Berlin il furetto ebreo che inventò l'inno di Natale

Instancabile umorista, marito devoto, lavoratore fanatico: la figlia racconta la storia del musicista che visse 101 anni Instancabile umorista, marito devoto, lavoratore fanatico: la figlia racconta la storia del musicista che visse 101 anni Berlin, il furetto ebreo che inventò l'inno di Natale JLONDRA due più grandi mingherlini d'America gareggiavano a far colpo. Irving Berlin, al pianoforte, intonava una canzone con la sua più riuscita faccia da furetto dispettoso. Charlie Chaplin restituiva l'onore con la pantomima di un Amleto dibattuto su dove depositare la caccola appena estratta dal naso. E' un quadretto di famiglia fermo nella memoria di Mary Ellin, la figlia di Berlin intenta a ricordare il padre con una biografia in uscita a Londra e New York da Simon & Schuster. L'infaticabile Irving, con Gershwin e Cole Porter il più celebre compositore di canzoni di questo secolo, vi figura in mezzo a un corteggio di numi hollywoodiani, Presidenti degli Stati Uniti, artisti della tempra di Picasso o Chagall e persino reali inglesi, ma sempre con i piedi saldamente piantati per terra. Pragmatismo e moralità facevano di lui un genitore severo, un marito devoto e un lavoratore fanatico. La modestia gli faceva nascondere tutto questo e dietro una gran voglia di giocare. Con Chaplin aveva in comune la rapidità dell'umorismo e delle decisioni importanti: tanto per dirne una, il matrimonio. Malvisto dalla famiglia della sua ragazza Ellin MacKay, prima ereditiera dell'aristocrazia cattoli ca newyorkese, Berlin aggirò l'ostacolo con un colpo da maestro: telefonò alla sua bella una mattina del 1926 e le propose di correre subito in municipio a sposarsi. Lei si precipitò fuori così com'era, con un vestituccio sgualcito e senza neanche i soldi per pagare il certificato di matrimonio. Fu l'inizio di un'unione inossidabile, che durò 61 anni. Negli Anni Venti, il compositore ebreo che avrebbe scritto Bianco Natale e tanti indimenticabili motivi quali Face the music e Putting on the Ritz, il patriota di God bless America e del musical This is the army fu lì lì per accontentare il Metropolitan con un'opera ragtime, ma dopo qualche tentativo abbandonò il progetto e si dedicò a ciò che sapeva veramente fare, scrivere canzoni. Il decennio successivo vide il consolidarsi della sua fama e delle sue profonde amicizie con George Gershwin (al quale nel 1919 aveva rifiutato un posto da arrangiatore: «La tua roba è troppo buona, scrivi cose tue anziché rimaneggiare quelle degli altri», gli aveva detto), il produttore Sani Goldwyn, Harpo Marx e soprattutto Fred Astaire, con il quale era solito chiudersi in una stanza per le solite ossessive partite a ramino. Irving Berlin è il devoto omaggio di una figlia cresciuta al suono di un pianoforte sul quale udiva comporre soltanto in tonalità di fa diesis. E al suono dei nomi più squillanti del jet-set e della politica: Joan Crawford, che si liberava con un calcio delle scarpe e balzava sul letto dell'altra bambina di Ber¬ lin, Linda, per raccontarle una favola; Shirley Tempie, che destò l'invidia di Mary Ellin perché alla piccola star era permesso di sedersi in una posizione sconveniente, con una gamba ripiegata sotto l'altra; Somerset Maugham, che si divertiva a coricarsi lungo disteso per terra con un bicchier d'acqua sulla fronte e a rialzarsi senza versare una sola goccia. E un mulinello scintillante di comparse: Ginger Rogers, Gary Cooper, Tyrone Po¬ wer, David Selznick, Frank Capra, George Cukor. Franklin Delano Roosevelt non era una comparsa, invece. Invitò più di una volta i Berlin, suoi ardenti sostenitori fin dalla campagna presidenziale, a cenare tète-àtète con lui alla Casa Bianca. Ellin, in particolare, si era dedicata anima e corpo alla causa di FDR: nel 1936 era scesa in piazza, tacchi alti, tailleur e megafono, a fargli propaganda elettorale. «Ti scrivo su carta intestata della Casa Bianca avrebbe scritto al marito in tournée, alla vigilia della morte del Presidente -. E' entusiasmante, ma non divertente perché non ci sei qui tu». Tra le storie più commoventi del libro, c'è l'ultima esibizione di Gershwin al pianoforte. Racconta l'autrice che una sera del 1937 il grande George eseguì per lei alcune delle canzoni che aveva scritto per Fred Astaire: «Le sue mani erano grosse sui tasti, con