Mosca le tre sfilate delle tre Russie

Un po' nervosi, i potenti della Terra celebrano con Eltsin i 50 anni della vittoria sul nazismo Un po' nervosi, i potenti della Terra celebrano con Eltsin i 50 anni della vittoria sul nazismo Mosca, le tre sfilate delle tre Russie Nonni decorati, commandos di Cecenia e nostalgici rossi SULLA PIAZZA ROSSA MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Cronaca di una perfetta giornata russa. Una giornata russa come una parata di fantastici armamenti, preceduti però da due Ford della polizia stradale, made in Usa. Perché la Russia è stata capace di fabbricare stazioni spaziali, ma non automobili decenti per là sua stradale. Russa come l'orgoglio per un magnifico esercito che poi i giovani cercano di evitare. Russa come il mausoleo di Lenin, sul quale i nuovi padroni della Piazza Rossa si sono arrampicati per salutare la folla dallo stesso balcone di Stalin e Breznev, ma dove avevano fatto coprire prima con pudiche frasche verdi il nome a lettere oro di Lenin, quasi che il mondo e i russi non sapessero chi dorme sotto quel balcone. Una giornata scritta da Tolstoj e da Gogol insieme, irrisolvibile come il rebus di sfilate «giuste» o «sbagliate», di trappole politiche e diplomatiche dentro le quali Clinton e i Presidenti delle nazioni occidentali hanno brancolato fino a sera. Le loro macchine vagavano per Mosca alla ricerca della celebrazione politicamente giusta al momento giusto, come grandi topi neri incapaci di uscire da quell'eterno labirinto chiamato Russia. Inutile tentare una cronaca coerente del viaggio nel labirinto del Cinquantenario. Possiamo partire, giusto per comodità, alla mattina alle 9, quando cominciava la sfilata «buona» per la vittoria su Hitler, alla quale avrebbe dovuto partecipare il popolo vero per salutare per l'ultima volta i «nonni coraggiosi» dell'Armata Rossa. Ma tutto era, come sempre, soltanto a inviti ufficiali, e dal balcone del mio albergo proprio accanto alla piazza dal quale avevo spiato i preparativi, non avevo visto per ore altro che poliziotti e soldati, schierati per bloccare tutti gli accessi. Ragioni di sicurezza, naturalmente. Il potere riisso governa sempre nel nome di un popolo del quale non si fida mai. Dentro la piazza così isolata e carica di echi inquietanti, sotto lo sguardo di Eltsin, del premier Cernomyrdin, del generale Graciov, affacciati al tragico balcone, volteggiava sul selciato la Chaika scoperta, la macchina del maresciallo che guidava la parata, Viklor Kulikov, l'ex comandante supremo di quel Patto di Varsavia che non esiste più. «Buona festa, compagni, per la grande vittoria del popolo sovietico», tuonava la voce di Kulikov. Compagni? Ma compagni di chi, se il nome di Lenin stava coperto dalla verdura, come il ritratto delle pecore nere? E sarà stata questa l'ultima volta che la parola «compagno» è risuonata sulla piazza? Sotto i piedi di Eltsin, molto più in basso, umiliati dalla mole sinistra del mausoleo ormai anonimo ma ancora cosi eloquente per la nostra memoria, i Presidenti venuti dall'Ovest stropicciavano i piedi nervosi. L'atmosfera, dispiace dirlo per quei vecchietti oppressi di medaglie, era gelida. Clinton stringeva le mandibole continuamente, come fa sempre quando ò ansioso, e Hillary nascondeva il viso dietro un comodo paio di occhialoni scuri alla Greta Garbo, nonostante un pallido sole russo. Major vestiva il suo mezzo sorriso molto britannico. Oscar Luigi Scalfaro era un po' teso, «commosso fino al midollo» al pensiero della strage immane, come mi dirà più tardi. Mitterrand non si era fatto vedere, nel timore che in quella sfilata si nascondesse qualche veleno. E aveva visto giusto, perché dietro i nonnetti decorati