STAROBISKI le amnesia d'Europa di Umberto Eco

•■■■v:^-v.:..WiFkLL Fra superficialità e vittimismo: a colloquio con il grande critico che oggi riceve la laurea honoris causa a Urbino le amnesie d\ i l URBINO DAL NOSTRO INVIATO Quando stasera riceverà la laurea honoris causa in lingue e letterature straniere, Jean Starobinski dirà che il critico, l'intellettuale deve oggi parlare in modo più chiaro e intenso perché attorno a noi sta succedendo qualcosa che rischia di rendere opaco, forse perfino di compromettere, il nostro presente, la stessa nostra civiltà. Non un vero e proprio allarme, quello del critico ginevrino, ma un avvertimento, un forte invito a prendere coscienza. Succede dunque che stiamo perdendo la memoria della nostra storia comune: «In Europa le culture si rompono, sprofondano - spiega Starobinski -. Dimenticano il loro passato per essere attuali a ogni costo. Un giovane medico svizzero ha per esempio un'ottima formazione scientifica, ma sa troppo poco di letteratura e filosofìa. Ho amici in Francia che hanno fondato un'associazione per valorizzare la cultura classica. In Germania lamentano che autori come Goethe e Holderlìn sono pressoché scomparsi dalle scuole». Starobinski parla in modo sereno, sorridente; potrebbe dire le cose più terribili senza inquietare: «Un privilegio non dei miei settantacinque anni, ma dei miei studi», dice. Studi estesi in vari domini, dalla letteratura alla pittura e alla musica, dalle scienze umane alla medicina. Lui stesso è anche medico, psichiatra. Guarda un quadro di Tiepolo o di Bonnard, ascolta una musica di Haendel o di Scarlatti, legge poeti perché l'arte «gli dà spazio, gioia, vita». E' noto come critico letterario, ma si definisce storico delle idee. Quando affronta un autore, adotta in un primo momento gli strumenti più sofisticati della linguistica e della filologia per scrutare ogni fibra del discorso in una sorta di vivente autopsia, quindi fa intervenire psicoanalisi, antropologia, filosofìa e quant'altro gli serve per situare un'opera in rapporto prima con la vita dell'autore e dei suoi contemporanei e poi con la vita nostra, di oggi, valutando la distanza che ci separa. Una rete di relazioni dinamiche pressoché inesauribili, un esempio splendido e raro di quella che è stata chiamata «nuova critica». L'occhio di Starobinski si avvicina a un testo e a un autore in un'esplorazione minima, lenticolare, e se ne allontana per guadagnare una visione complessiva. Un andirivieni elegante e fruttuoso. Dunque, professor Starobinski, l'Europa perde la memoria? «I classici, i grandi scrittori europei degli ultimi secoli erano sentiti come patrimonio di tutti, appartenenti a una letteratura mondiale. Durante l'ultimo conflitto, nel '40-45, io la sentivo, quest'universalità: a Ginevra s'erano rifugiati anche degli scrittori tedeschi, fedeli alla loro grande tradizione... Io sono nato a Ginevra All'inizio del secolo c'erano venuti i miei genitori dalla Polonia per studiare medicina. Erano ebrei. E li ho conosciuto i miei maestri, da Marcel Raymond a Jean Piaget e al grecista Victor Martin, che ha scoperto il Dyskolos di Menati dio» Vede un'Europa frammentata? «Questo è il pericolo. Oggi predomina la cattiva universalità del rock: nasconde conformismo sotto coloriture locali». La perdita della grande cultura letteraria e filosofica le fa veder nero? Lei l'ha studiata bene, la malinconia. «Si riconoscerà di nuovo la funzione della memoria. Un'illusione, forse, ma ho fiducia nella volontà di salute dell'Europa». Quali mali la insidiano? «La superficialità, la tendenza a vivere nell'attesa della soddisfazione immediata senza più sapere ciò che ci costituisce. E' una situazione di angoscia, di man- canza di identità, e precipitiamo. Gli psichiatri tentano di ricostruire la storia personale degli individui, ma essi ugualmente fluttuano nel vuoto perché ormai privi di quella dimensione condivisa, di quella integralità di passato che li costituisce e che li fa appartenere a un tempo determinato. Se gli uomini sono privati di ciò che li ha portati fin qui, si sentono perduti, possono darsi a ogni specie di illusioni e di fantasmi, i quali alleviano e aggravano insieme la solitudine e il disagio». Lei ha vissuto buona parte di questo secolo che sta per finire. Se si volge indietro, che cosa vede? «Una serie di accecamenti. La grande colpa iniziale è stala la guerra del '14, irreparabile. 