I conti con Auschwitz La cultura della vergogna di Barbara Spinelli

I conti con Auschwitz I conti con Auschwitz La cultura della vergogna Cinquantanni dopo la Liberazione, l'antifascismo è ancora attuale o appartiene a un passato lontano? Pubblichiamo, su questo tema, la parte centrale dell'intervento di Barbara Spinelli che appare sul numero di Micromega in uscita in questi giorni. HON si può riparare Auschwitz, e neppure le complicità italiane e francesi con Auschwitz. Ma si può —i mantenere in vita almeno, e fabbricarsi e coltivare, quella che Ruth Benedict, nel Crisantemo e la spada, chiama la cultura della vergogna, che è il modo giapponese (o anche greco antico) di soffrire l'errore e la colpa: il dolore non può essere alleviato dalla confessione né dalla sola espiazione, perché anche quando hai confessato ed espiato resta pur sempre la sanzione disciplinare esterna, che è l'unica veramente determinante, molto più determinante della convinzione interiorizzata del peccato. La vera paura, per chi tiene a questo tipo di reputazione, è la paura dell'ostracismo, del rigetto, e del ridicolo. La cultura della vergogna ha oggi una certa efficacia in Germania e in Francia, dove c'è fatica di fare il lutto e dove il passato non passa facilmente. E' come una morale provvisoria che ci si dà, in civilizzazioni dove la Chiesa cristiana è sulla difensiva, in particolare quella cattolica basata sulla confessione. Ma è una cultura che manca agli italiani, che si sganciano anch'essi dalla tradizionale cultura della colpa e che rischiano di restare appesi al nulla, senza soluzioni provvisorie, se queste non vengono loro insegnate nelle scuole, nei giornali, alla televisione, dai pulpiti laici. L'alternativa obbligata Se non vengono dati loro i criteri per distinguere, evitare l'evasività e l'ipotetica, scoprire l'importanza del giudicare. Infatti le brutte notizie e gli incubi vengono comunque, e non di professori di Saggezza Mondana c'è urgenza, ma di un'elite meno affascinata dalla trasvalutazione dei valori, dall'erewhoniano «timore-di-compromettersi». Meno stregata anche dal culto esclusivo delle vittime, su cui si concentrano i riflettori e le rievocazioni e le lezioni. Insidiosamen te, si impone altrimenti nelle memorie una specie di diarchia, di go verno sulle menti esercitato da due soli personaggi simbolici quello della vittima, quello del boia - lasciandoli soli uno di fronte all'altro ed escludendo il terzo in truso: quello essenziale, incarnato dallo spirito di resistenza. L'alter nativa diventa altrimenti obbligata, per tutti: o ti pieghi o perisci, o accetti il male o accetti di morire, come se fosse svanita la memoria dell'altra, più vitale alternativa: o ti pieghi o resisti, o resisti o perisci. Questa seconda alternativa non sempre è di aiuto, come i campi di sterminio o la Kolyma insegnano. Né esiste una civilizzazione superiore, vaccinata ad aeternum contro il male e la morte. Ma qualche protezione specifica è stata trovata, contro la mortalità delle civilizzazioni, e lo spirito di resistenza è una di esse. Anche perché non tutte le avversità sono comparabili all'avversità assoluta di Auschwitz, e nelle condizioni contemporanee la seconda alternativa è certamente più utile e interessante di quella che s'adatta alla cultura della morte, a quella che anche involontariamente s'adegua allo spirito dei tempi, e più o meno segretamente giudica che l'unica figura davvero vitale, originale, sia quella dell'assassino. Lo spirito di resistenza è il terzo incomodo, l'intruso che vale sempre la pena ricordare perché permette di dare un nome al male, uno scudo alla vittima. Perché non tollera il solitario incontro fra carnefice e perseguitato, e non dissolve l'aggressione e la reazione nel concetto - eufemistico o fatalista, in ogni caso egualizzante - della guerra civile ideologica. Chi apprende lo spirito di resistenza impara anche a dubitare su alcune terapie di breve durata. Spostare i demoni in periferia non significa necessariamente addomesticarli e sbarazzarsene come in Freud, ma vuol dire forse fabbricarsi una consolazione, un illusorio vaccino, emarginare quella parte della storia che turba: che turba il paziente sul divano a tal punto da