Previdenza Abete «boccia» i tempi

La Confindustria ribadisce il no: tenere in vita le anzianità è una anomalia tutta italiana La Confindustria ribadisce il no: tenere in vita le anzianità è una anomalia tutta italiana Previdenza, Abete «boccia» i tempi «Primi effetti nel2030». Treu: difenderemo la riforma ROMA. Treu difende il cammino della riforma delle pensioni (domani in Consiglio dei ministri) avvertendo che «il governo non accetterà stravolgimenti in parlamento». Il Ragioniere generale dello Stato, Monorchio, la definisce «importantissima, perchè va nella direzione del risanamento» rimandando però i conti sui promessi risparmi a «una relazione tecnica in parlamento». Ma la Confindustria conferma le sue critiche: «E' solo un pezzo di riforma, un bicchiere più mezzo vuoto che mezzo pieno», come dice il presidente Luigi Abete ai giornalisti al termine del comitato direttivo dell'organizzazione imprenditoriale. Resta, quindi, in pieno il giudizio negativo espresso duramente da Abete all'alba di lunedi. Spiega il presidente: «Ci sono stati una quindicina di interventi e la posizione della Confindustria è confermata al cento per cento. Abbiamo ricevuto pieno apprezzamento per la valustazione che avevamo espresso a caldo. Nessuna posizione difforme, solo qualche specificità isolata, molto isolata ma convergente con noi sul merito. Il giudizio di De Benedetti non si discosta dal giudizio generale della Confindustria, pur accompagnandosi a una sua personale sensibilità sul momento politico». Il presidente della Olivetti ha infatti affermato di credere «che questa sia una riforma possibile. Certo, si poteva forse fare di più sul piano economico - ha detto De Benedetti -, ma dubito che si potesse fare di più sul piano politico. Dini quindi ha fatto bene, sul piano politico, a realizzare questo accordo, così come Abete ha fatto altrettanto bene a bocciarlo sul piano economico». Insomma, il Gotha dell'industria ha fatto pubblicamente quadrato attorno ad Abete. Ieri il presidente degli imprenditori ha cosi potuto forni re una diagnosi più arti colata di quella di lunedi mattina, ma ancora priva delle cifre di supporto a riprova dei mancati risparmi della riforma Dini-sin- dacati. Perchè? «Aspettiamo ancora i dati complessivi del governo sul suo disegno di legge - si giustifica Abete - ma alla fine Billia ci dovrà dare i numeri e così potremo fare la nostra valutazione precisa». Ma sulla sostanza la Confindustria ha le idee chiare. E motiva il suo «no» essenzialjnente per due ra¬ gioni: i tempi troppo lenti di entrata a regime della riforma e il mantenimento in vita, ben oltre il Duemila, delle pensioni di anzianità, «una anomalia tutta italiana». Tanto che, pur senza entrare nella selva delle cifre, Abete ha avanzato una previsione precisa: «Gli effetti finanziari della riforma cominceranno a farsi sentire sui conti dello Stato solo nel 2030». Ossia ben più tardi di quella scadenza apparentememte già cosi lontana del 2013, quando la riforma sarà pienamente attuata. Perchè questo allungamento sul piano finanziario? Abete spiega che «per tutti i lavoratori che andranno in pensione di qui al 2013 varranno le vecchie normative e quindi la massa contributiva sarà la stessa di oggi. Coloro che inizieranno a lavorare secondo le regole della nuova riforma potranno andare in pensione, dopo 35 anni, appunto nel 2030. Questo è il vero baricentro della riforma, che desta le nostre perplessità». Un altro motivo di forte debolezza riscontrato dalla Confindustria è questo: «volendo garantire p ggnerazioni degli anni '60 e '70, riduce le capacità di lavoro per le generazione più giovani e di sviluppo del Paese», concentrando ancora una gran massa finanziaria sulla spesa previdenziale. Specifica il vice-presidente Carlo Callieri: «Nel famoso incontro del novembre scorso fra Confindustria e i sindacati, noi avevamo ipotizzato una zattera di salvataggio per coloro che erano vicini ai 35 anni di anzianità, uno scivolamento di 5-7 anni. Ma con questa riforma, invece di una zattera si è voluto varare un transatlantico come la Queen Mary. Volevamo una gradualità più breve, mentre ora bisognerà gestire le uscite fino al 2030, quando si raggiungerà l'equilibrio fra contributi e spesa. Con un onere non trascurabile sul debito pubblico». Conclude Abete: «Noi abbiamo sempre chiesto una riforma definitiva, rigorosa ed equa. Ma questa non lo è. Certo è stato fatto un passo in avanti, ma solo parziale. Lo sforzo compiuto da Dini e dai sindacati è apprezzabile. Ma questa rifomia non sarà certo quella definitiva». Insomma, Confindustria addolcisce un po' i toni, ma resta ferma sulla sostanza. Senza però rischiose fratture con i sindacati. Assicura Abete: «Anche se sulle pensioni non ci siamo accordati, la concertazione è sempre ben viva». Paolo Patruno De Benedetti: «Sul piano politico non si sarebbe potuto fare di più su quello economico invece sì L'industria ha ragione a protestare» ad Abete. Ieri il presidente degli imprenditori ha cosi potuto forni re una diagnosi più arti colata di quella di lunedi mattina, ma ancora priva delle cifre di supporto a riprova dei mancati risparmi della riforma Dini-sin- suo «no» essenzialjnente per due ra¬ fetti finanziari minceranno a fati dello Stato soben più tardi dapparentememtdel 2013, quanpienamente attuPerchè questopiano finanziache «per tutti i dranno in pensvarranno le vequindi la massala stessa di oggiranno a lavorardella nuova rifodare in pensionepunto nel 2030barimaperUfortscofind«vo Il presidente della Confindustria Luigi Abete

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