un forte ritmo e molte fioriture. Si chinò sul piano guardandoci da sotto in su con un sorriso dolce». Dopo cena gli ospiti lo trovarono in giardino, seduto sul parafango della macchina, con la testa fra ".3 rrani, ululante di dolore. Morì qualche settimana più tardi, di tumore al cervello. Disse Berlin alla figlia: «Tu sei forse stata l'ultima persona per cui ha suonato». Il sincretismo religioso era una cosa seria in casa Berlin: i regali di Natale arrivavano subito dopo quelli per la festa di Hanukkah, le bambine visitavano tanto la sinagoga quanto le chiese cattoliche. Per parte sua, l'agnostico Irving era divorato dalla curiosità e durante il lungo tour italiano di This is the army ottenne un'udienza da Pio XII: per ringraziarlo di ciò che aveva fatto per gli ebrei durante il nazifascismo. ((Alcune storie che si raccontano sul suo conto sono stupefacenti», scrisse alla moglie. Liquidò sempre ogni differente versione storica sul ruolo di Papa Pacelli nell'opposizione all'Olocausto. Non fu l'unico incontro straordinario di quella stagione italiana. Al seguito delle truppe alleate in Puglia, Berlin filò dritto a San Giovanni Rotondo con la ferma intenzione di incontrare Padre Pio. Alcune foto dell'album di famiglia lo ritraggono intento a mostrare al frate francescano una copia di Time con una recensione altamente favorevole al primo romanzo di sua moglie. «Ma di che cosa mai avranno parlato, lui ebreo agnostico, e il venerando frate in tonaca?», si chiede l'autrice. Quel che è certo è che Padre Pio si congedò da Irving Berlin baciandolo su entrambe le guance e benedicendo il suo ritorno a casa. Il prodigioso canzoniere di Berlin procurò una febbre supplementare di incontri al suo autore: con la sua fan più coronata, la regina madre d'Inghilterra, che volle il suo autografo per le principesse Elisabetta e Margaret; con Eisenhower, che aveva voluto lo show patriottico in tournée al fronte; di ritorno in America, con Diego Rivera, che voleva fargli il ritratto e invece riuscì soltanto a ottenere una commissione per la copertina dello spartito di In Acapulco (che non fu mai usata perché raffigurava coppie miste). L'acme di una vacanza in Eu¬ ropa con la figlia fu una puntata a casa di Chagall a Vence e una sosta a) Parnaso di Picasso a Vallauris. «Gli occhi di Picasso, così pieni di conoscenza, avevano poco calore - rievoca l'autrice -. Come un uomo che recita per dei bambini piccoli, non faceva mai domande, si limitava a rispondere». Berlin si lanciò in una fantasticheria articolata: avrebbe scritto un musical ambientato a Vallauris, per il quale Picasso avrebbe dipinto la scenografia. Il pittore stette al gioco, ricordando i giorni in cui disegnava i set per Diaghilev, e concluse ingrugnato, con un'allusione al visto americano che non riusciva a ottenere: «Tu parti domani. Io resto qui. Facciamo un'operetta insieme? C'est dróle, ca». Per la sua figliola, appena divorziata, Berlin avrebbe visto volentieri un genero come John Fitzgerald Kennedy. 0 almeno questa fu l'impressione che Mary Ellin riportò dalle cerimonie che suo padre fece a «Jack, figlio di Joe», quando quel magnifico giovanotto venne a salutarli un giorno al ristorante. Teneva la briglia stretta alla sua bambina, il compositore di l'm playing with fire: le rifiutò il permesso di andare in vacanza con un'amica separata e le diede una gran sgridata per una gita in motoscafo con uno sconosciuto: «Non hai ancora ottenuto il divorzio, che cosa credi di fare?». Fu felice invece quando lei si risposò con un collega, un modesto impiegato di Time. Gli ultimi anni da recluso, fino alla morte nell'89 a 101 anni, Berlin li trascorse «con una salute terribile dal collo in giù, anche se la mia testa suona chiara come un campanello». Continuava a scoccare epigrammi sulla vita, quel furetto d'acciaio, come aveva sempre fatto nelle sue canzoni. L'ultimo suo aforisma sulla vecchiaia avrebbe potuto benissimo applicarsi, cinquant'anni prima, alla sua creatività così sbrigliata. E' un congedo alla Bogart: ((Affrontala con disinvoltura, bambina». Maria Chiara Bonazzi // successo mondiale di «White Christmas» L'amicizia con Chaplin Gershwin, Harpo Marx Le interminabili partite a ramino con Fred Maire Irving Berlin: esce in Inghilterra la biografia del compositore, tra successo e «comparse» di lusso da Gary Cooper a Roosevelt