Arabi cristiani vita da «infedeli»

&S0DA Alla Fondazione Agnelli un convegno sulle minoranze religiose in Medioriente Arabi cristiani, vita da «infedeli» L'integralismo soffoca i culti non musulmani TORINO. L'ombra lunga dei minareti minaccia di oscurare lo chiese cristiano del Medio Oriente e lo scenario interconfessionale degli Stati arabi che si affacciano sul Mediterraneo, finora improntato ad una convivenza precaria ma priva di strappi traumatici, rischia di saltare sotto la spinta crescente dell'integralismo islamico: in sostanza sempre più mezzelune al posto delle croci il che significa spazi sempre più ridotti alla pratica dei culti non musulmani. Del tema si e occupata la Fondazione Agnelli in una tre-giorni di analisi che ha chiamato a consulto oltre cento fra esperti e studiosi italiani e stranieri per tastare il polso alle comunità cristiane sparse a macchia di leopardo in Egitto, Giordania, Libano, Siria e nei territori occupati allargando l'indagine fino all'entroterra iraniano e iracheno. Una ricerca minuziosa che intendo, come spiega il direttore della Fondazione Marcello Pacini, mettere a fuoco due questioni di fondo, appurare cioè «quale sarà il destino dello minoranze religiose all'interno di strutture nazionali che negano loro il diritto all'esercizio della piena cittadinanza por colpa del credo che professano ed assicurare il pluralismo, seme della democrazia, che dovrebbe spronare l'Europa a valutare con maggiore lungimiranza l'evoluzione di molti eventi politici dello scacchiere mediorentalc». Le cifre, innanzitutto. Pur in assenza di statistiche aggiornate, la presenza complessiva dei cristiani «arabi» mediorientali si aggira attorno quota sette milioni con percentuali che variano significativamente da Paese a Paese pur rappresentando ovunque l'unica alternativa religiosa alla maggioranza islamica (quasi il 20 per conto in Libano, l'otto per conto in Egitto, appena il tre per cento in Gisgiordania). In totale 22 chiese «diverse» di cui sette ortodosse, altrettante cattoliche o otto riformate frazionate in una babele di riti (annoili, alessandrini, etiopi, siriani, caldei, bizantini, maroniti, caldei, copti, indebiti, luterani, episcopali, presbiteriani, evangelici). Eppure, ormai da decenni, esse sono in caduta libera sotto il profilo della consistenza numerica dei seguaci per una serie di concause individuate dal teologo Jean Corbon dell'Università di San Giuseppe di Beirut. Porche, dice, all'originario «atto di fedo insito nel radicamento locale si sono sovrapposti vari fattori negativi, da una parte la bassa natalità, la crisi economica e sul versante opposto la voglia dell'emigrazione in cerca di sistemal zioni lontane da zone ad alto ri- schio di instabilità politica». Inoltre, nonostante l'assenza di velleità persecutorie da parte dei governi mediorientali nei confronti delle minoranze religiose, ecco la tosi del sociologo Philippe Fargucs del Centro di studi del Cairo, la discriminazione strisciante che sta prendendo piede sulla scia dei proclami fondamentalisti, ossia applicazione sistematica della legge coranica, porta alla creazione di teocrazie che restringono gli spazi di manovra dogli «infedeli». E gli esempi non mancano. «Il matrimonio di un musulmano con una cristiana impone l'abbraccio della fede islamica por i figli o le nozze simmetriche fra un non musulmano ed una musulmana sono vietate a meno che lo sposo non si converta all'Islam». Inoltre c'è la ghettizzazione nel rango di cittadini «inferiori» ai quali viene precluso l'accesso a cariche pubbliche eminenti, ben lontane dal modello libanese del 1943 in quale stabiliva la ripartizione dei ruoli della cosa pubblica a seconda dell'appartenza religiosa: il maronita alla presidenza della Repubblica, il sunnita a capo del governo. Oggi, invece, arabo diventa sinonimo di musulmano escludendo gli «altri» dallo spirito di appartenenza nazionale. Che faro allora? Un primo importante passo lo indica il cardinale Achille Silvestrini, prefetto della Congregazione; delle Chiese orientali, quando parla di «superare il dramma che viviamo dolorosamente dal giorno dello scisma del 1053 e opinare per la riappacificazione ecumenica fra la Chiesa occidentale e i suoi fratelli orientali». E Papa Wojtyla che si recherà a Beirut, pare a dicembre, per celebrare il Sinodo sarà l'interprete storico di ernesta esigenza. Piero de Garzarolli

Persone citate: Achille Silvestrini, Jean Corbon, Papa Wojtyla, Philippe Fargucs, Piero De Garzarolli