«Posto fisso, ti dico addio» «varese record dell'occupazione flessibile» di Cesare Martinetti

«Posto fisso, ti dico addio» «Posto fisso, ti dico addio» Varese, record dell'occupazione flessibile VARESE DAL NOSTRO INVIATO Lavoro, lavoro, lavoro. Racconta il sindaco di Varese Raimondo Fassa, uno dei pochi leghisti che messo alla prova ha saputo essere all'altezza dei proclami, che per venire incontro ai cassintegrati s'era inventato i «contratti di collaborazione». Cioè la possibilità di «assumere» in Comune lavoratori sospesi dalla fabbrica, dando loro un posto di lavoro vero e per stipendio la differenza tra l'indennità di cassa (che continuavano a percepire) e quanto previsto dal contratto per il ruolo occupato. E cos'è successo? Che i posti erano sessanta, ma in sei mesi è riuscito a riempirne solo dieci. Eppure da queste parti, dov'è crollata l'industria aeronautica, di cassintegrati ce ne sono finché si vuole. Solo tra il '93 e il '94 si sono persi 3 mila posti di lavoro. Ma il problema è che le tre «1» della religione varesotta (lavoro, lavoro, lavoro) sono osservate ben più che i precetti di fede. Qui si lavora, di giorno, di notte, il sabato, la domenica, per turni, in nero. Si squaderna il vocabolario di inglese per ricorrere alle forme più diverse di quella che si chiama «flessibilità». Ci sono contratti part-time (metà tempo), weekend (16 ore la settimana, solo il sabato e la domenica), job-sharing (un solo posto di lavoro autonomamente suddiviso e gestito da due lavoratori). Ci sono non contratti, specie nelle piccolissime imprese o in quelle artigianali. Dicono al sindacato che molti degli impiegati e dei quadri finiti in cassa integrazione si ingegnano nelle assicurazioni e nella industria della pubblicità. I più qualificati, come i disegnatori prepensionati, continuano a fare a casa i disegni (soprattutto lo «sviluppo di particolari») che facevano in ufficio. I meno qualificati cercano portinerie o sbarcano il lunario in imprese di pulizia. Capita che le aziende abbiano bisogno di assumere e non trovino lavoratori nonostante che teoricamente vi siano disoccupati. «Forse - ci dice il direttore dell'Unione industriale Antonio Colombo - c'è chi preferisce non lavorare o forse non è vero che la disoccupazione abbia le dimensioni indicate dalle statistiche». Ma il sindacalista Zanolla, alla Cgil, precisa che «per dieci che rifiutano un posto, cento lo accettano» e che tutte le aziende hanno liste infinite di aspiranti lavo- ratori. La verità è che qui, come nelle areee forti del miracolo italiano, si fanno le prove per il futuro: immigrati extracomunitari (com'è già adesso) in fonderie e forge, probabile ritorno di immigrazione dal meridione, minore scolarità dovuta alla fine del mito del pezzo di carta, alta flessibilità esistenziale e di lavoro, soprattutto tra i giovani che esprimono la più forte domanda di autogestione della vita. E può capitare (capita) che dicano di no ad offerte di lavoro preferendo le varie forme di precarietà (commessi, camerieri a settimane, giornate, serate, ecc.) piuttosto che la continuità di un lavoro cui, come dice Colombo, «non si erano psicologicamente preparati». In altre parole, al di sotto delle loro aspettative. Il segretario del pds Daniele Marantelli, occhi chiari e fronte alta di chi sa vedere il gioco (era il numero 10 nella giovanile del Varese calcio insieme a Claudio Gentile) dice che bisogna guardare lungo e prepararsi ad un'idea di vita in cui, come negli Usa, si può cambiare posto e modo di lavoro anche quindici volte: «Non saremo certo noi della sinistra a chiuderci rispetto alla domanda di maggiore individualità». Dopo di che, aggiunge Marantelli, bisogna anche considerare che il 50 per cento dei posti offerti sono o part-time, o a tempo determinato o di formazione professionale. Si può capire che un lavoratore cassintegrato o in «mobilità» non rinunci alla certezza del suo status. Ma si