. A questo futuro nuovo Montini aveva dato un nome: «Civiltà dell'amore». A questo futuro Wojtyla è teso, con la sua passione e, insieme, con la fatica di trascinare con sé l'umanità fuori da una lunga stagione sto| rica che egli vede segnata da una «cultura della morte». Per la data del Duemila, Giovanni Paolo II sogna di salire sul Sinai, il monte sacro, sulla cui cima Dio era nascosto dentro un roveto ardente, ma Mose aveva avuto occhi per vederlo e si era levato i calzari davanti all'Altissimo. Forse questo salire del Papa sul monte vorrà essere come la sua ultima fatica: quella di convincere un'umanità che sembra avviata a un progressivo distacco da Dio, che c'è sempre un roveto che arde nel mondo e che è necessario scoprire finalmente chi vi è nascosto dentro. Domenico Del Rio

Luoghi citati: Sarajevo, Trento