Senza il Viceré si scardina il forziere di via Toledo

Senza il Viceré si scardina il forziere di via Toledo Senza il Viceré si scardina il forziere di via Toledo NAPOLI ITE quel che volete, ma tre eruzioni catastrofiche a via Toledo in neanche un secolo e mezzo, se permettete, son proprio la negazione della napoletanità, il ribaltone del carattere nazionale, 'na vera chiaveca, come ci esternava costernato all'imbrunire uno dei partecipanti alle ultime, epiche notti dei lunghi coltelli. S'era forse appena digerita la fine dei Borbone, che del Banco di Napoli avevano fatto la Banca Centrale, abilitata a batter moneta anche nel Regno d'Italia. E che ti capita? Che va alla deriva, in un fumigare di lava, la Corrente del Golfo, che pure sembrava indistruttibile, eterna come i sassi di Pompei. E come se le disgrazie non bastassero (vTerque quaterque...», recitano molti napoletani per esorcizzare la scalogna), muore Re Ferdinando, che non era un Borbone, ma don Ferdinando Ventriglia, l'uomo che per qualche lustro, gran visir democristiano e Viceré del potere economico al Sud, è stato capace di tenere il coperchio serrato su una delle pignatte più mefitiche che bollissero in tutta Italia. E se fosse ancora vivo? L'aveva detto lui stesso non più tardi del novembre scorso a Giovanni Somogyi, un professore mandato a Napoli da Bettino Craxi, folgorato oggi da Forza Italia: «Il bilancio si può chiudere in attivo». Ma don Ferdinando è morto, l'ex de ha tirato le cuoia nelle mani del cerusico Buttiglione, e - colmo di sventura - anche la nuova destra non sta tanto bene e, soprattutto, lottizza al ribasso, spesso mette addirittura 'a fessa in mano e' creature. Lo stesso don Ferdinando, per la verità, prescindeva da Bruno Bianchi, nuovo direttore della Vigilanza della Banca d'Italia, che a un certo punto, stravolto giustamente dai rumori napoletani, ha spedito una ventina di ispettori in assetto di guerra per scoperchiare il cratere e portare finalmente in superficie quasi 1200 miliardi di perdite e i segreti di qualche decennio di vicereame. Ma, se vogliamo, il caso Banco di Napoli va ben al di là delle perdite, dei debiti incagliati e delle sofferenze, perché è di più: è come la metafora dall'Italia che cambia replicando se stessa. Cosa succedesse prima quasi tutti lo sanno fin da un celebre libro dello storico inglese Percy Allum: il fratello di Antonio Gava, un po' sfaccendato - per dirne una -, doveva mettersi in affari? Bastava andare a via Toledo e chiedere i denari per aprire una concessionaria d'auto. Rapivano - che so? - Ciro Cirillo? Che ci stava a fare il Banco se non per trovare i denari del riscatto da girare graziosamente vuoi ai camorristi, vuoi ai terroristi? Non era stato messo apposta in consiglio d'amministrazione, per dirne solo uno, Pasquale Acampora, un commerciante semianalfabeta promosso banchiere sul campo? Ma - segno dei tempi - anche lui a un certo punto si ribella e, quando la Corrente del Golfo comincia a non tirare più, va da un giudice e gli racconta: «Eccelle, io glielo ho detto a don Antonio Gava: "Non sarete asciuto pazzo!"». Ma che contestare, in fondo, al povero Acampora, deprivato dei suoi Numi, se persino don Ferdinando a un certo punto, dopo averlo visto trascinare Paolo Cirino Pomicino in catene, racconta ai giudici di Tangentopoli che chillo lo ricattava? Gli aveva chiesto 357 milioni per la Polisportiva Partenope e don Ferdinando gli aveva risposto: «Come si fa?». L'altro non aveva dovuto faticare ricordandogli che il 2 luglio successivo - siamo nel 1992 - al matrimonio di sua figlia ci sarebbero state tutte le alte cariche dello Stato e che, certo, non sarebbe stato opportuno che si fosse saputo del diniego di poche «petecchie». Stupenda, italianissima napoletanità. Chissà che avrà detto l'onorevole Rastrelli, neopresidente della Regione Campania, per ottenere 10 miliardi per il «Secolo d'Italia», attraverso un'operazione in marchi. Chissà chi fu a occuparsi dei miliardi all'«Unità» e al «Manifesto» e chissà chi