è passato anche un reparto di «Speznatz», i commandos usati in Cecenia. Proprio quei reparti che Clinton voleva evitare. Ma in appena 40 minuti, un tempo prodigiosamente breve per la Russia, la «sfilata buona» della Piazza Rossa era già finita. Attorno al centro restituito ai cittadini cominciavano a marciare i «reduci rossi». Decine di migliaia di giovani e vecchi «politicamente scor- retti» ma con le stesse medaglie dei veterani «buoni», formavano una folla ufficialmente di 20 mila persone, in realtà almeno il doppio. Scendevano dalla vecchia via Gorky. Passavano davanti all'Hotel Lux, oggi Zentralny, dove i comunisti europei del Komintern, Togliatti, Pajetta, Longo avevano vissuto tacendo gli orrori delle «purghe». Giravano attorno al Bolscioi e andavano a finire proprio davanti alla sede del vecchio Kgb, la Lubjanka. Sfilavano ostentando quella falce e martello tenuti invece in minoranza, ai margini, nelle celebrazioni ufficiali. Reggevano come icone i ritratti di Lenin e Stalin. Cantavano il vecchio inno, quello che comincia con «Sovjetsky Soyuz», Unione Sovietica, inveivano contro Eltsin, invocavano la rinascita dell'Urss. Tra loro, garriva anche una bandiera dei «Marxisti-leninisti» italiani che in quell'Urss rimpianta avrebbero ricevuto un biglietto subito per la Siberia. I «reduci sbagliati» erano comunisti, nostalgici, spaventati, magari un po' rimbambiti, certo incapaci di capire e riconoscere che sotto «baffone» non avrebbero mai potuto marciare. Ma solo in Russia può accadere che la stessa parola, «sovietico», sia ammessa dentro la Piazza Rossa e «alternativa» fuori. Nella giornata russa c'è posto per qualunque paradosso. I «nonni rossi» erano più degli altri, ma ufficialmente non sono stati visti da nessuno. Mentre marciavano, i presidenti europei e americani aspettavano in albergo. I nuovi capi russi erano invece già lontani, in corsa verso la Collina degli Inchini, sulla quale il maresciallo Kutuzov decise la strategia della città bruciata per fermare Napoleone. Sulla Collina degli Inchini, che è stata spianata a zero ma essendo in Russia si chiama ancora collina, si doveva inaugurare il I memoriale della Vittoria e dei Caì duti. Li erano state innalzate le tribune per la parata «cattiva», quella militare, per la dimostrazione dei vecchi muscoli sovietici passati al servizio del nuovo potere democratico. Ma come non c'era più la collina, così non c'era il mondo che si voleva impressionare. Clinton, Kohl, Major, Scalfaro, Gonzàlez, aspettavano nei loro alberghi che la sfilata militare finisse, in segno di disapprovazione. In compenso c'era il popolo russo. Centinaia di migliaia di cittadini si erano assiepati lungo i chilometri della Prospettiva Kutuzov per vedere, «nasha armya», il nostro esercito, come una donna diceva al bambino. Tra qualche anno, quella stessa madre farà carte false per evitare al figlio il servizio in quell'esercito di cui ieri era orgogliosa. Passava davanti a noi un campionario mai veduto di mezzo secolo di costosissimi armamentari sovietici sotto la nuova bandiera russa. Reparti di soldati in uniforme storica de! 1945, decine di carri pesanti T-80, cannoni semoventi, missili, sfilavano sull'asse della prospettiva Kutuzov. A filo dei grattacieli, volavano a bassissima quota enormi quadrigetti Antonov da carico, bombardieri supersonici, stormi di caccia Sukhoi e Mig. Ci sfioravano la testa, talmente vicini che le vibrazioni dei loro jet facevano scattare tutti gli allarmi antifurto nelle auto parcheggiate lungo le strade. La cacofonia del surrealismo russo esplodeva trionfale come le note della Ouverture 1812 di Ciaikovskij diffuse dagli altoparlanti. In cielo il frastuono della vecchia Urss