CAMERINI CON VISTA

Da Eduardo alla Osiris: Da Eduardo alla Osiris: liti, amori rubati, miserie e vendette di capocomici e primedonne c ROMA INQUANT'ANNI fa Eduardo De Filippo portava in scena, al Teatro San Carlo, Napoli Milio noria. Per ricordare questo importante avvenimento nella storia del teatro italiano, si è aperta in questi giorni a Roma (e resterà aperta Tino al 25 giugno aila Galleria Colonna) la mostra dal titolo «Eduardo da Napoli al mondo». La rassegna, curata da Maurizio Giammusso, percorre la vita del grande autore-attore attraverso oltre cento fotografie, bozzetti di Maccari, Guttuso, rare immagini di palcoscenico, scene e costumi, una sala in cui verranno proiettati, a ciclo continuo, film e commedie registrate. E' stato anche ricostruito il camerino di Eduardo al Teatro San Ferdinando di Napoli. EROMA NTRO nel camerino di Eduardo e mi sbarra il passo il silenzio: uno di quei silenzi pieni fino all'orlo di parole che non verranno mai dette perché non fanno parte della vita di tutti i giorni, sono false e lontane. E' un camerino casto, denutrito. Un tavolino-scrivania coperto da una smunta tovaglietta, un turacciolo bruciacchiato per intontire il sopracciglio, il ferro per ammansire le parrucche. Un velo balla contro una finestrella. Al centro il grande specchio tondo, su cui un passante ha scritto con una matita «Ha da passa 'a mutata», la grande battuta che fu ascoltala, in un silenzio alla Eduardo, al Teatro San Carlo di Napoli, il 25 marzo 1945: Napoli Milionaria. Cinquantanni fa. Lo specchio mi rimanda la faccia brulla dell'attore, stremata da quei due buchi sulle guance che la trasformano in una miniatura antica. Se appena giro lo specchio, mi arriva subito l'eco di alcune delle cento o più foto allineate nelle lunghe pareti della bella mostra. Se gioco un po' con lo specchio e lo sposto qua e là, ecco che appare la faccia larga e un po' losca del padre naturale di Eduardo, don Eduardo Scarpetta, grande attore e amante supremo. Era chiamato «'o re» e arrivava al Teatro San Carlino in un cocchio dorato. Voleva sdorare il mare di Santa Lucia, proprio là dove luccica l'astro d'argento, placida è l'onda, prospero il vento... «Venite all'agile barchetta mia», canticchiava alle donne che gli buttavano manciate di sorrisi, quasi fossero coriandoli. La più bella saliva in carrozza per raggiungere il camerino di Scarpetta, più fatuo e amoroso di quelio di Eduardo. Tra i costumi screziati, le spade lucenti, i fracchetti con l'odore del pesce appena colto, c'era il divano delle delizie. Ma quando don Eduardo avvertiva il fuoco nelle vene, anche ad ora tarda, si strappava un bottone, convocava la bèlla sarta Luisa De Filippo, madre di Eduardo, Titina e Poppino... Forse, sopra quel divano, sono stati concepiti i tre fratelli. Figli, qualcuno sussurra, di un bottone. Le luci si stanno smorzando, la mostra sta per chiudere, è in arrivo «'a mutata» Un ultimo colpo allo specchio, il tempo di carpire il sorriso a denti unificati di Wanda Osiris, in un camerino che ho sempre visto sepolto di rose in tripudio, alluvionate con l'arpège al posto della rugiada Una boutique delle meraviglie, color champagne, con gli abiti che parevano imperlali di caviale. Vicino alla Wanda, Eduardo mi pare ancor più dolente, ripiegato, beatamente grigio. Passo in rivista i tanti Eduardo appesi al muro, che mi guardano con sospetto, quasi fossi un intruso. All'uscita m'imbatto in un vecchio generico «utilité» dell'avanspettacolo: di quelli buoni