Al Muro del Pianto americano

Al Muro del Pianto americano Al Muro del Pianto americano Con i veterani nel giorno del Vietnam il mausoleo mi caduti 2© anni s>opo WASH Ei WASHINGTON ""IJFpio I" vuto tutto il giorno, qui a Washington, è piovuto con gocce; grosse di primavera che correvano sulle pareti di granito nero, rimbalzavano sui nomi dei morti, appassivano le bandierine e i fiori incastrati nelle crepe e infradiciavano i volti, lavando via il polline d'aprile e la polvere della storia, ma non i suoi dolori. Il calendario e i giornali dicono che fini tutto vent'anni or sono, fra il 29 e il 30 aprile, con gli ultimi elicotteri dei Mari nes in fuga da Saigon, ma qui, davanti al Muro del Pianto, davanti al memoriale dei 58 mila 191 americani caduti per perdere una guerra, il Vietnam non potrà finire. Almeno non sinei a quando saranno vivi gli uomini e le donne che 20 anni fa chiamarono papà, mamma, figlio o amante i nomi scolpiti nel granito nero e bagnato. C'era più gente del solito, dunque più lacrime; e più fiori, ieri mattina davanti al «Wall», al Muro. Nessuno aveva organizzato niente, nessuno aveva convocato amici o parenti o : reduci, ma la coda era lunghissima per scendere nella fossa di prato e marmo che da 13 anni ricorda i figli e le figlie dell'America divorati dall'Indocina. Nessuno ha fatto di scorsi, nessuno ha osato commemorare una data che non si vorrebbe ricordare e non si può dimenticare. Ma sono sfilati per ore, le «barbe grigie» dei reduci e i capelli azzurrini delle madri, i bambini con gli occhi di chi non capisce e i vecchi con i cappelli flosci dei soldati da giungla, grondanti di acqua. Fermandosi per un momento a sfiorare; con le: dita il nome che erano venuti a sa lutare:, nel giorno della vergogna. Non giorno dell'ira, ma giorno del rimpianto umane), attizzate) dalle immagini che corrono sui televisori, dalle ricostruzioni giornalistiche, dalle sequenze disperanti di quelle ultime; ore, quando anche i sergenti dei Marines piangevano, staccandosi per l'ultima volta dai tetti di Sai gpn e dalle mani protese dei vietnamiti che non avevano sapute) «salvare;». Nem ci seme) neppure più i banchetti dei «Mia», le famiglie dei dispersi ostinatamente convinte; che. i mille' e: 3(>e) soldati di cui si ò persa traccia fossero tenuti in ostaggio dai vietnamiti per negoziare il riscatto in danaro con la Casa Bianca e il Pentagono. Ormai, mentre si stanno aprendo le ambasciale dei due Paesi nelle rispettive capitali ed è finito l'embargo economico contro Hanoi, è impossibile credere che Hanoi rischi la normalizzazione; per «vendere» un prigioniero. Anzi, il Vietnam eccede nelle) zelo, spedendo al Pentagono cas sitile' e: cassette: di «resti urna ni», di ossa di caduti america ni, tra le: quali di tanto in tanto, come scoprirono i patologi militari americani, infilane) anche qualche osso d'animale, per far mucchio. Oue:sto «Murei», questa grande quinta di manne) a forma di «I.», scavata nei prati attorno alla Casa Bianca, pagata tutta con le- sottoscrizioni pri vate' tle:i reduci e: tlelle: famiglie: dei caduti senza un centesimo pubblico, imposta a governi che non ne: volevano sapere, e il contrappunto perfette) e ma linconico delle; celebrazioni in corso a Saigon. Laggiù, a 12 fusi orari di distanza, dunque all'altre) capo del monde) e: del la storia, si festeggia, (lui si piange. A Ho Chi Minti City, come: il governo vietnamita finge: di chiamare: eiggi Saigon, si celebra «la luminosa vitto ria» sento il sole bruciante eli'i tropici. Al Muro ci si contenta di non dimenticare i meirti, sotto la pioggia. Là sfilano i reparti vittoriosi. Qui gli orla ni. Vede) una mazza eia golf, un «drive:r», appoggiato al «Wall» dalle: parti dei nomi che: cominciano con la «K». il manico depositate) con cura sul nome del capitano Michael Kilpa triek, lst Marine: Di vision, e un messaggio slavate) dalla pioggia: «Impara finalmente a giocare;, adesso che ne hai il tempo». Lin catalogo eli ricordi Anche questa mazza, come mille oggetti, messaggi, bandiere, medàglie, lasciati davanti ai nomi, infilati nelle fessure Ira le lastre: del marmo, finirà nel magazzino dei Park Kungers. la polizia dei parchi nazionali, che; raccoglie da 13 anni circa mille1 «ricordi» ogni mese e- li cataloga con una cura maniacale che tradisce, die:trei la puntigliosità burocratica, l'amori'. Porche questo si sente: nella fossa dei itomi, non rabbia, non Storia, non ideologie ormai senza scuse), ma un amore1 e:he: esistenze normali avrebbero forse sfitirito, avvelenato. K che un proiettile vietcong sparato per le; vie; di Saigon, un colpo eli mortaio esploso nelle marcite del Mekoug. un missile antiaeree) hanno inveci' fissato per sempre nella memoria di chi è vivo, come i nomi nel Muro. Non avevo mai viste), in questo luogo straordinarie) dove vengo spesso, deilce: e straziante come: un cimitero eli bambi ni, tanti fiori nelle crepe, tante «petit riens», piccole cose da niente lasciale: sul marciapiedi