militarista. In terra, l'urlo degli antifurto della nuova Russia che assaggia la prosperità e i suoi prezzi. Clinton arrivava con gli altri leader occidentali quattro minuti esatti dopo il passaggio dell'ultimo carro armato, in un'aria ancora azzurrina e greve degli scarichi sempre un po' difettosi. Il Presidente americano sembrava due volte estraneo, quasi alieno. E' il primo Capo di Stato Usa troppo giovane per aver vissuto la guerra. Non ha mai neppure fatto il soldato. La moglie e pacifista, come il marito, entrambi figli del '68 americano. La estraneità generazionale, culturale non poteva essere più evidente. Nel 1945, Bill e j Hillary non erano neppure nati. Sorrideranno soltanto alla sera, davanti alla calma del banchetto. Per fortuna di tutti, la Russia offre sempre una via d'uscita: l'emozione. Major l'inglese era un pochino emozionato. Scalfaro molto. «Vedendo passare quei vecchietti sulla Piazza Rossa - mi dirà il presidente Scalfaro passeggiando per qualche minuto insieme sulla Piazza della Rivoluzione - pensavo ai discorsi che facevamo in Italia nel '45, alla fine della guerra, quando si diceva che i russi avessero perduto 6 milioni di anime. Altro che sei. Nessuno sapeva allora quanti ne aveva ammazzati Stalin, in più. Quando Incontrai il presidente dell'Uzbekistan mi raccontò che nella sua Repubblica c'erano due milioni di nomadi e per eliminarli Stalin non aveva avuto bisogno di ammazzarli. Gli aveva fatto portare via i cavalli. Morirono tutti di stenti». Avevo da poco salutato il nostro Presidente avviato ai ricevimenti della sera al Cremlino, al quale ha finalmente partecipato anche Mitterrand, quando un altro dei personaggi surreali della giornata russa è apparso. Nella Piazza del Teatro Bolscioi è spuntato Vladimir Zhirinovskij, il leader nazionalista, accusato di neofascismo antisemita. Me lo ero trovato improvvisamente alle spalle, alla testa di una piccola folla, accompagnato da un'orchestrina da sagra di paese bavarese, due tromboni a tuba, una tromba e un batterista di quelli con la grancassa sulle spalle. In divisa da colonnello dell'Armata Rossa, Zhirinovskij si era fermato proprio sotto un testone marmoreo di Marx. La banda suonava valzer ruspanti e il terrore dell'Occidente afferrava per la vita al volo le donne di passaggio, trascinandole in un giro di ballo. Qualcuno portava una dozzina di sedie pieghevoli di plastica per un gruppo di vecchietti con le foto di Lenin che non avevano lasciato entrare sulla Piazza Rossa e stavano per stramazzare per la stanchezza. Ma che volevano restare fino in fondo, vedere tutto, fino ai fuochi artificiali della sera. Un giovane padre con un bambino sulle spalle cercava di fendere la folla e avvicinarsi a Zhirinovskij. «Disgraziato deficiente - gli ha gridato subito una babuska, una vecchia russa dalla mischia portare un bambino così piccolo nella calca è pericoloso». Scusate, è arrossito il padre, ed è scappato via. In Russia si può resistere a Stalin e a Hitler. Mai alle babuske. Soltanto loro, non gli uomini che ballano il valzer del potere sui marciapiedi e sui balconi, posseggono la chiave dell'eterno labirinto russo. Vittorio Zucconi Il maresciallo Kulikov tuona «Buona festa a tutti, compagni» Le vibrazioni di carri armati e aerei fanno scattare tutti gli antifurti delle auto in strada Il Presidente assiste alla parata dei reduci dal mausoleo di Lenin Il nome era coperto Scalfaro: nel 1945 parlavamo di 6 milioni di morti, ignoravamo le vittime di Stalin Davanti al Bolscioi spunta Zhirinovskij in divisa militare con un'orchestrina da sagra di paese Sotto: Scalfaro depone una corona al monumento al milite ignoto A fianco un momento della imponente sfilata dei veteran