A Saxa Rubra, soli contro tutti

A Saxa Rubra, soli contro tutti >::-^::::i:':;>::-:;:v.::. IL GIORNO DELLA RIVOLTA A Saxa Rubra, soli contro tutti «Ora anche la Quercia ci è nemica» UN ce se crede, D'Alema ce sta a licenzia tutti». Al cancello di Saxa Rubra, l'autista di uno dei ventisette direttori Rai con macchina aziendale abbassa il finestrino e pianta uno sguardo nostalgico-statalista sull'usciere già democristiano, fra le cui braccia gallonate s'intravede «Liberazione», il giornale dei rifondatori diretto dal kabulista Lucio Manisco. Titolo dell'articolo in bella vista: D'Alema e Berlusconi insieme contro il servizio pubblico. «Limorté», sintetizza l'usciere con un francesismo alla romana. Inforca gli occhiali e ne rilegge i passi salienti all'amico: «Privatizzazione alla cieca... D'Alema liquida Keynes... E anche Olaf Palme...». «Chi è 'sto Palme?». «Boli. Sarà un comunista: indiano, credo». Al bar interno, ancora saldamente nelle mani dello Slato, il caffè costa sempre setlecento lire, ma le dichiarazioni di D'Alema lo rendono colloso. «Qui la parola "privatizzazione" ha come traduzione simultanea "pedata nel sedere"». Il prode Ennio Remondino del Tgl, una vita da inviato fra le bombe, prova a disinnescare il petardo liberista di D'Alema. «Se ha detto che la Rai è troppo grassa è perché lo hanno informato male. Non siamo un corpaccione. Casomai un corpo disarmonico». Immagine poetica. «Allora mettiamola cosi: c'è chi si fa il mazzo e chi il parassita. Non siamo troppi, siamo mal messi. E l'azienda pre-pensiona senza guardare le persone: un'impiegala addetta ai cruciverba o il più bravo dei nostri montalori, Paolo Ardovino che domani a 50 anni se ne va senza eredi, per loro è la stessa cosa». Come si sa, da queste parti Moratti e soci sono sempre molto popolari. Al bar e dentro le palazzine grigio-lager, le chiacchiere sulla svolta liberista di D'Alema si incrociano con l'ultimo «pissi pissi» in arrivo dal consiglio d'amministrazione: starebbero decidendo di imporre la rotazione dei conduttori dei tg, onde evitare che qualcuno si monti la testa, si candidi alle elezioni e magari le vinca pure. Nei corridoi la chiamano «legge Badaloni». Il neopresidente del Lazio, alla vigilia di epici scontri con la burocrazia locale, guarda con nostalgia al «baraccone» che a giorni lascerà: «La Rai non mi è mai sembrata un ministero. E anche il "partito del cappuccino" non è diffuso come si crede». Tutti in difesa dell'istituzione: monta la paura. Soprattutto quella, inedita, di essere stati abbandonati dal difensore di sempre: il pds. Insorgono i sindacati interni, rossi e neri: quando c'è di mezzo il posto lo sdegno ottiene facilmente l'unanimità. Usigrai, Singrai, Snater, Libersind: è un festival di sigle e di furori. L'Usigrai agita già da due giorni lo spettro delle «grandi potenze finanziarie intemazionali», pronte a impossessarsi della Rai privatizzata dai D'Alema. Un piano diabolico, contro il quale il sindacato di Balzoni e Lilli Gruber lancia parole d'ordine che fanno quasi tenerezza: «necessità della comunità nazionale», «imprescindibile presenza capillare a livello locale». Sembra di sentire in sottofondo il ghigno implacabile del ca¬ po pidiessino: «Aha! La Rai va ridimensionata, e di molto». Da Botteghe Oscure Vincenzo Vita prova ad addolcire il pillolone: «La Bbc con due reti ha un peso enorme ed impiega quasi il doppio dei lavoratori Rai...». Uno «state calmi» quasi disperalo, con riferimento al model- lo britannico della public company (capitale misto, coi privati in minoranza) che a parole piace a tutti, se non fosse per quell'odore inconfondibilmente italiano di fregatura che si porta addosso. «E se alla fine scopriamo che ci ha comprati Berlusconi?». Lo Snater di Antonio Lo- vato è il sindacato autonomo che alla Rai raccoglie duemila dipendenti, un quinto del totale. «Se siamo un parziale baraccone è anche per la politica che il pds ha tenuto in azienda. Lottizzavano come gli altri. Che si crede adesso, D'Alema, di potersi lavare l'anima? Inaudito! Il partito che dovrebbe difendere il servizio pubblico parla di licenziamenti!». Non sono contenti neppure i «liberisti» para-Polo del Singrai: «Nel discorso di D'Alema l'unica cosa certa è che altra gente dovrà perdere il posto, come se i duemila "tagliati" nell'ultimo biennio fossero pochi. Dopo arriverà il terzo polo. Sì, buonanotte». Povero D'Alema, incompreso a destra e a sinistra. Per sua fortuna al Tg3 c'è Corradino «Thatcher» Mineo che ha capito tutto: «Bravo Massimo! Finalmente una posizione moderna e utile. Non ho paura dei licenziamenti. Con l'arrivo della concorrenza si potrà dare più lavoro e premiare quelli bravi: montatori e operatori sottopagati dal monopolio». Chissà cosa gli avrebbe risposto Olaf Palme. Massimo Gramolimi Badaloni: il «partito del cappuccino» non è diffuso come si crede la gestione della Rai condotta proprio nell'interesse della stessa Fininvest», gli fa eco be mandare a casa Moratti e soci. Giulietti, di Rifondazione, parla di «satellizzazione della Rai» e denuncia altri blitz, presenti e futuri: una delle solite scatole vuote. Ed è già meglio della sorte toccata a tanti, come al giornalista torinese Pasquale Martellini, da mesi senza A Saxa Rubra, s«Ora anche la Quercmento e tuire i soMBadaldel cadiffus

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