Andrea addio, ultrà vergognatevi; i miracoli «naturali» del buon Dio di Oreste Del Buono

Andrea addio, ultra vergognatevi; i miracoli «naturali» del buon Dio AL GIORNALE Andrea addio, ultra vergognatevi; i miracoli «naturali» del buon Dio I nostri eroi non sono immortali Per un giovanissimo calciatore approdato rapidamente alla serie A, alla Signora del calcio italiano e alla Nazionale, sembrava che Fortunato fosse «nomen omen», il nome del destino. Ieri c'è stata la tragica smentita dei fatti. Vi scrive un trentenne ultra bianconero, che la domenica sveste l'abituale giacca e cravatta per indossare i colori del cuore e seguire la propria squadra dalla curva «Scirea» Sud Ebbene, la notizia della morte di Andrea mi ha fatto riemergere e riacutizzare la ferita apertasi apprendendo della leucemia mesi fa e ricordando i cori denigratori che partivano dagli spalti al suo indirizzo e lo indicavano come «scansafatiche». Chi ne era autore spero rammenti e se ne vergogni. Ho sempre nutrito l'orgoglio di ultra e non ho mai sopportato gli spettatori dei «distinti» (come una volta si chiamavano) pronti a esultare per ogni gol e ogni vittoria come fossero propri, ma altrettanto pronti a coprire di boati d'insulto e vaff... quelli che dovrebbero essere i «beniamini». L'ultra, se possiede quella fede di cui si vanta, dovrebbe avere molto di più, la capacità di sostenere e incoraggiare la squadra e i singoli nei momenti più difficili. Già, perché non bastano le paghe miliardarie a far svanire tutti i problemi individuali, di rado così tragici come quello di Andrea, ma spesso incisivi sul rendimento sportivo. E allora, ad applaudire nei casi più fausti è capace chiunque, rimanere vicini e «fedeli» sempre è virtù di pochi. L'amarezza che sento ora si aggiunge alla delusione di tante risse tra gruppi del nostro stesso tifo e di tante ingiustificate «dissociazioni» dalla squadra. La fine prematura di Gaetano e di Andrea ci dimostra che pur¬ troppo anche i nostri eroi non sono fisicamente immortali, possono diventarlo nel nostro comportamento, nel nostro modo di onorare la bandiera. Auspico che da domani «Draghi», «Vecchie Guardie», «Fightess», «Viking», «Area» etc dimostrino di aver imparalo la lezione, così da far rivivere i nomi di Scirea e Fortunato non solo negli striscioni e nell'intestazione di qualche Club. Altrimenti, non saremo ultra ma nient'altro che indistinguibili «distinti». Pier Luigi Tosi, Milano Lassù si rispettano le leggi fisiche Paolo Guzzanti a proposito della statuina della Madonna in lacrime di sangue (La Stampa del 6 aprile) ricorda le lezioni di un cattedratico di medicina allorché peraltro cattolicissimo, ebbe a dire di credere ai miracoli qualora avesse visto spuntare le mani e i piedi ai monchi e risuscitare i morti. Quel professore aveva ragione e ha ragione Guzzanti che conclude: la sovrumana potenza del miracolo si arresta davanti alla differenziazione dei tessuti (del corpo umano). Ma qui si imposta una domanda. Se il miracolo lo può compiere solo Dio, perché Dio non compie tali prodigi per manifestarsi e togliere ogni dubbio? Senza essere cattedratico e cattolicissimo, qualcuno potrebbe rispondere che il buon Dio, fino a questo momento, ha sempre rispettato le leggi fisiche dell'universo, nonché quelle della natura umana da Lui medesimo create. Lazzaro fu resuscitato dopo tre giorni, prima che la sua «natura» si dissolvesse del tutto. Dio incarnato «Uomo» volle patire e soffrire come uomo e risuscitare, con il suo «Corpus» divino, il terzo giorno. La moltiplicazione dei pani avvenne su una sorta di naturali manufatti. non vi fu creazione «ex nihilo» dei pani. La guarigione dei ciechi avvenne sugli occhi, non vedenti, dei medesimi come le gambe storpiate degli zoppi già tali in natura. (Natura non fecit saltus). Guido Candido Priola Pievetta, Cuneo Le difficoltà del sistema elettorale «Smentiti clamorosamente gli exit-poli...». Ho pure letto o sentito alla radio che circa il 10% delle schede delle elezioni regionali sono risultate errate e quindi oltre 3 (tre) milioni di elettori hanno creduto di esprimere il loro voto re¬ golarmente mentre invece, senza accorgersene, non l'hanno fatto! A questo punto quasi tutti questi elettori uscendo dai seggi se interpellati su come avevano votato hanno risposto pensando di avere espresso regolarmente il loro voto: ingannando così, involontariamente, gli addetti agli exit-poli. A questo punto è lecito chieder¬ si: hanno effettivamente errato gli autori delle previsioni o i risultati delle elezioni sono stati falsati dalle difficoltà del sistema elettorale che ha regolato le elezioni regionali? Gino Masinelli, Rimini Lavoratori, caporalato e ansia di giustizia Risale soltanto a pochi giorni fa l'ennesima denuncia di caporalato in una delle province pugliesi. Unanime e viva la condanna. Profonda comprensione per le giovani donne costrette a lavorare per sole ventimila lire al giorno. Indiretta conseguenza della povertà economica meridionale voluta dai passati governi. Discorsi già sentiti, senso d'impotenza, vana speranza nelle denunce che rimangono tali. Ma non è ancora sopita del tutto la speranza di un miglioramento dei diritti dei lavoratori, di ansia di giustizia e di verità. Ma è verità, è giustizia, è rispetto di tutti i lavoratori negare ai lavoratori docenti precari della scuola, con orario ridotto (costretti come le