«Filippo, ministro-roccia che spiazza il governo» di Augusto Minzolini

«Filippo, ministro-roccia che «Filippo, ministro-roccia che UNA ANOMALIA NELL'ESECUTIVO -oqoiq sjj^Mi ai li .tv: :,::.-..;;;«oa §•*'. ROMA WftièìvzO al Transatlàntico di Montecitorio, Ernesto Stajano, ex-membro del Csm approdato in Parlamento, racconta ih un crocchio di parlamentari e giornalisti chi è Filippo Mancwso, il ministro della giustizia che da «grande sacerdote» delle regole ha messo a soqquadro il *yuJ. di Mani Pulite» e si prepara ora ad ingaggiare un braccio di ferro con le procure più importanti, a cominciare da quella di Palermo. «Lui comincia - è un buon amico di Dini e un ottimo amico di Scalfaro. Non ci dimentichiamo che ha presieduto la commissione interna al Viminale sui fondi neri del Sisde che ha assolto Scalfaro. Che vuol dire? Eh, che vuol dire... Certo Gifuni lo ha chiamato l'altro giorno con una certa irritazione rimproverandogli di aver messo al corrente prima Dini e poi Scalfaro dell'azione disciplinare contro il pool: "L'amicizia è un conto, ma la correttezza istituzionale viene prima". Ma questo non significa niente, anche perchè Mancuso è un duro e lo ha dimostrato quando guidò in Csm l'operazione per far fuori Sica, quella che noi magistrati chiamammo "l'operazione gatto nero". Eppoi un uomo che ha quattro by-pass e che ha rischiato di' morire a dicembre, non ha niente da perdere». Stajano si guarda intorno, riprende fiato e va avanti: «Lui è un personaggio che ha una concezione ottocentesca della giustizia. E' uno che dice: "A me non importa niente se quel magistrato ha salvato l'Italia, sarà pure una bella cosa, ma questa virgola è fuori posto". Adesso Arlacchi ha tirato! fuori i rapporti tra lui e il giudice Carnevale... Ma su! Date retta a me quei due erano incompatibili, anche perchè Carnevale diceva di Mancuso che era "un fesso". Adesso, però, il ministro deve mandare giù qualcuno anche a Palermo, non può fermarsi. Molti degli esposti di Milano non avranno seguito. La storia della cassetta registrata contro la Parenti addittura è un falso. L'unica cosa che c'è, è la violazione del segreto d'ufficio che, me lo ha raccontato Di Pietro, era finalizzata a creare panico in determinati ambienti di imprenditori per indurli a parlare. A Palermo, invece, Caselli un ispettore del ministero della giustizia lo ha interrogato addirittura per 8 ore. Se Mancuso non fa niente lì, allora un'interpellanza al governo la faccio». Questa, insomma, è «l'anomalia» Mancuso: un giudice tradizionalista, attento alle forme financo nelle virgole, a cui né Scalfaro, né Dini possono dire di no. Un personaggio che, per carattere e per condizione, non è tipo da tornare indietro. Uno dei pochi ministri di Dini che fanno sognare Cesare Previti e Giuliano Ferrara («con lui - scherza quest'ultimo il governo Dini potrebbe andare avanti due anni). Un «tecnico» che impuntandosi ha messo a dura prova quel delicato equilibrio che tiene a galla il governo «neutro» di Dini. Lo sa bene lo stato maggiore del pds che da tre giorni è in imbarazzo: non può raccogliere le firme per le dimissioni di Mancuso perché altrimenti rischia di mettere a repentaglio la vita del governo Dini. E, contemporaneamente, ha i parlamentari del gruppo progressista in subbuglio: Sandra Bonsanti, Pino Arlacchi e tanti altri hanno già tirato fuori rapporti del ministro «Incriminato» con Giulio Andreotti e il giudice Carnevale, entrambi sotto processo per mafia; cioè, le stesse notizie, che qualche mese fa, votando la fiducia all'attuale governo, avevano rimosso. La speranza dei progressisti, ovviamente, era tutta iha^^rMnalia» MSituW iFifil* tratti in inganno. Il presidente della Repubblica, infatti, non può far altro che chieder prudenza ad un personaggio che conosce da venti anni e che ha voluto a tutti i costi nel governo. E la stessa cosa, più o meno, può dirsi di Dini. Basta pensare che nelle riunioni di governo il premier si rivolge sempre al suo ministro chiamandolo con fare cerimonioso: «Sua Eccellenza Mancuso». E a stare appresso ai racconti degli altri ministri il Guardasigilli è l'unico che qualche volta si è permesso di esprimere apertamente un parere diverso da Dini. Non per nulla il documento dell'altro ieri con cui Palazzo Chigi ha precisato che la Costituzione assegna la responsabilità delle iniziative disciplinari nei confronti dei magistrati esclusivamente al Guardasigilli e che, quindi, il governo non c'entra, è stato concordato parola per parola dai due. Poi, naturalmente, i deputati progressisti hanno giudicato quell'atto come una presa di distanza del premier dal ministro («Dini è stato chiarissimo» ha ripetuto per tutta al giornata di ieri Fabio Mussi), ma in realtà quella nota è servita solo a dare un appiglio,- in gergo J'ce «contentap^.-,.a^unJfarento aveflPtfrìtìeàta-fe paróle del ministro contro il Pool. E anche nella riunione di ieri del consiglio, quei ministri che hanno espresso in una chiacchierata informale qualche velata riserva sull'operato del responsabile della giustizia, si sono trovati di fronte un Mancuso che ha difeso fino in fondo le sue scelte. Quindi, niente da fare: Mancuso non si dimette e difficilmente quelli che lo hanno criticato in Paralmento (a parte Bertinotti e i suoi) firmeranno una mozione di sfiducia nei suoi confronti. «Anche se volessimo - spiegava ieri Sandra Bonsanti - non ci sarebbero i voti, visto che i popolari non ci stanno». Rimane da vedere cosa farà Mancuso. Deciderà di fermarsi qui? O invierà di nuovo degli ispettori a diverse procure tra le quali quella di Palermo, dove regna quel Giancarlo Caselli? In quest'ultimo caso non è detto che D'Alema e i suoi accettino l'idea dei popolari, che immaginano di risolvere la questione nel Csm. Le parole di pidiessini come Violante, Brutti e Folena sono un avviso inequivocabile per Mancuso. Augusto Minzolini Stajano, ex Csm «Ricordatevi che lui è un grande amico di Scalfaro...» A sinistra: il ministro della Giustizia Filippo Mancuso In alto: il presidente' Scalfaro A destra: Giulio Andreotti

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