1 demoni si sono poi scatenati in Eu ropa. Difficile eliminare quest'incubo». Quali scrittori italiani ha letto più volentieri? «11 primo che mi viene in mente è Calvino, uomo silenzioso, at¬ tento, ironico: il suo occhio vivissimo si posava ovunque. In lui c'è un aspetto illuministico, che amo molto, e c'è il senso dell'enigma... No, io non mi definirei uomo dei Lumi, perche no?' credo che tutto sia accessibile alla conoscenza. Ho studiato Montesquieu, pubblicherò presto un volume su Diderot, ma Durante la guerra ho frequentato alcuni poeti francesi, come Pierre Jean Jouve: una poesia cristiana sul male e sul peccato. E ho tradotto Kafka Con questo versante religioso, con questo giansenismo, ho simpatizzato. Cosi gli illuministi non mi hanno mai cancellato il sentimento del precario e della finitezza, non ho mai potuto adottare il progresso come legge della storia. Il progresso è sospeso a un atto di liberta e liberazione, che dev'essere profondamente vissuto dentro di noi. Sono diffidente verse le ideologie del progresso: esso dipende dalla nostra liberta, di noi capaci anche di peccato: non ho il sentimento di una legge che s'impone dall'esterno E' la violenza che dev'essere superata, e la violenza è in noi. il suo superamento e il dialogo fra tutti gli uomini e lo sforzo del superamento ci fa scoprire la libertà e la ragione. E la ragione non sono disposto a relativizzarla». E' recente in Francia il <y'accuse» del critico JeanMarie Domenach contro la letteratura, il teatro, la musica, l'arte contemporanea in genere. Anche lei riconosce una minore creatività nel nostro tempo? «C'è un ritardo nel constatare i valori. Molti scrittori dei primi del secolo ci sono apparsi importanti soltanto più tardi. Certo, in Francia non posso salutare attualmente grandi scrittori, ma devo aggiungere subito che non ho letto abbastanza. Ho letto soprattutto opere di storici, come Furet, e sono opere eccellenti». Degli attuali scrittori italiani che cosa dice? «Vedo l'Italia un po' da lontano. Sono stato sensibile alle poesie di Luzi e Zanzotto. Di Umberto Eco dico che è un animatore ammirevole. Lo dico in senso favorevole: dà da pensare, è generoso, ha vigore e gioia di vivere.. Ho avuto ammirazione per Franco Venturi: dal suo Serre senio riformatore deriva la mia visione di quel secolo». Lei ha dedicato un libro bellissimo al ginevrino Rousseau. Che cosa comunica oggi quest'autore? «Vede il mondo tagliato in due: da una parte il suo io. dall'altra le cupe macchinazioni contro di lui Un atteggiamento paranoico che oggi vedo diffuso dappertutto. I responsabili, i colpevoli sono sempre gli altri, la società, non io. Lo stesso fa Michel Foucault: la colpa è del potere, non dell'individuo e del suo deside¬ rio. Una buona scusa per la propria infelicita. Quando discuto con i miei amici intellettuali, li rimprovero: "Volete essere impotenti?" La parola dell'intellettuale ha la sua influenza, al di là dei conformismi; ha un potere reale: e dunque l'intellettuale deve vegliare perché il potere sia giusto Troppo comodo essere soltanto vittime, troppo confortevole non essere mai responsabili». Altro autore da lei amatissimo: Montaigne. Anche lui, come ci parìa oggi? «Bisogna averlo vicino nei momenti di crisi, sia storici sia personali. E' un realista: preconizza la restaurazione della maestà monarchica in Francia in nome della tolleranza, che contribuisce al bene di tutti. Montaigne ci conforta: ha pietà degli indiani d'America, ha pietà degli animali... Nella Svezia d oggi, che è in difficoltà, i suoi Essais vanno fortissimo, e mi dicono che a Belgrado adesso vogliono tradurre il mio libro su di lui. E' la dimostrazione che Montaigne si legge quando c'è crisi. L'Europa ne ha bisogno per conciliare il suo individualismo narcisistico con il bene comune». Professor Starobinski, il suo stile di critico è considerato molto raffinato, molto creativo. Ha mai scritto poesie o racconti o romanzi? «Ho scritto poesie e prose libere. Sono tutte inedite e le conservo per me». Jean Starobinski abbraccia stasera il suo amico Carlo Bo, rettore dell'Università di Urbino, e Giovanni Bogliolo. preside di Lingue e letterature straniere. Sarà il primo laureato di questa facoltà, nata quattro anni fa. Un riconoscimento altamente simbolico: Starobinski e Bo hanno sempre creduto in una lettera tura europea «Bo è al di sopra, è l'uomo della saggezza critica dice Starobinski - Abbiamo maestri comuni: Jacques Rivière. Charles Du Bos... La letteratura non è semplicemente un'attività di piacere, ma ci coinvolge completamente, è vita intera». Claudio Aitarocca «Ora predomina la cattiva universalità del rock: nasconde conformismo sotto coloriture locali»» Nell'immagine grande Jean Starobinski, 75 anni A lato Montaigne, sotto Jean-Jacques Rousseau A sinistra Italo Calvino: «Il suo occhio vivissimo si posava ovunque» A lato lo storico Franco Venturi, scomparso da poco Sopra Umberto Eco