fargli dire: «Il ricordo non mi fa vivere, dottore», quando la sua più vera paura è di vivere scomodamente, nel malessere e nella sconsolatezza reattiva. Un esempio nella storia della pittura può servire ad in- dagare su questo incrocio tra l'uomo e i suoi demoni: poco prima della rivoluzione francese, spiega Starobinski in Tre furori, Fùssli e David sembrano percorrere lo stesso sentiero, che li porta a Roma e fa loro scoprire l'antichità classica, la grandezza di Michelangelo. La rivoluzione artistica che preconizzano è, per ambedue, anche un ritorno al passato. Ma Fùssli manterrà questo rapporto con le tradizioni letterarie, mentali, artistiche d'Europa e dunque anche con i suoi incubi, con le sue crisi barocche e impaurenti. Mentre David elaborerà il lutto, relegherà in periferia i brutti ricordi, e si metterà al servizio dell'entusiasmo rivoluzionario, delle feste della Ragione e della loro mortifera propaganda, con effetti peraltro disastrosi sulla propria produzione artistica. Tutti noi presi individualmente siamo dei David in potenza, perché non è cosa semplice vivere in contatto permanente con gli Horla bui di Fùssli. Anche i vocabolari italiani si adeguano, come per proteggere maternamente i malaticci che siamo diventati: nel dizionario D'Anna-Sintesi dell'88 si legge, alle voci lutto stretto, mezzo lutto: «Oggi in gran parte in disuso, per una concezione meno formalistica e tradizionale del dolore». Freud certamente non immaginava che i suoi lumi sarebbero serviti a congegnare nuove Vienne informi, inconsapevoli di sé e delle proprie ipocrisie. Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo, se non posso piegare gli dei muoverò l'Acheronte, aveva annunciato il padre della psicanalisi citando Virgilio. Ma le società che sono state freudianamente trattate pretendono guarigioni più semplici, meno spericolate: più pratiche - dicono - anche se Freud chiamava la moralità un «interesse pratico dell'umanità». E forse a questa deriva pensa Emmanuel Lévinas, quando dice che Freud ha pericolosamente bandito l'autorevolezza monoteista del padre. Nella cultura delle madri e delle spose è forse più facile darsi nuovi nomi, consentire a metamorfosi multiple, nelle ore di ricreazione che precedono l'arrivo del nuovo preside che rimetterà ordine nella confusione democratica. Forse il malinteso è nel termine di guarigione, che rende paradossalmente più vulnerabili le menti, più disposte ai trasformismi e agli addormentamenti: un termine duro a morire, che non facilita lo sguardo sveglio sulle smentite date dagli avvenimenti passati, e anche presenti. I demoni sono attuali Ancor oggi i demoni sono d'attualità, così come non son morte le resistenze, in Bosnia-Erzegovina o in Cecenia o in Algeria, dove gli anti-integralisti non esitano a dirsi antifascisti. Anche nel tranquillo Occidente le destre sprezzano i totalitarismi, commemorano il 25 aprile o l'8 maggio, ma nel momento in cui dichiarano chiuso il secolo, chiusa l'annosa disputa fra destra e sinistra, non esitano a denunciare i nemici del nuovo pensiero giusto perché unico, e unico perché giusto. Ce ne sono in tutti i campi, di difensori del pensiero unico: pensiero unico sul commercio internazionale, che giudica disdicevole qualsiasi obiezione pratica mossa per proteggere un'opera d'arte, un cinema; pensiero unico sull'assistenza pubblica (questo frutto di un compromesso tra liberalismo e socialdemocrazia che ha dato molti decenni di libertà democratica all'Europa); pensiero unico sulla nazione, invitata a mostrarsi meno condiscendente verso l'Altro, che viene da fuori e magari è diverso. Il pensiero unico non sopporta la smentita, che identifica con la delusione e che è invece un metodo pratico e scientifico, di notevole utilità: è il metodo di Karl Popper, che consiglia di cercare la verità non cominciando con l'accumulare ad infinitum le prove positive di un'asserzione, ma cominciando a scartare quelle che inconfutabilmente si son rivelate false. Anche questo può essere un anticorpo: non il ritrovamento dei Valori Supremi e del Fondamento, ma la forza di un metodo che parte dal dubbio. Barbara Spinelli

Luoghi citati: Algeria, Bosnia-erzegovina, Cecenia, Europa, Francia, Germania, Roma