mai chiese la nomina dell'ex senatore comunista Carlo Fermariello ad amministratore del Banco di Napoli International. Forse lo sa l'onorevole Parlato, postfascista sottosegretario nel governo Berlusconi, che ha fatto un sacco di interrogazioni, ma non deve avere gran voglia di rivelarlo, magari perché poi 'o Banco, diciamolo, non ha mai avuto figli e figliastri, ma sempre figli di primo letto, prima i potenti, naturalmente, poi anche i poveri con pegni inferiori alle 20 mila lire. Trattamento buono, diciamolo, ma mai quanto quello riservato, ad esempio, a Ciro Mariano, detto 'o Picuozze. Chi è? Sentite: capita che gli agenti della Criminalpol arrestino questo Tizio insieme a un uomo d'affari milanese. Nella sua borsa i poliziotti trovano assegni per miliardi firmati da Lello Scarano, ex sindaco di Portici, naturalmente della Corrente del Golfo. Scarano aveva una società con 20 milioni di capitale sociale e debiti per 12 miliardi, che era riuscito ad affrontare - beato lui - con un mutuo di 8 miliardi del Banco. Miseria e nobiltà, come direbbe Totò. Perché, passato il 27 marzo 1994, data della grande affermazione elettorale del Polo di centrodestra, il Banco ha cominciato lesto a riconvertirsi. Di fronte agli occhi attoniti degli ispettori della Banca d'Italia, che forse mai erano capitati in una palude così mefiticamente ed abilmente lottizzata, scorrono i crediti, gli ultimissimi, al Gruppo Fininvest, elargiti graziosamente dalla Filiale di Milano. Ecco, forse dovevate sapere tutto questo, una frazione peraltro infinitesimale della storia di una Grande Istituzione Borbonica, per tentare di capire ciò che sta avvenendo in queste ore. Il presidente del Consiglio Lamberto Dini, torna da Washington e, un po' intronato dal jet lag, di che cosa si occupa? Forse delle mattane di Berlusconi e di Bertinotti? O dei desiderata di Cofferati e D'Antoni per le pensioni? Nient'affatto, si butta a corpo morto - in spirito - a via Toledo. Certo è un po' difficile sostenere quel professor Marzano di Forza Italia, che Franco Nobili, ex presidente dell'Iri voluto da Andreotti e campione della partitocrazia più dissoluta e tangentocratica, grande amico del nuovo proprietario del «Mattino» Franco Caltagirone, aveva messo a capo della finanziaria pubblica del Sud, «Meridiana», che ha fattoy7op prima ancora di nascere, così impregnata com'era di logica tangentizia. L'impasse è tale che bisogna mettere in campo - Berlusconi insegna, almeno come lessico un sottosegretario in carica, che - bontà sua - scenderà graziosamente sotto il Vesuvio. A gestire che cosa? Non vorremmo dirlo, giuriamo che ci fa fatica, quasi male, ma ci sembra proprio di assistere al tripudio della neo¬ lottizzazione: Pace (Forza Italia), De Nigris (popolari di Bianco), Mancusi (popolari di Bianco), Martorano (pds di Bassolino)... E così via, in un crescendo con il quale non ci e non vi annoieremo. Ma chissà, poi, se le affiliazioni attribuite - che abbiamo tratto dal «Sole-24 Ore» sono poi il massimo della fedeltà in questo big bang di appartenenze, che nessuno più in Italia è in grado di decifrare, visto che l'onorevole Rastrelli, neopresidente postfascista della Regione Campania aveva impostato tut ta la sua campagna elettorale con le classi emergenti - tasmanian e telefonino - sulla certezza teologica di controllare in qualche modo Via Toledo. Ha da passa 'a nuttaia, ci sussurra, banalissimo, un con vitato alle nottate di crisi tra scorse, ma non sarà facile - la menta - perché manca l'uomo della compensazione, latita il Grande Politico, l'Eminenza Grigia, insomma non ci sta chiù 'o Viceré. Chissà se dobbiamo dolercene o rallegrarcene, visto che il Banco di Napoli non batte più moneta, come ai tempi dei Borbone. Alberto Staterà Gli 007 di Via Nazionale sguazzano in una palude con 1200 miliardi di perdite Da banca centrale dei Borbone a sportello per prestiti di notabili della lottizzazione Hl*rÌ, - ti* Sotto Carlo Pace, nuovo presidente del Banco A sinistra Francesco II di Borbone e Ventriglia