Il sogno di Mozart fantastico e leggero

«Mitridate re di Ponto», successo al Regio nell'allestimento del Covent Garden «Mitridate re di Ponto», successo al Regio nell'allestimento del Covent Garden Il sogno di Mozart fantastico e leggero TORINO. Grande successo al Regio del «Mitridate re di Ponto», l'opnra di Mozart quattordicenne presentata per la prima volta a Torino nell'allestimento del Covent Garden. Il regista Graham Vick e lo scenografo e costumista Paul Brown hanno fatto un lavoro geniale, basato sulla consapevolezza che nell'opera seria del Settecento la musica non aveva una funzione portante, come nel melodramma ottocentesco, ma era considerata uno degli elementi capaci di abbellire il testo poetico come le scene, i costumi, i movimenti degli attori e le improvvisazioni dei cantanti. Solo cosi si spiega il fatto che un libretto poteva essere musicato dieci, venti, cinquanta volte da musicisti diversi: ogni teatro aveva l'ambizione di fornirne un nuovo allestimento musicale, con la stessa disinvoltura con cui oggi si cambia quello visivo. Seconda, giusta convinzione di Vick è che l'opera seria non ha nulla di realistico, ma ci trasporta in un mondo fantastico di «sogni e favole», come diceva Metastasio. Si tratta quindi di riprodurre oggi, con mezzi e gusto moderno, il senso di quel sopramondo favoloso e illusorio, artificioso e magico di cui l'arte belcantistica degli evirati era espressione suprema. Tutto ciò che è «strano» rispetto al nostro orizzonte d'attesa viene quindi convogliato in questo «Mitridate» e fuso con la capacità di accordare tra loro le cose più diverse. Prendiamo i costumi. Crinoline schiacciate e larghissime imbrigliano la figura femminile; sporgenze laterali allargano i corpi dei maschi su cui si riversano metri e metri di stoffe colorate: il blu di Sifare, il verde smeraldo di Farnace, il giallo di Mitridate con la sua corazza sbalzata in oro; e poi fiori, arabeschi, ramages variopinti. Nel primo atto i personaggi sono acconciati alla giapponese, e le suggestioni del teatro Kabuki perdurano nella gesticolazione; nel secondo compaiono parrucche settecentesche e son¬ tuose vestaglie. Del Settecento c'è pure il ricordo delle cineserie, nel costume di Ismene, con l'aigrette sul capo; ma quel che più conta per ottenere che il pubblico segua incantato tre ore e tre quarti di opera metastasiana, è la drammaturgia dei gesti che Vick organizza dialogizzando ogni pezzo musicale, muovendo comparse c personaggi, ora con movimenti silenziosi d'acquario, ora con scatti duri e taglienti di automi. Insomma, par di abitare un sogno dove la meraviglia sta nella fantasmagoria coniugata alla leggerezza: nulla mai grava, infatti, sulla musica di Mozart in cui si vedono molti semi che fi unificheranno in seguito. La dolce malinconia di Aspasia, appresa alla scuola della melodia napoletana; l'energia sinistra di Farnace; la nobiltà di Sifare; l'eleganza di Ismene; la maestà di Mitridate cominciano già ad abbozzare larvale parvenza di personaggi che la regia ha concretizzato oltre ogni previsione. Chiamato a Milano per la composizione dell'opera nel 1770, il ragazzo riversò nella partitura la sua sapienza strumentale di musicista austrotedesco: e l'altra sera il direttore Evelino Pidò ha saputo metterla in rilievo, pungolando a dovere un'orchestra che trova in Mozart, sempre, un osso durissimo. Ottimi i cantanti, che il Regio ha scelto nella consapevolezza delle esigenze acrobatiche imposte dal «Mitridate». Le quattro donne sono tutte all'altezza della situazione: Alexandrina Pendatchanska (Aspasia) e Barbara Frittoli (Sifare) che intrecciano le loro voci nel duetto del secondo atto, mentre sorge, enorme e gelida, la luna. Bernadette Manca di Nissa è un contralto di esemplare sicurezza e chiarezza di dizione: il meglio per dar vita al personaggio Farnace, esaltato dal regista nella sua natura di inquieto traditore. Bravi anche Laura Claycomb nella parte di Ismene e Robert Swensen in quella del protago¬ nista. Le luci di Nick Chelton che investono da diverse angolature il rosso pompeiano della scenografia e le coreografie di Ron Howell hanno contribuito alla bellezza dello spettacolo. Impossibile tacere l'entrata di Mitridate nella sala del trono, accompagnata dal martellante scalpicciare dei cortigiani, o il contrappunto che le figurazioni di spade, bastoni, lance, offrono ad una gestualità ora solenne, ora pronta ad accasciarsi sotto il peso di un'insostenibile emozione. Anche i passi di danza che accompagnano alcune arie non sono fuori posto; anzi, ne rompono la staticità; per non dire dello squarcio di pittura barocca nell'ultimo quadro, quando un ponte levatoio precipita portando in scena Mitridate ferito a morte, mentre sullo sfondo fuma il campo di battaglia: effetto spettacolare e detonatore per gli immancabili applausi. Paolo Gallarati Pidò pungola a dovere l'orchestra, ottimi i cantanti, scene e costumi affascinanti Alexandria Pendatchanska (Aspasia) e Barbara Frittoli (Sifare) nello spettacolo. A destra un'immagine di Robert Swensen, nella parte del protagonista

Luoghi citati: Milano, Torino