capisce meglio se si tiene conto che la quasi totalità dei cassintegrati ha un lavoro, piccolo o grande, ricco o povero e che dunque il suo reddito già si compone di almeno due voci. Colombo sentenzia che qui «un numero elevatissimo degli iscritti nelle liste di mobilità sono in realtà soggetti non più interessati al reinserimento nel mondo produttivo». La svalutazione della lira ha spinto l'economia della zona in una situazione che la Prealpina chiama di «crescita continua»: hanno assunto lavoratori i grandi e i piccoli. I due colossi, la fiTicino (interruttori) e la Whirlpool (elettrodomestici) hanno preso centinaia di persone con contratti a termine: 3, 6,12 mesi. E anche con i «week-end», 16 ore settimanali, salario di 700 mila al mese invece di un milione e 7800 mila. Volevano ragazzi scolarizzati, periti, anche al primo impiego. Li hanno trovati. Hanno difficoltà a trovare lavoratori, dicono alla Cgil, aziende medio-piccole, dove il salario è minimo, la nocività incontrollata, i ritmi di lavoro intensi. Un universo vasto e composito, in provincia di Varese, settori piccoli elettrodomestici e antifurti. Il modello di lavoro lì è ad orario flessibilissimo: due, tre settimane in azienda, 10-12 ore al giorno e poi stop. A casa per altre due, tre settimane fino a quando non arriva un'altra commessa o c'è un'altra fiammata di mercato. Nel frattempo disoccupazione ordinaria e lavori precari. I lavoratori richiesti sono giovanissimi, 15-16 anni, o donne e scolarità nulla. Molti accettano; altri dopo la prima esperienza non tornano; altri dicono proprio di no. Fino a poco tempo fa (come accadeva e accade tra gli artigiani) i giovani portavano a casa solo il 50-60 per cento del minimo di stipendio: che non tutti accettino è comprensibile. Dalle parti di Gallarate, nel tessile, avevano anche arruolato e stipato in garage gruppi di cinesi per sostenere i ritmi che gli italiani rifiutano. Ma per ora il settore dei piccoli elettrodomestici (immaginabile come una grande piramide con 56 aziende di marchio; un centinaio di altre con 20 dipendenti al massimo; un'enorme e inestimabile base di «cantinari» con moglie, figli e nonni), resiste, tra alti e bassi. Nella stessa situazione gli altri infiniti settori del Varesino: bilance, attrezzature per bagni, galvanica, oreficeria, ecc. La paura è ora che l'effetto svalutazione finisca. I primi segni ci sono già; le esportazioni tirano, ma le materie prime si comprano all'estero e i prezzi sono cresciuti almeno del 15 per cento. Che succederà? Il sindaco Fassa, dietro gli occhialetti da ufficiale austroungarico, dice che bisogna prepararsi a cambiare mentalità: «Nel futuro, il "posto fisso" sarà un caso eccezionale e non la normalità com'era fino a poco tempo fa». Essendo parlamentare a Strasburgo Fassa sente sul collo il fiato europeo e profetizza: «I posti di lavoro saranno sempre di meno e quindi è logico che siano i surplus di profitto ad alimentare la sussistenza di chi il lavoro non l'ha». Capita già così, si pensi alle pensioni, che anche qui costituiscono una quota importante del reddito collettivo famigliare: «E' la famiglia - conclude Fassa - che dalle nostre parti ammortizza i problemi e moltiplica i guadagni». Il professor Francesco Silva, dal suo osservatorio economico dell'università di Castellanza, conferma la particolarità del modello varesino: «Mi dicono che in Emilia, per esempio, i figli e i nipoti dei fondatori delle aziende, vendono le imprese e si comprano le Ferrari. Qui non accade, si aggiustano, si riciclano, magari in conflitto gli uni con gli altri, ma si reinventano sempre qualcosa di nuovo». Come fanno? «Lavorano». Cesare Martinetti Grande successo dei contratti part-time e dei turni sabato-domenica II sindaco «Molti disoccupati preferiscono restare a casa» «Facciamo come in Usa: cambiare spesso azienda» LE NUÒVE FRONTIERE DEL LAVORO 'jL Ip» j{ I leghista Raimondo Fassa, sindaco di Varese