a improvvisare un tango col «casqué», a sciorinare una filastrocca in dialetto mentre, dietro, stanno cam¬ biando la scena, o a fare da «spalla» improvvisata al comico. «Vi ho visto - dice - sostare nel camerino di Eduardo: nella sua casa. Noi poveracci del varieté non avevamo quasi mai un camerino. Ci truccavamo nel cesso, che aveva la finestra quasi sempre rotta... Sapete, l'avanspettacolo». Alessandria, una sera graffiata dal ghiaccio. Nello stanzone all'ultimo piano d'un cinema, scaldato con la stufa a segatura che si lasciava dietro un pulviscolo d'oro, c'era posto per le sei «danzatrici», per il cantante confidenziale, per il mago Rotino e per i Fratelli De Rege, l'attrazione dello spettacolo. 1 De Rege avevano innalzato qualcosa che più che a un camerino, assomigliava a un tremebondo paravento. Stavano mangiando dei maccheroni al ragù appena cotti sul fornello a spirito. «Non sentite profumo di Napoli?», mi chiese Guido. Passò una ballerinotta con la coscia già in pasto alla vena varicosa e rubò una forchettata di pasta. «Se vuoi favorire, ce ne ancora un po'!», le gridò dietro Giorgio, mentre si sistemava il nasone con il baffo incorporato. La stufa era arrivata all'estremo anelito, il pulviscolo si era incenerito. Si affacciò il mago Rotino che, dopo avermi fatto sparire il fazzoletto dal taschino, chiese: «Dovrei indossare il tight. Potete ospitarmi? Fate presto a scendere. Giù si gela e il pubblico sta sfollando». Replicò Guido: «Qui siete a casa vostra, magone mio. Non utilizzate il terzo chiodo. E' malfermo Un fazzoletto, non lo reggerebbe» Il generico «utilité», forse per farmi cosa gradita, si esibisce in un salto mortale che lo lascia a terra, stecchito. «Brutta cosa, l'età. Quando stavo con Valdemaro, facevo tre salti, di seguito. E avevo l'onore di dividere, qualche volta, il camerino con lui. Il camerino numero uno, cui molti ambiscono, senza riuscire mai a trovare la porta. Nel teatrale, dico nella rivista classica, c'era chi rinunciava a un po' di paga per avere il camerino numero uno.. Roba da matti...». «Già: i camerini!». Ero andato da Sergio Tofano per proporgli di partecipare ai Karamazov tv. Il signor Tofano passava tutte le estati a Milano in un piccolo appartamento di via Cavallotti, pieno di mosche e di caldo «Vede? - mi disse -, io vivo e lavoro in uno studiolo che pare un camerino, con le sue brave foto alle pareti, lo specchio, le matite. Ho anche un copione sul tavolo, con tanti segni. Più che un copione, e un libro che si chiamerà II teatro all'antica italiana. Vecchia polvere che e rimasta sulle memorie di una stagione che fu. Ma guardi, guardi, se le fa piacere...». Spuntava un capitolo con su scritto «I camerini». Tofano si mise a sorridere, sotto l'ombra elegante dei suoi baffetti gracili. «Racconto anche i camerini, perché ne ho conosciuti tanti... Oggi sono dei salotti buoni, con la poltrona in vinilpelle, il ventilatore, lo specchio assediato dalle lampadine bianco-latte, come nei film di Hollywood. Ma un tempo... Erano bui, sinistri, il sole era in quarantena. Esisteva già il gas. ma i camerini s'illuminavano solo con le candele. Il divo, quello con diritto al camerino numero uno. aveva in dotazione quattro candele; i ruoli, due; i generici, una. Sembrava di stare nella sacrestia di una chiesetta tra le montagne. Qualche grandissimo attore riusciva a rimediare una quinta candela che piazzava al centro del tavolino e tutti, in processione, passavano a venerarla. «Si potevano vedere le