Il condottiero di Hanoi: in battaglia l'uomo prevale sulle macchine « Così ho vinto l'America »

Il condottiero di Hanoi: in battaglia l'uomo prevale sulle macchine Il condottiero di Hanoi: in battaglia l'uomo prevale sulle macchine « Così ho vinto l'America » Il generale Giap: il segreto del Vietnam vent'anni fa la caduta di saigon VHANOI ENT'ANNI fa il Vietnam, sostenuto dall'Urss, vinse la guerra contro gli Usa e i loro alleati vietnamiti. Secondo lei i Paesi del Terzo Mondo devono ancora temere scontri con le potenze occidentali? «Adesso che la guerra fredda è finita, penso che sia venuto meno il rischio di conflitti di vaste proporzioni. Assistiamo ancora a guerre su scala minore. Ma quelle che intraprendevano le vecchie potenze coloniali sono cosa del passato. Dopo l'indipendenza, il Vietnam è stato costretto a opporsi al colonialismo vecchio stile nel conflitto con la Francia. Poi abbiamo subito l'aggressione neocolonialista nella guerra che l'America ha perso. Dopodiché in Vietnam le forze neocolonialiste non hanno più intrapreso operazioni di vaste proporzioni. Ad ogni modo, oggi assistiamo a un nuovo tipo di guerra fra le nazioni, quella economica, che sta diventando sempre più aspra. Tutti parlano del nuovo ordine mondiale. Ma quale ordine? Noi vogliamo un nuovo ordine in cui tutte le nazioni possano vivere in pace e uguaglianza. Certi Paesi però puntano a un ordine dominato dalle nazioni ricche e vogliono usare l'Onu come mezzo per realizzare le loro ambizioni. Guardando alla storia dell'Onu vediamo che molte cose sono state fatte, ma i risultati complessivi sono ancora limitati. Le Nazioni Unite non sono state capaci di impedire conflitti etnici come quelli dell'Africa o della ex Jugoslavia. Ci sono Stati che dicono di voler restaurare la pace e poi mandano truppe in altri Paesi, magari in nome dell'aiuto umanitario». Quali sono i Paesi che vogliono dominare il nuovo ordine internazionale? «Parlo in generale, mi riferisco a tutti quei Paesi che accumulano potenza politica e militare. Io ho combattuto colonialismo e neocolonialismo, ma ora penso che dobbiamo stare all'erta di fronte a un nuovo tipo di dominazione, basata sul potere economico e tecnologico. La rivoluzione tecnologica procederà nel futuro. Guardate solo a quanto succede nelle tecnologie dell'informazione. E' per questo che noi stiamo cambiando il nostro Paese per adottare meccanismi di mercato, sia pure sotto il controllo dello Stato. Il rinnovamento economico ha già dato i primi risultati, anche se siamo ancora a uno stadio embrionale». Quali chances ha il Vietnam nella lotta contro la povertà? «Dobbiamo aumentare il nostro reddito prò capite aprendo le porte ai capitali stranieri nella giusta maniera. Il percorso da seguire potrà risultare più o meno lungo. L'Inghilterra ha impiegato trecento anni a svilupparsi. Gli Stati Uniti duecento. Il Giappone sessant'anni. I nuovi Paesi industrializzati della nostra area, come Taiwan e la Corea del Sud, ci hanno messo solo trent'anni. Noi stiamo cercando una via allo sviluppo quanto più possibile rapida, ma anche stabile. E questo richiede lo sforzo di ogni cittadino vietnamita. Abbiamo bisogno di tecnologia straniera, abbiamo bisogno di imparare tecniche di management dai Paesi stranieri. Ma le forze più importanti su cui fare assegna- mento sono qui, nel nostro Paese. Mi riferisco alle risorse naturali, come il petrolio. Ma la risorsa principale è l'uomo. Dobbiamo elevare il popolo vietnamita culturalmente e intellettualmente per raggiungere i nostri scopi. Questo è un aspetto del pensiero