IN PRINCIPIO FURONO LE PECORE di Giorgio Calcagno
IN PRINCIPIO FURONO LE PECORE IN PRINCIPIO FURONO LE PECORE ERANO tante pecore, nell'Italia agreste degli Anni Cinquanta. Ce n'erano tantissime, in televisione. Quei pochi italiani che si erano conquistati il diritto al video la sera aprivano l'apparecchio, si mettevano in poltrona e vedevano sfilare lunghi branchi di ovini, nei campi, sulle colline, all'abbeverata. Prima del Telegiornale, pecore. Alla fine del romanzo sceneggiato, pecore. Tra la tv degli agricoltori e i pensieri di Padre Mariano, ancora pecore. L'intervallo era diventato un genere di spettacolo imposto al pubblico, una necessità per i tecnici. Doveva colmare le pause di una tv in bianco e nero, a canale unico, fatta in buona parte dal vivo, che presentava all'improvviso i suoi vuoti. E le pecore erano gli animali prediletti dagli autori di quegli spot - ma allora non si chiamavano ancora così - che non si dovevano allontanare troppo da Roma, per non far lievitare i costi. E bastava uscire fuori porta, por trovarne dappertutto. Ma perché tutti quei poveri lanuti esposti alla impazienza degli italiani che aspettavano la puntata di «Piccole donne» o le curve della Bolognani al quiz di Bongiomo? «Perché non si potevano offrire immagini fisse, che avrebbero creato problemi sul tubo catodico», ci risponde Alvise Zorzi, primo collaboratore storico di Sergio Pugliese, responsabile dei servizi culturali dalla nascita della nostra tv e oggi sua memoria storica. «Si pensava fosse meglio dare immagini in movimento. E le pecore, cavalli, si prestavano più facil mente di altri soggetti». Qualcuno ricorda ancora la be- ! vuta di un cavallo alla fontana che si protrasse, sul teleschermo, per i 20 minuti. Era successo che un programma di Arnoldo Foà era ' stato giudicato volgare dal funzionario addetto al controllo e sop- ; presso all'ultimo momento, quan- j do non c'erano altri ricambi. «In realtà - controbatte Zorzi - i casi di censura dal vivo furono pochissimi. Io ebbi qualche grana per le ballerine. Ma il personaggio più insopportabile era il presidente Gronchi, che si offendeva di tutto: non accettava le prese in giro, e lo faceva sapere puntualmente. In ogni caso, con l'avvento di Ettore Bemabei, la censura finì. Si prendeva lui tutte lo responsabilità; o preveniva, o copriva». I vuoti sul video erano più spesso dovuti ad altre ragioni. «Bisognava ricorrere agli intervalli quando una trasmissione partiva in ritardo; o quando un programma in diretta finiva troppo presto; o quando saltava il collegamento»: caso assai frequente, in quell'era pionieristica, di ponti approssimativi e instabili. E allora, giù con le pecore. Non sempre, precisa il testimone delle origmi. «Prevalse più tardi l'opinione di utilizzare il paesaggio con richiami turistici, per far conoscere luoghi poco noti della nostra Italia». E tutti ricordano i castelli desueti del Trentino, le pievi del Mugello, i borghi della Capitanata, i centri storici del Logudoro. Ai responsabili della segreteria programmi, preposta all'incarico, non sfuggiva un campanile, una torre civica, un nuraghe. Non fu una gran soluzione. «Con il prendere piede della tv, quei cartelli sollecitavano le pressioni di sindaci, aziende di soggiorno, enti di turismo, che volevano imporre i \ loro, con l'appoggio del deputato locale, più o meno potente», ricorda Zorzi. Ce n'erano tanti, di politici che cercavano voti telefonando alla Rai, anche allora. Molto me- j glio le pecore, che non portavano il nome del loro paese: anonime, uguali, belanti allo stesso modo, in ogni regione d'Italia. Giorgio Calcagno
Persone citate: Alvise Zorzi, Arnoldo Foà, Bolognani, Gronchi, Padre Mariano, Sergio Pugliese, Zorzi
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