Su Banconapoli il pugno di Dini di Fulvio Milone

Su Baiuonapoli il pugno di Dini Su Baiuonapoli il pugno di Dini Pace va al posto di Coccioli tra le contestazioni del Polo NAPOLI. Un giorno e mezzo di passione, ma l'operazione è andata in porto. Il Banco di Napoli ha un nuovo vertice, sia pure tra mille polemiche, recriminazioni e addirittura ricorsi alla magistratura. Le nomine indicate dalla Fondazione presieduta da Gustavo Minervini e azionista di maggioranza sono state ratificate ieri pomeriggio dall'assemblea dei soci in un clima rovente. Il nuovo presidente è un uomo di Lamberto Dini, Carlo Pace, siciliano di nascita, componente del comitato esecutivo del Banco fra l'84 e l'87 ed attualmente sottosegretario al Tesoro. Succede a Luigi Coccioli, il quale ha spiegato in una lettera che «le dimissioni dei vertici dell'assemblea erano scaturite da motivi di correttezza e dalla sensibilità suggerita dai risultati del bilancio». Ma non è sul nome di Pace che la Fondazione ha rischiato la spaccatura durante una movimentata assemblea durata 5 ore la notte fra giovedì e venerdì. Il fuoco della rivolta, alimentato soprattutto dai consiglieri vicini al centrodestra, è divampato quando si è trattato di riempire le caselle del cda della banca più importante del Mezzogiorno. Ma Minervini e il Tesoro l'hanno spuntata: la lista sottoposta ieri ai soci del Banco è stata approvata. A guidare l'istituto che l'anno scorso ha subito perdite per 1147 miliardi saranno, oltre Pace, i docenti universitari Augusto Graziani e Adriano Giannola, di area progressista, "ex direttore generale del Crediop Luigi Mazzoni, la cui nomina e stata voluta dal Tesoro, il commercialista Lucio Potito e il matematico Giorgio Szeco, vicino al centrodestra. Ma la rissa è stata sfiorata su altri tre nomi, quelli dei dimissionari che la Fondazione ha voluto riconfermare nei loro incarichi: Federico Martorano, anch'egli gradito al pds, Vittorio De Nigris e Angelo Mancusi, simpatizzanti del ppi di Gerardo Bianco. «Più che un consiglio di amministrazione sembra un comitato scientifico», era il commento velenoso che ieri serpeggiava. La componente della Fondazione che si riconosce nel centrodestra sperava in una presenza più massiccia. Come se non bastasse, ad alimentare le polemiche c'è stato anche il «caso» del membro del vecchio cda, Giovanni Somogyi, ex psi passato a Forza Italia, il quale aveva ritirato le dimissioni presentate in precedenza. Vistosi escluso dalla nuova squadra, ha annunciato un ricorso alla magistratura. «Farò partire una citazione da 10 miliardi - protesta -. Hanno ritenuto che io avessi rassegnato il mandato ma non è così: io mi ritengo un consigliere a tutti gli effetti». Il suo intervento ha suscitato battute sarcastiche in assemblea: «Qui manca solo Totò», ha esclamato un socio. Inviperito per le nuove nomine è Antonio Rastrelli, senatore di An eletto domenica alla presidenza della Regione Campania. «Fatta eccezione per Pace e Mazzoni, il nuovo cda è parto di un accordo segreto fra Minervini e Lamanda, il capo di gabinetto del ministero del Tesoro sbotta -. Hanno adottato metodi da setta segreta, non accettando il dibattito democratico. Le nomine sono troppo spostate a sinistra, in questo modo si allontana la possibilità di fare del Banco uno strumento di riscatto del Mezzogiorno, invece di inserire nella squadra alcuni napoletani realmente rappresentativi della città, è stato scelto un gruppo di professori per l'are da corona a Minervini, che appare come un piccolo re». Usa toni quarantotteschi il deputato di Forza Italia Emidio Novi, capogruppo alla commissione Giustizia della Camera: «E' stata un'operazione da colonialismo neocomunista». Di segno opposto, invece, il commento del sindaco di Napoli, Antonio Bassolino: «La Fondazione e il Banco si sono mossi in modo autonomo rispetto ad interferenze partitiche di vecchio e nuovo tipo. Il criterio delle nomine e la qualità delle pei"sone designate sono una buona premessa per il rilancio dell'istituto di credito». Ma la guerra al Banco non è finita: l'assemblea dovrà riunirsi ancora per discutere le proposte di modifica dello statuto, che prevedono l'istituzione di un comitato esecutivo e del direttore generale. Per questo incarico è stato fatto nei giorni scorsi il nome di Federico Pepe, direttore generale della Popolare di Verona, che però non ha dato la sua disponibilità. Fulvio Milone

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