donne già citate a prendere o a morire di fame), il trattamento economico della giornata festiva 1° maggio «festa dei lavoratori»? Ebbene, la circolare ministeriale emanata di recente riconosce il lavoratore «non lavoratore» e fa anche di più: dà al lavoratore precario la possibilità di ritornare fra i lavoratori purché accetti di subire la mancata retribuzione durante la giornata domenicale ed eventuali giornate libere da attività didattiche ma impiegate regolarmente in attività collegiali normalmente non retribuite. E' solo l'ennesima denuncia di «caporalato» direttamente, stavolta, generata dal governo e a vantaggio del «caporale governo». E' l'ennesima discriminazione tra lavoratori, è l'ennesima ipocrisia dello Stato italiano. Allora, l'Italia è o no un Paese in cui si celebra la festa dei lavoratori? Lettera firmata, Pinerolo (To) La musica non è un linguaggio universale Mi riferisco alla lettera titolata «Per i Take That con tutte le forze - Abbiamo solo 18 anni, lasciateci divertire» (La Stampa, 18 marzo). Cinque ragazze di 18 anni, fans dei Take That, pur ammettendo di intendersene poco di musica, sostengono di amare la musica (per l'appunto) dei loro beniamini e vorrebbero che essi non fossero «degradati, come ultimamente accade». Secondo loro, pur tra i fans di «generi nettamente distaccati non ci dovrebbero essere dissidi», in quanto «la musica dovrebbe unire i ragazzi e non dividerli». Timidamente precisano che «anche l'immagine fa la sua parte, ma non è tutto». Non è tutto, beninteso, ma ha (può avere) una non trascurabile rilevanza. Perché, in realtà, la musica è materiale, concreta, definita, particolare, come qualsiasi altra espressione artistica: come, ad esempio, un quadro. Ecco, il confronto con la pittura è salutare. Il pittore utilizza immagini reali, concrete, ma le riordina a modo suo, in vista di un certo risultato da raggiungere; in rapporto alla musica, anche i Take That, nella fattispecie, trasmettono messaggi, in termini «intuitivi», attraverso una rappresentazione soggettiva della realtà. Ma il messaggio è, per i fans, pur sempre verità; e, comunque, anche la loro «arte musicale» non è gioco astratto di rapporti acustici, bensì è (pur sempre) «trasformazione» del concreto «mondo sonoro»: seppur, si sa, ogni gruppo utilizza, a modo suo, soltanto alcune delle infinite possibili combinazioni sonore sperimentate nella realtà quotidiana. Dovremmo perciò guardarci dal condannare questa o quella band: occorre far giustizia d'un mito antico, ancor tenacemente radicato, e cioè che la musica sia linguaggio «universale». Giulie L un ardi, Torino Direttore didattico in pensione Egregio signor Del Buono, le capita mai di sognare la notte? A me sì e molto spesso, però, sfigato come sono, mai che i miei sogni siano rallegrati da Claudia Schiffer o da Naomi Campbell. Sono rattristati sempre dai nostri uomini politici, forse perché nel mio subconscio sono perennemente preoccupato per la situazione del Paese. Berlusconi con il suo eterno, anche se non leonardesco, sorriso, è il più assiduo dato che rappresenta la mia più cocente delusione, ma non mancano nemmeno, quando ho gli incubi, probabilmente per problemi digestivi, i volti di Buttigliene e Rosy Bindi... Ing. Giovanni Bordoni, Torino GENTILE ingegnere, ha notato quanti sono gli ingegneri che scrivono a questa rubrica? C'è da trarne qualche conseguenza? Ho l'impressione di non meditare abbastanza sulla corrispondenza. Bisognerà che ci ripensi in seguito. Ma oggi l'argomento sono i suoi sogni. «Se poi mi addormento arrabbiato, magari dopo un vivace contrasto con la moglie, mia abituale partner al tavolo di bridge, immancabilmente mi trovo davanti la figura perennemente incavolata del novello Alberto da Giussano blaterante in quel di Pontida. Se mi rimorde la coscienza per aver commesso qualche peccatuccio è la Pivctti a rimproverarmi severamente. «Più raramente mi appare Fini con la sua espressione indecifrabile tanto che non so se più triste o Gli inpoldell'ing cubi tici egnere enigmatica e quasi mai i due di sinistra con i loro baffetti campioni nel non saper cogliere le occasioni irripetibili (mi riferisco a quella offerta loro dalla caduta del Muro), forse perché, pensando che io non me la sarei lasciata scappare, mi sopravvaluto. «Ma non mancano nemmeno i campioni del passato tangentaro, quel senatore, ad esempio, che ostentava sul petto, quasi fossero decorazioni, i suoi 75 avvisi di garanzia, e quell'altro "galantuomo", così lo definì il suo Capo al suo funerale. E, naturalmente, non può mancare il Capo stesso, quell'esule d'oro che di là dal mare ci saluta con un bel sorriso di scherno e un significativo gestaccio. Notti fa, però, ho fatto un sogno completamente diverso: un omino non so se inviato da un'Entità sopra le parti o chiamato da noi stessi, per rimettere in sesto le nostre finanze che alla lavagna, senza tanti blablà, scriveva con estrema semplicità i suoi obiettivi per il debito pubblico, che mi pare fossero stabilizzazione nel '95 e un 10% ogni anno dal '96 in poi...». Gentile ingegnere, lei dovrebbe conoscere lo spazio di cui dispongo. Ho fatto il possibile per trascrivere la maggior parte del suo messaggio. Ma l'impossibile non è nelle mie capacità. Oreste del Buono Gli incubi politici dell'ingegnere LA LETTERA DI O.d.B.

Luoghi citati: Giussano, Italia, Milano, Pinerolo, Pontida, Torino