chi" costeggiano il Muro, come in questo 30 aprile. «Oggi tutti i giornali ricordane) che avete perse) la guerra, ma per me sa rai sempre un vincitore, Homer. my love», ha scritte) una mano, per un mento che: credei sia il sergente Homer Pi'ase, 313a brigala «RRB», chissà chevuol dire-, «liceo la tua medaglia, eroe», sta appeso a una «Silver Star». Per terra, la schiena appoggiata al Mure), gli si lipidi occhiétti di vetro puntati verse) il nulla, un orsac chiotto di pelouche siede con un cartello al collo, plastificato contro le intemperie "Non sei mai riuscito ad addormentarti senza e mi sento troppo egoista a tenerlo ancora per me-. Buonanotte baby. Memi». I «Rangers» ne- hanno raccolti 050 di orsacchiotti, in que-sti anni, sempre' portati da madri che, une) a linei, se ne separano e li restituiscono ai tigli, prima eli raggiungerli. (limiterò di bambini E in fondo un cimitero di barn bini e. queste) Memoriale eretto per una generazione innocente, spinta verso la morte sua, e la morte di altri innocenti uccisi dalle leiro anni, da strateghi con il sedere sulla sedia e la testa fra le- nubi dell'odio ideOlo gico, come quell'ex ministro ilella Difesa, e gratuli- «falco». McNamara, che Ita avuto il cai tivo gusto di pentirsi con un li prò sole) oggi, invero un po tar di Porse è il disegno del mausoleo, cosi poco marziale, prò gettato da una donna, da una asiatica proprio come i nemici tfjàjeri, Maya Xing I.ing. a faredi questo monumento non un urlo retorico, ma una carezza materna, quasi un utero protettivo scavato nella l'erra l'utto, dentro le sue pareti scure, acquista un sapore tenere), inoffensivo, come i «Green Heri'ts» ingrassali, i Marines or mai artritici, la vecchia uniforme mimetica che tira disperatamente sulla pancia, i giub boti i di nailon della US Air Force ricuciti sulle- spalle dove si erano strappati. Un vecchie) signore con la bustina azzurra dell'aviazione sopra i capelli grigi si china a fatica, appoggiandosi alla moglie, per sfiorare con le dita un come sfortunatamente per lui inciso in basso: Frank Miller. Forse erano piloti di U52. forse hanno sganciato napalm, bombe da una tonnellata, mine' antiuomo, sulle risaie innocenti d'Indocina Ora sono soltanto vecchi vivi e bambini morti. V. non si sente un'imprecazione, non si avverte un brivido di rancore, neppure di antipatia, per quei «vincitori», dunque per gli uccisori elei «nomi» incisi, che a 12 fusi orari di disrm za ricordano con grande discrezione, va detto - il loro trionfo sull'America. Gli «Yankee?» della propaganda vicina mita. i «Charlies», come questi morti chiamavano tutti i Vie tcong, del disprezzo america no, non esistono più. Non li avevo visti nella Saigon che sogna il ritorno dei dollari, non li vedo oggi nel silenzio bagnato del Memoriale. «Noi abbiamo fatto il nostro je)b". loro han no fatto il loro, hanno vinto loro. Peccato che; ci siano voluti 50 mila modi nostri e tre milioni loro per capirlo», e il se>!o commento che riesce) a internere da un colonnello Ripley, come scrive la targhetta di stoffa cucila sulla vecchia divisa. l.a guerra santa, la «Jihad» ami-imperialista e anti-comunista di una generazione, torna a essere soltanto il «job», la fatica, il dovere del tempo successivo Ci saranno certamente altri anniversari del Vietnam, altre ricorrenze da sottolineare, i 30 anni di questa battaglia e i 50 anni di quella tragedia. Anniversari sempre più flebili, sempre- più artificiosi nel ricordo di reduci e di parenti che invecchiano e muoiono, lasciando i giovani a chiedersi, se ne avranno ancora voglia, che cosa mai sia quell'utero di marmo nero scavato nel centro di Washington. Ma e>ggi il ricordo dei ventanni dall'Apocalisse ò ancora tangibile come un vecchio accendisigari «Zippo» con le insegne del 210° Stormo da ciccia, che qualcuno ha restituito finalmente al suo proprietario, proprio in questo giorno: «Te l'avevo fregate) a Pleiku. Billy, ma ora te lo riporto. Fuma pure quanto ti pan->. Ne avevo visti a centinaia, di /.ippo militari americani cosi, venduti da scugnizzi e ve-c chiotte sui marciapiedi di Saigon ai turisti per pochi dollari, e ne ritrovo uno qui. all'altro capolinea della Storia. Il cerchio della Storia si chiude. Questo rimane delle guerre che sembravano lauto importanti ieri, un nome' su una parete di marmo, un accendino, uno scroscio di pioggia. Vittorio Zucconi In ex colonnello «Noi abbiamo fatto il nostro "job" loro, il loro Peccato per i morti» Nessuna cerimonia nessun discorso solo lo sfilare muto di barbe grigie madri e bambini C'è una folla lunghissima che aspetta in fila di scendere nella fossa d'erba e marmo Il pianto di un giovane davanti al Vietnam Memoria!- eretto a Washington con i nomi dei 58 000 marines uccisi nella guerra A sinistra due boy scout fotografati ieri davanti alla stessa parete del monumento

Persone citate: Frank Miller, Green, Homer Pi'ase, Maya Xing, Memi, Michael Kilpa, Park Kungers, Ripley, Vittorio Zucconi, Zippo