Rifondazione «ora rischia la scissione» di Fabio Martini

Rifondazione Rifondazione Ora rischia la scissione ROMA. I corridoi foderati in mogano di Palazzo Madama sono deserti, i senatori sono tutti in «mensa» a mangiare e, in un angoletto appartato, il vecchio Rino Serri, uno dei dissidenti di Rifondazione, si confessa con la compagna Carla Nespolo. Serri bisbiglia: «Carla, parliamoci chiaro: io non credo ci siano più i margini per una lunga battaglia dentro il partito. Dobbiamo prendere una nostra posizione sulle pensioni e a quel punto essere pronti a tutto. E te lo dice Rino Serri, che come sai è uno che ha cercato sempre di mediare...». E se Serri parla cosi, sia pure in confidenza, vuol dire che dentro Rifondazione il tappo sta per saltare. Si, perché il vecchio Rino - uno dei cinque fondatori del partito - e un mediatore nato, come dimostrò anche quell'indimenticabile (per lui) pomeriggio di sei anni fa, quando durante un convegno a «Mondoperaio» l'iperfemminista Elvira Banotti si alzò e disse: «Rino, abbiamo fatto l'amore e ti ho trovato inadeguato». E Serri, col suo accento emiliano: «Mo se siamo stati così bene...». Da 24 ore c'è grande inquietudine nel drappello dei dissidenti di Rifondazione, la separazione è sempre più vicina, perché i frondisti sanno che se voteranno sì sul progetto delle pensioni, si troveranno fuori dal partito. Una dissociazione (fiducia a Dini) l'ha sopportata persino un comunista ortodosso come Armando Cossutta, ma alla seconda scatta la tagliola. E infatti il vecchio Armando, in un rapido passaggio nel Transatlantico, è lapidario: «Se voteranno sì, saranno circondati dai disprezzo». Che è come dire (ma Cossutta non lo dice) che il provvedimento di espulsione è già pronto. E il presidente dei deputati Oliviero Diliberto è di qualche centimetro più drastico: «Credo che se votassero di nuovo in dissenso col partito, per loro diventerà difficile entrare nelle sezioni. Diciamolo: il nodo-pensioni è dirimente». E che la deriva sia quella della rottura imminente lo confermano (indirettamente) le parole di Famiano Crucianelli, uno dei capitani dei dissidenti: «L'accordo governo-sindacati è un compromesso che si può migliorare, ma considerati i rapporti di forza, un compromesso da cui partire per ottenere dei miglioramenti, non per distruggerlo». Parole misurate, lontane anni luce dalla bocciatura del segretario Bertinotti che parla di «controriforma delle pensioni» e annuncia un'opposizione dura che in Parlamento - come anticipa Diliberto - «ricorrerà a tutti gli strumenti consentiti dal regolamento, compreso l'ostruzionismo». E così, i dissidenti di Rifondazione si trovano in un imbuto sempre più stretto, per dirla con Serri nelle sue confidenze post-prandiali: «Se non lo facciamo ora, non lo facciamo più: le pensioni sono una grossa questione, passata questa non possiamo differenziarci sulle cazzate...». Ma per i dissidenti la fretta è accresciuta dal «pericolo» che, prima o poi, D'Alema e Bertinotti si mettano d'accordo e a quel punto i frondisti rischiano di restare schiacciati «come i polacchi nel 1939», dice il presidente dei deputati Diliberto, visto che a quel punto D'Alema non potrebbe più farsi carico dei loro collegi e men che mai potrebbero preoccuparsi del problema Bertinotti e Cossutta. E proprio per questo nelle ultime ore si sono moltiplicati i contatti con i «grandi vecchi» del pei - Alessandro Natta, Aldo Tortorella, Pietro lngrao nel tentativo di evitare il passaggio diretto da Rifondazione al pds e con l'idea di far nascere una struttura intermedia, un ponte tra i due partiti. Obiettivo di Garavini e compagni: traghettare nel nuovo partitino 23 parlamentari su 58. Fabio Martini

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