Tolstoj l'ira contro lo zar

Così, nei suoi disperati appelli, intuì la Rivoluzione d'Ottobre Così, nei suoi disperati appelli, intuì la Rivoluzione d'Ottobre Tolstoj, l'ira contro lo zar «Abolite la proprietà privata» L A prima, del 1862, è la dignitosa protesta di un nobiluomo, molto impegnato nella sua missione di educare i contadini russi, la cui proprietà di campagna è stata messa a soqquadro dalla polizia alla ricerca, vana, di chi sa quali prove di terrorismo. L'ultima, del 1905, è l'appello di uno spirito disperato e tormentato dalla visione del mondo che precipita verso il baratro senza ascoltare la sua predicazione di non violenza, i suoi suggerimenti di abolire la proprietà privata della terra. Sono in tutto sette, inviate a tre differenti sovrani, le missive di Leone Tolstoj raccolte nel volume Lettere agli zar in uscita da Laterza, curate da Sergio Bertolissi. Disegnano un arco di tempo molto lungo che racchiude momenti fondamentali della storia russa, dalla liberazione della servitù della gleba, che appena di un anno precede la prima lettera, sino alla Domenica di Sangue ed alla prima rivoluzione borghese del 1905. Nato nel 1828, il grande romanziere russo è un nobile di 34 anni che nella sua proprietà di Jasnaja Poljana insegna ai Tigli dei contadini, ha aperto scuole nei villaggi vicini e pubblica una rivista pedagogica, quando nel giugno del 1862 la polizia segreta fa irruzione proprio a Jasnaja Poljana dove, secondo informazioni, «sarebbe stata impiantata una tipografia clandestina per la pubblicazione di libri proibiti». La tipografìa, ovviamente, non viene trovata, ma il conte Tolstoj non manca di scrivere ad Alessandro II, lo zar liberatore, che ha appena abolito la servitù, per protestare e ricordagli che non può «essere un cospiratore, un estensore di proclami, un assassino o un incendiario». Sono passati quasi vonti anni, Alessandro II è morto in un attentato rivoluzionario, sul trono è appena salito Alessandro III che dalle bombe ovviamente sarà terrorizzato tutta la vita trasformando il suo regno in uno Stato di polizia. Ma il conte Tolstoj da illuminato nobile di campagna si è già trasformato in determinato predicatore e, alla notizia che terroristi zaricidi sono stati arrestati, scrive al sovrano implorando il perdono, unico utile atteggiamento da tenere di fronte al male, perché la repressione o un benevolo atteggiamento liberale non servono a nulla. Paladino della non violenza, tormentato spirito cristiano, Leone Tolstoj affronterà i medesimi temi nelle ultime lettere a Nicola II. Ma nel frattempo eccolo intento a difendere la libertà religiosa dei settari russi. Stundisti, Duchobory. Molokane, nei confronti dei quali la Chiesa ortodossa e la polizia russa si comportavano in modo repressivo, sottraendo i figli ai contadini settari, esiliando questi stessi in campi di lavoro. Così nel 1894 ecco Tolstoj intento a scrivere ad Alessandro III in difesa del principe Dmitrij Chilkov. Colonnello in ritiro, che ha venduto le sue proprietà e distribuito ogni suo bene ai contadini, è accusato di non credere ai sacramenti del matrimonio e del battesimo e perciò è stato inviato in esilio nel Cauca- so. Tre anni dopo, già sotto il regno di Nicola II, Tolstoj interviene in difesa di una famiglia di Moiokane alla quale è stato sottratto, per ordine della Chiesa, il figlio: «Quando lo hanno preso era malato e febbricitante Nel cortile faceva freddo. La madre pregava che lo lasciassero a casa per un po' Ma il commissario si rifiutava e, sentito il parere del medico, secondo cui la salute del bambino non era in pericolo, ordinava all'ispettore di riprendere il ragazzo e portarlo via». Morale: «Dicono che ciò si fa per sostenere la religione ortodossa, ma il più grande nemico dell'ortodossia non potrebbe escogitare un mezzo più sicuro per allontanare la gente da essa, con tutte queste deportazioni, prigioni, separazioni di figli da genitori». Ormai Tolstoj e fermamente deciso a proseguire la sua strada di predicatore religioso e politico. Invia appelli «non violenti» a Nicola II. In risposta ai suoi atteggiamenti, il Santo Sinodo, il 22 febbraio del 1901, lo scomunica. Nei suoi appelli all'ultimo zar, Tolstoj interviene in l'avare di una popolazione di centotrenta milioni di sudditi. La sua visione politica e impietosa: «L'autocrazia è una forma di governo superata, che può corrispondere alle esigenze di popolazioni di qualche località del- i Africa cuiiL.ale... Il romanziere consiglia lo zar: «Personalmente penso che la proprietà privata e, ai nostri tempi, un'ingiustizia cosi chiara ed evidente quanto lo era la servitù della gleba cinquantanni fa.. Penso altresì che questo provvedimento eliminerà senza dubbio tutta quella agitazione socialista e rivoluzionaria che ora divampa tra gli operai e costituisce una gravissima minaccia per il governo e per il popolo». Naturalmente Nicola II non diede retta a Tolstoj e ogg; sappiamo bene come fini nella casa di Ipatiev a Ekaterinburg nel 1918 Ma Tolstoj non vide quella fine: era morto a 82 anni nel 1910. E oggi gli studiosi si dividono sul suo pensiero. In Russia c'è chi intende rivalutarlo e torna a propagandarlo. Ma non manca chi, invece, è convinto che il suo anarchismo nichilistico abbia preparato il terreno per l'affermazione del tremendo assolutismo comunista. Sergio Trombetta Escono le lettere ai sovrani di uno spirito disperato: «Non sono un cospiratore, assassino o incendiario» uzione d'Ottobre o lo zar rivata» A destra. Leone Tolstoj Da sinistra. Nicola II e Alessandro II. Sotto, Alessandro A destra. Leone Tolstoj Da sinistra. Nicola II e Alessandro II. Sotto, Alessandro

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