Santa Cecilia, cent'anni di libertà

IL CASO. Fondata nel 1895, governata dagli stessi musicisti: storia di un'Accademia da sempre indipendente IL CASO. Fondata nel 1895, governata dagli stessi musicisti: storia di un'Accademia da sempre indipendente Santa Cecilia, cent'anni di libertà L'orchestra festeggia in treno girando l'Italia. I ROMA ! « OMPIE cent'anni la più I prestigiosa orchestra sinfo- I i nica italiana. L'unica a SAI svolgere nel nostro Paese una regolare stagione, a offrire ogni settimana ai suoi 7 mila abbonati quattro concerti, ad accogliere, ogni anno, 300 mila presenze. Da ieri i suoi 130 professori sono saliti su un treno che le Ferrovie hanno riservato per loro e, da Napoli a Milano, vanno suonando per festeggiare il venerabile compleanno. Bisbigliandovi all'orecchio che, in verità, sono assai più antichi, perché era il 1585 quando papa Sisto V promulgò la Bolla istitutiva della Congregazione dei Musici di Roma, posta sotto l'Invocazione di Cecilia, la giovane martire romana. Oltre ai blasoni che la inorgogliscono, l'Accademia possiede una caratteristica che la distingue da ogni altra istituzione culturale italiana: è libera, cioè sottratta alle crisi di giunta, ai cambi di maggioranza, alle attese per gli esiti elettorali. La formula che garantisce salvezza è banale: trattandosi di un organismo che produce e distribuisce musica, sono dei musicisti a decidere chi deve governarlo. Ogni tre anni, i sottanta accademici (Abbado e Muti, Petrassi, Berio, Bussotti, Manzoni e Sciarrino, Accardo e Ughi e Pollini...) si riuniscono, discutono e litigano un po', votano e rapidamente eleggono il presidente-sovrintendente che, tre anni dopo, se non ha fatto bene il suo mestiere viene rimosso da un'altra votazione: è responsabile della direzione artistica e della gestione economica. La musica prima di tutto. Alla musica pensava anche il conte Enrico di San Martino e Valperga, assessore municipale alla Pubblica Istruzione e alle Belle Arti e primo presidente della Regia Accademia, che nasce nel febbraio 1895, con una «festa musicale» nella sala di via dei Greci dove, per iniziativa di Giovanni Sgambati, era sorto nel 1869 il Liceo Musicale, nucleo del futuro Conservatorio. II responsabile è sempre stato uno solo. «Chiesi che mi fosse lasciata una completa libertà d'azione e per facilitare ogni cosa garan- tii per qualche armo in proprio le eventuali passività», scrive Di San Martino nelle proprie memorie. Formata l'orchestra, mancava una sede. Fu - narra la leggenda un usciere dell'ufficio municipale di Storia ed Arte ad avere l'idea: «Signor Conte, ha pensato al Corea?». L'Anfiteatro Corea, circo e politeama per attori ed elefanti ammaestrati, ultima trasformazione del Mausoleo di Augusto: sepolcro della gens Iulia e Claudia, rifugio per viandanti dopo la caduta dell'Impero, poi via via cava di travertino, vigna, giardino privato, deposito per i bozzetti del monumento a Vittorio Emanuele. Quei 6 mila metri quadri divennero, in dieci anni, la prima sala italiana per la musica sinfonica, capace di tremila posti. L'inaugurazione ha luogo nel febbraio 1908: Giuseppe Martucci dirige la Sinfonia dell'Assedio di Corinto di Rossini, l'Eroica di Beethoven, la Serenata K 525 di Mozart, Mormorio della foresta dal Sigfrido e Ouverture dal Tannhàuser dì Wagner. Anni di scoperte, decisive per la formazione dei futuri protagonisti del Novecento musicale. Stagioni straordinarie, rievocate da Fedele d'Amico nel volume Un ragazzino all'Augusteo. Venivano tutti, da Stravinskij a Walter, da Casals a Mitropoulos, da Schònberg a Ravel. C'era coraggio, voglia di novità: Bartók e Hindemith suonarono a Roma quando avevano ventinove anni, Skrjabin ventotto, Poulenc venticinque, Prokofiev ventitré. I concerti cominciavano alle quattro: troppo presto, chi andava alle partite non faceva in tempo ad ascoltare la musica. «Feci presente a Massimo Bontempelli - ricorda D'Amico - che il 7 dicembre sarebbe stato costretto a scegliere fra un Roma-Lazio e la prima apparizione all'Augusteo di Hindemith... e I'8 febbraio fra un Italia-Austria e Klemperer». Bontempelli scrisse una lettera al Lavoro fascista, dove il critico musicale era Mario Labroca. Dal 23 novembre 1930 si inizia alle cinque. Ma dal 20 maggio 1936 l'orchestra - ed è anche questo un primato, ma mondiale - non suona più in un Auditorium. Dieci giorni dopo la proclamazione dell'Impero, Mussolini decise che il luogo attorno al Mausoleo d'Augusto doveva ritornare ad essere «simbolo della prima Roma, restituito a dignità imperiale solenne e muta». In famiglia, si sa, solo Romano amava la musica, ma jazz. Per l'orchestra cominciano le transumanze: il Teatro Adriano, l'Argentina, dal 1958 la gelida sala di via della Conciliazione, di proprietà del Vaticano e affittata a caro prezzo dal Comune. Un centro congressi che è diventato, nonostante l'acustica punitiva, il luogo più amato della musica a Roma. Ma ora, l'utopia di un vero Auditorium pare realizzarsi: Renzo Piano ha vinto il concorso internazionale, le sue tre sale, come immensi carapaci lignei discesi dallo spazio, forse davvero diventeranno qual- cos'altro che un affascinante progetto e avremo il primo edificio dedicato dall'Italia repubblicana alla musica. Il sindaco Rutelli ha solennemente assunto l'impegno, entro il 1997: la legge per Roma capitale copre i 280 miliardi necessari, ma per ora si è visto soltanto piantare qualche albero. Attuale presidente dell'Accademia è Bruno Cagli, al suo secondo mandato: governa 40 miliardi di budget, di cui 8 rappresentati dagli incassi, 23 provenienti dallo Stato, gli altri da sponsor ed enti locali. «Per essere davvero competitivi nel mondo ci manca soltanto una cosa: uno Stato capace di fare delle leggi per la musica. Per insegnarla bene, per formare musicisti e pubblico». E' un po' sconsolato, dopo aver ascoltato le audizioni di giovani diplomati dei nostri Conservatori: «E poi se la prendono con Accardo, quando dice che bisognerebbe chiuderli e cambiarli...». Si consoli, presidente: almeno, in cent'anni di vita, l'Accademia non ha mai avuto un bravo farmacista come pessimo sovrintendente. E' successo, è successo. Sandro Cappelletto UNA LETTERA Di BERNSTEIN AI nostri professori di Santa Cecilia. Cari fratelli, colleghi, amici, amanti. Che gioia, la settimana scorsa con voi; c'era la musica come fosse la vita stessa, ed era la vita stessa. Ma fu per me il momento supremo quando ho scoperto che la cena d'addio era stata pagata da voi stessi, personalmente. Il cibo era l'Ambrosia, preparata dalle Muse e da Eros. Non dimentico mai quel Simposio Platonico. Grazie dal cuore. V ostro Léonard Bernstein 27 maggio '88 spN Nell'immagine grande, l'orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia Qui accanto, Riccardo Muti Sopra, Léonard Bernstein