Parliamone di Ferdinando Camon
Parliamone Parliamone NEI ROMANZI OGGI IL LAVORO È' GRIFFE NON IDEOLOGIA e e à ERCHE' ieri la narrativa operaistica-impiegatizia sfornava tragedie, e adesso sforna commedie, o addirittura farse? Ho qui davanti Paso doble, il secondo romanzo di Giuseppe Culicchia, 29 anni, il cui primo libro. Tutti giù per terra, corre già in traduzione (Francia, Germania, Olanda, Spagna) a raccontare il mondo giovanile italiano. In Paso doble torna quello stesso mondo, che è il mondo del primo lavoro, il vecchio mondo della nostra narrativa aziendale: ma stavolta divertente, grottesco, esilarante. Tra Ottieri-Volponi-Parise e Culicchia si sono interposti Villaggio e Altan, Fantozzi e Cipputi. Ma l'ambiente è identico: il lavoro irrinunciabile-inaccettabile, l'ufficio dove vivere vuol dire morire, i colleghi-nemici, un sesso facile e inutile, superiori nevrotici o psicotici, Italia demenziale, Europa pazzoide. Perché questo mondo, che ieri era atroce, oggi fa ridere? E' forse meno cattivo? Al contrario, rappresenta la definitiva vittoria di quel tempo. Uomini-robot, tempi-stretti, carriera-suicidio, sesso-amao, famiglia-manicomio, padrone-dio, direttore-angelo, nel senso che 6 un essere intermedio tra la terra o il cielo. Il padrone-dio è ancora augusto, in senso etimologico, dove si mostra aumenta la felicità. Ma il padrone non lo vedi mai,'al massimo trovi top-manager, direttori generali, e quando li vedi sono guai: vengono a portare ordini che ti schiacciano. Non hai scampo. Ma in Ottieri-Pariso-Volponi-Calvi no c'è sempre la lotta, qui mai. Il mondo giovanile-aziendale di Culicchia è un mondo passivo: la vita viene e ti porta via, lasciati andare. I personaggi della letteratura industriale non si lasciavano andare, il padrone voleva ridurli ad «anime morte», ma loro sognavano di partecipare alla guida dell'azienda. Qui in Culicchia le anime non ci sono neanche morte, questi sono solo corpi, vestiti, nutriti, sessuati: quando Culicchia vuol ritrarre un personaggio elenca semplicemente le griffes che lo coprono, cravatta Church's, abito Valentino Uomo, scarpe Fratelli Rossetti, occhiali Oliver Peoples. I personaggi di Volponi credevano nella fabbrica, quelli di Calvino nell'operaio: qui «Super Mario crede in Versace, Egidio nella Lega, Arnaldi o Arnoldi nel budget». Nella vecchia industria si cercava la salvezza, collettiva prima che individuale. Qui l'unico spostamento in avanti è «verso la moglie o l'amante nevrotica, e la calvizie incipiente». E' come se la vecchia industria fosse venuta, e invece della salvezza avesse portato la pazzia. Il protagonista di Culicchia va dappertutto, taglia l'Europa da Sud a Nord, e dappertutto trova quello che lascia: in Finlandia rivede un pezzo di Torino. In particolare, stessa tv. Sicché alla fine torna indietro, rassegnato. A quel punto l'industria lo riprende e lo promuove direttore. Anche il passaggio dall'altra parte è uno scherno. I giovani han ricevuto un mondo in cui niente è come vorrebbero, tutto è grottesco o paranoico. Il romanzo è una continua risata sulla universale paranoia. Ma a questo punto è chiaro: la risata è possibile perché nella letteratura industriale di ieri mancava tutto, libertà, salute, relazione; oggi il tutto c'è, ma non c'è l'essenziale, cioè il lavoro, il lavoro su misura, l'autorealizzazione. Senza lavoro, quel tutto appare insensato. La risata è la difesa da questa insensatezza. Ferdinando Camon
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