spoglie di un divanetto sbrendolo, sotto il quale riposava il vaso da notte isolo più tardi gli attori impararono a far pipi nel lavandinoi. Nello stanzino si faceva colazione alla cartaginese, vale a dire col cartoccio di pane e salame. Le mamme allattavano i figli, ma in fretta e furia, per paura di fare scena vuota. Quando la recita finiva, ì comici non scap- pavano, non si decidevano a lasciare il camerino, che era cosa loro, per andare in una pensione, certo più calda, ma più estranea. Si attardavano davanti alla cha touille, la scalcia che conteneva cipria, baffi finti, rossetto appassito, pettini sdentati...». Tofano apri una finestra per tare entrare un po' d'aria, che sembrava uscire da un caminetto sventolato. «Nel libro non c'è, Ma voglio raccontarle una leggenda da camerino, che gli attori si tramandano. Mi ascolti Anni fa, a Siena, durante la Quaresima, era obbligatorio cambiare commedia ogni sera. Quaranta giorni durava la Quaresima: quaranta dovevano essere gli spettacoli, uno diverso dall'altro. Una fatica sovrumana recuperare dei testi agevoli, comodi. Si frugava nei bauli sperando di scovare qualche lacero copione, abbandonato da tempo, scritto a più mani. Un canovaccio su cui improvvisare «Achille Majeroni, attore di turpe e discinta grandezza, lei lo ricorderà ne / vitelloni d: Fellini. riuscì a trovarne uno che gli parve esemplare. Titolo Morte nel camerino, scena unica iun camerinone. appunto, che sarebbe stato fatto con la tela tenuta su con le cordei, tre personaggi, moglie, amante, marito Un delitto Majeroni sarebbe stata la vittima, riscuotendo così la simpatia e la pietà del pubblico. Majeroni convoco nel suo vero camerino l'attor giovane che avrebbe dovuto pugnalarlo. "Eccoti l'arma. Tienila cara, perché fa parte della mia collezione privata. Che io non la veda, ma tu cerca di farla brillare, sotto le luci, dira funesta. Poi colpiscimi, senza tema al costato: e ben protetto Uno, due colpi forse. Poi butterai il pugnale e fuggirai. Chiaro?" «Ildelitto sarebbe scoccato cinque minuti prima del finale, quando Majeroni, davanti allo specchio del camerinone, stava straccandosi. Ma il giovane aveva fatto in tempo, nell'attesa, ad addormentarsi, dopo aver dimenticato il pugnale chissà dove Arrivato il momento, il direttore di scena lo scaraventò sul palco: e fu li che il ragazzo si accorse di non avere il ferro. Brancicò, con la mano, frugo sotto il corsetto: niente. Allora, a passi felpati, raggiunse Majeroni, il tempo per sibilargli: "Non ho l'arma". Majeroni si alzò, con negli occhi le fiamme dell'inferno Avanzò verso la ribalta, seguito dal generico in lacrime. Presto: dammi un calcio nel culo!" Il giovane rabbrividì. "Ma come faccio! Lei è anche commendatore...". "Obbedisci, cretino!" L'attore attese due, tre secondi poi sferro la pedata assassina là dove Majeroni aveva ordinato. Il grande vecchio fece un ultimo passo, alzò le braccia al cielo e urlò con una straziante voce da baritono cornuto: "Muoio' Il mascalzone aveva il piede avvelenato!". Il giovane fuggì, il sipario calò, i macchinisti sciolsero le corde e il camerinone si abbatte sul Commendatore dalla chiappa umiliata». Sandro Bolchi /figli di Scarpetta nacquero nell'intervallo Tofano: mi truccavo tra quattro candele Per la Wandissima un tripudio di rose 1 7 LA Sa Osiris: liti, amori rubati, m/figT Wanda Osiris, si eamb-iva in -una boutique delle meraviglie Qui a fianco Sergio Tofano nel suo camerino Sotto: Eduardo. Titina e Peppino De Filippo