Bardonecchia Comune chiuso per mafia di Alberto Gaino

E' la prima volta nel Nord Italia: dietro la decisione, l'inchiesta sugli scandali edilizi BUFERA GIUDIZIARIA SOTTO LE ALPI E' la prima volta nel Nord Italia: dietro la decisione, l'inchiesta sugli scandali edilizi Bardonecchia, Comune chiuso per mafia Il governo scioglie il Consiglio del centro turistico B TORINO ARDONECCH1A è da ieri il primo Comune del Nord a vedersi sciogliere il consiglio comunale dal governo per «l'esistenza di condizionamenti degli amministratori da parte della criminalità organizzata». In punta alla Val di Susa (appena sotto il traforo del Fréjus), 3500 abitanti, Bardonecchia ò una delle stazioni sciistiche più frequentate dai torinesi. Si e costruito molto lassù, e il sospetto, vecchio di almeno un quarto di secolo, che: la mafia abbia messo le mani sopra una buona parte del business del mattone finalmente è esploso in forma clamorosa. Il provvedimento diventerà effettivo con la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dopo che il presidente Scalfaro l'avrà firmato. Colpisce duro l'amministrazione del sindaco Alessandro Gibelio, un vecchio liberale a capo di una lista civica, arrestalo due volte nel corso degli ultimi mesi. Abuso in atti d'ufficio, il reato. La prefettura ò partita da lì e dal rapporto della procura distrettuale antimafia. Ha inviato tre ispettori a Bardonecchia a esaminare gli atti amministrativi del Comune. Costoro avrebbero riscontrato che erano state concesse licenze edilizie a imprese e a soggetti sospettati di contiguità con la criminalità organizzata. E, attorno, da molti anni gli stessi funzionari nei posti chiave dell'amministrazione, gli stessi professionisti (noti architetti e ingegneri torinesi) nei moli di consulenti del Comune e progettisti privati. Come l'ultimo scandalo ha evidenziato. L'ultimo scandalo si chiama Campo Smith, che è pure l'ultima area verde in posizione strategica: una società - la Marina di Alessandro Srl - ottiene dal Comune prima i terreni, e poi le concessioni edilizie per realizzarvi un complesso a forma di stadio (secondo i progettisti doveva richiamare l'immagino della corona delle Alpi) destinato a ospitare 650 posti-letto in multiproprietà e un vicino condominio di 54 alloggi, per più di 36 mila metri cubi di cemento. Un affare da 60 miliardi, su cui la magistratura ha aperto un'indagine da almeno dieci mesi, rilevando numerose violazioni alla legge e la presenza, dietro la Marina di Alessandro, di un personaggio che a Bardonecchia tutti conoscono e quasi tutti temono: Rocco Lo Presti, 58 anni, prima stuccatore, poi riquadratore, infine impresario edile e contemporaneamente una montagna di guai con la giustizia, da cui ò sempre uscito indenne, assolto. L'ultima accusa contro di lui: associazione per delinquere di stampo mafioso in «concorso con ignoti». 11 tribunale ha disposto nei suoi confronti il soggiorno obbligato a Bardonecchia: che non esca di casa prima delle setto del matti¬ no e non vi faccia ritomo dopo le ventuno, non si fermi nei bar e nei crocchi in piazza. Tutto questo mentre in un'aula del palazzo di giustizia, nel segreto della camera di consiglio, si sentono i testimoni dell'accusa e della difesa sulla «mafiosità» di Lo Presti. In quell'aula, per la prima volta nella storia di Bardonecchia, due imprenditori hanno avuto il coraggio di affermare che nella zona certe at- tività economiche, in particolare quelle edilizie, non si possono svolgere senza l'avallo di Lo Presti. E lui era là, a pochi passi. 1973: sessantacinque cantieri, mille edili impiegati, e in uno soltanto il sindacato riesce a far eleggere i suoi rappresentanti. Eppure, ai carabinieri non è stata presentata una sola denuncia. Il sindaco di allora, Mario Corino, denuncia le speculazioni e accusa i boss mafiosi. Nessuno fa i nomi di Rocco Lo Presti e del cognato Francesco Mazzaferro, che ha poi fatto carriera nella 'ndrangheta. Ma molti li sussurrano. E così si è andati avanti sino al dossier del questore Santillo e al rapporto dell'Antimafia di tre anni dopo sul racket del mattone e della manodopera, costituita in gran parte da immigrati calabresi. Quelli che per lavorare baciavano le mani al boss. E ancora lo fanno. Piacere chiama piacere, e il telefono di Lo Presti, messo sotto controllo dai pm torinesi Caputo, Giannone e Tamponi, ha rivelato che il «presunto mafioso» amministra anche un consistente pacchetto di voti, dalla periferia di Torino all'alta valle. E questo perché, al tempo delle campagne elettorali per le politiche '94 e le successive europee, lo chiamavano in tanti, con deferenza, per chiederglieli. Galoppini e persino un famoso esponente torinese del psi, già allora riciclatosi fra i moderati. E a Bardonecchia? Una volta arrestato, il sindaco Gibelio ha tentato di prendere le distanze. E Lo Presti ha subilo dichiarato: «Gli ho portato i mici voti». Un messaggio chiarissimo. Alberto Gaino La centrale via Medail a Bardonecchia Il governo ha sciolto il Consiglio comunale della cittadina per sospetti legami con la mafia