«Il Duemila fa paura? Un dio pagano ci salverà» di Maurizio Assalto

16 discussione. Libro-profezia di Natoli: la cristianità è alla fine «Il Duemila fa paura? Un dio pagano ci salverà» L secondo millennio della cristianità è agli sgoccioli; all'alba del nuovo millennio ci risvcglieremo pagani? 11 Dio della Bibbia si ritrae; torneranno gli dèi dell'Olimpo? Con un recupero anche formale di schemi mentali classici (il ciclo al posto dell'evoluzione lineare), Salvatore Natoli annuncia la lieta novella: la via di scampo per un mondo orlano di certezze, ostaggio del mostro tecnologico che ha creato, sospeso fra la tentazione del nulla e il rischio dell'autodistruzione. Torniamo ai greci, è la proposta che vien fuori dai suo libro / nuo\n pagani, in uscita dal Saggiatore. 0 meglio, «scegliamo» i greci, assumiamoli consapevolmente come «idealtipo»: utile per «attivare una distanza», secondo l'intuizione di Nietzsche, per liberarci del nostro recente passato e reimpossessarci del passato più lontano in vista del futuro. Filosofo di formazione teoretica, allievo del «parmenideo» Severino, già nei recenti scritti sul dolore e sulla felicità Natoli aveva sviluppato il suo pensiero in un costante confronto con l'universo spirituale dei gentili. Questa volta si spinge più in là, parla di «possibile pedagogia», di «progetto antropologico»; «7 nuo\n pagani, l'umanità che ci piacerebbe divenire, l'umanità che vorremmo essere per rendere migliore, più gradevole, più abitabile la terra». Un'ambizione troppo vasta, un sogno folle, un'illusione? Bisogna chiarire: il neopaganesimo, come lo intende Natoli, è «quell'atteggiamento che coincide con Velica del finito»; e l'etica del finito, prima ancora che un elenco di doveri, è un certo modo di comprendere se stessi e il mondo. Anche il cristianesimo conosce e tematizza la finitudine umana: ma si tratta di una finitudine creaturale, non naturale. Ecco la differenza specifica. E anche la causa lontana del morbo più pernicioso, quel cupio dissohn che ha inghiottito il nostro secolo. Senza la grande rottura rappresentata dal cristianesimo, dice Natoli, il nichilismo non si sarebbe infiltrato e oggi non dilagherebbe nella cultura dell'Occidente. Nell'ottica creaturale l'uomo e il mondo intero sono tenuti in essere da Dio, senza il quale «tutto sarebbe nulla o, più esattamente, nulla sarebbe». Tutto comincia di qui: «L'enfasi del nulla è conseguenza di un'indebita assolutizzazione del positivo, e come tale ne rappresenta il rovescio e insieme la nemesi». Gli effetti si vedono quando, nel mondo moderno, viene meno la certezza di Dio. Non resta che il nulla: e, quindi, la disperazione e la denigrazione del mondo. 0 qualche cosa di peggio: orfani dell'Ente che ci ancorava all'esistenza, ci rimane nondimeno il pericoloso retaggio della sua onnipotenza. Per sottrarsi al prepotere del nulla, l'uomo si sostituisce a Dio dimenticandosi della sua finitezza: è l'assalto al cielo, l'ambizione titanica della tecnica e della razionalità ino- dema che non può risolversi se non in uno scacco. I disastri ambientali, i mostri della manipolazione genetica, lo sfacelo delle ideologie ne sono un segno. Le battaglie ecologiste, la bioetica, la confusa ricerca di strade alternative per la politica sono la reazione, e insieme la spia di una diversa sensibilità (se non ancora di una nuova comprensione) che si va diffondendo: è il neopaganesimo, spiega Natoli, che riaffiora dalla crisi della cristianità, e che occorre rendere consapevole «per forzare le inerzie del tempo». Ecco allora la funzione del modello. L'uomo greco è consapevole dei propri limiti e non brama l'infinito (da Solone ai tragici, è tutto un richiamo al rispetto della misura, a non valicare i confini, a non tralignare nella ybris) ma proprio per ciò ò sufficiente a se stesso. Conosce il dolore dell'esistenza ma non vive straziato fra le mortificazioni del presente e l'attesa di un riscatto oltremondano; sa che la vita è breve (ephemeroi è l'attributo più ricorrente degli uomini, per esempio nel Prometeo di Eschilo) e cerca di non sprecarne nulla; sa che la fine incombe (il nostro destino è simile a quello delle foglie, cantavano Omero e Mimnermo) e però non cerca di esorcizzarla, perché conscio che la morte non è conseguenza di una colpa ma presupposto di un'altra vita (ancora Omero sulle foglie: «Il vento le fa cadere a terra ma altre ne spuntano sugli alberi in fiore quando viene la primavera»). E' da questa serena consapevolezza che l'antico greco trae la forza per salvarsi, da solo, qui e ora: con l'aiuto, se possibile, degli altri compagni di finitudine. L'era neopagana, sottolinea Natoli, non escluderà il cristianesimo, inteso come fede. Quel che finisce è la cristianità come risoluzione unitaria dell'esistente in ogni suo aspetto. Ma in questo domani che (forse) è alle porte saremo al riparo da qualsiasi titanismo. E sarà (forse) possibile «un mondo senza più peccato originale», perché per un uomo all'altezza della propria finitudine neppure la tentazione del serpente potrà più risultare credibile. In mano ai nuovi pagani, anche la tecnica non farà più paura? Maurizio Assalto «L'etica greca contro il nichilismo e il delirio d'onnipotenza» filosofo Salvatore Natoli. A destra: particolare di un'anfora greca

Persone citate: Natoli, Nietzsche, Salvatore Natoli