di Ho Chi Minh: ò l'uomo che decide». Le sue parole mi ricordano gli slogan che lanciava il suo governo vent'anni fa, nella guerra contro gli Usa: veniva sempre sottolineata l'importanza del fattore umano. «E' vero. Visto che lei ha introdotto quest'argomento, farò riferimento alla mia esperienza. Nello sviluppo economico, noi puntiamo a una guerra lampo, ma con alcuni aspetti della guerra prolungata, una guerra di resistenza che punti a rafforzarci poco per volta. Nelle guerre del Vietnam ci sono stati due momenti decisivi: Dien Bien Phu, la battaglia risolutiva contro i francesi, e l'offensiva della primavera del 1975. Nella campagna di Dien Bien Phu aveva¬ mo pianificato un'azione lampo della durata di due o tre giorni. Ma avendo acquisito nuovi elementi sulla situazione cambiammo i nostri piani. Optammo per una campagna prolungata e l'azione durò 55 giorni. Ancora adesso penso che questa decisione di cambiare i piani fu la più difficile della mia vita. Il secondo momento decisivo fu la campagna primaverile del 1975. Inizialmente avevamo pianificato due o tre attacchi. Ma comprendemmo che si poteva intensificare l'azione e così pianificammo una campagna di due o tre mesi. Di fatto essa durò solo 55 giorni, esattamente come quella di Dien Bien Phu. Le due esperienze furono differenti: nel primo caso prolungammo l'azione, nel secondo l'accorciammo». Che ruolo ha avuto il partito comunista nelle recenti riforme in senso capitalistico? «Quando il rinnovamento è partito, ero sicuro che avremmo trovato la strada giusta e in effetti abbiamo ottenuto risultati molto positivi in termini di crescita economica. I leader del Paese, il partito e il popolo del Vietnam stanno cercando la via più rapida allo sviluppo. Io avevo un sogno: vedere il Vietnam riunificato e indipendente. Adesso ne ho un altro: vedere il Vietnam recuperare il ritardo con i Paesi sviluppati e diventare una nazione moderna. Ma aggiungo che desidero edificare una società in cui la gente sia prospera mentre lo Stato è forte, una società civile in cui regni l'uguaglianza. Abbiamo cambiato la nostra economia, ma abbiamo conservato i nostri obiettivi di socialismo ed equità sociale». Sarebbe azzardato dire che la strada seguita dal Vietnam negli ultimi vent'anni era sbagliata? «Vorrei ricordare una frase di Ho Chi Minh: se un Paese è indipendente ma il suo popolo non è felice, l'indipendenza non ha senso. Negli ultimi vent'anni il nostro scopo è stato portare la felicità al popolo vietnamita, ma subito dopo la guerra abbiamo preso alcune decisioni giuste e altre sbagliate. A quell'epoca eravamo sotto l'influenza del modello esistente di socialismo, quello sovietico. Dal 1986, comunque, abbiamo avviato il rinnovamento e l'economia ha cominciato a crescere, al ritmo dell'8 per cento all'anno». A vent'anni dalla fine della guerra, lei pensa che lo sforzo sia valso la pena? O il prezzo pagato è stato troppo alto? «La guerra ci ha fatto pagare un prezzo molto alto. Il nostro Paese ha subito perdite umane e materiali enormi. Incalcolabili. Nel frattempo, altri Paesi godevano della pace sviluppando la loro economia. Nel 1945 la situazione socio-economica de! Vietnam era migliore, ad esempio, di quella della Thailandia. Oggi, a causa delle conseguenze della guerra, siamo molto indietro rispetto alla Thailandia. Ma abbiamo ottenuto qualcosa di molto importante: come diceva Ho Chi Minh, niente è più im¬ portante della libertà. Nell'anniversario della liberazione, tengo a sottolineare l'importanza del patriottismo e della fiducia in noi stessi. Abbiamo imparato molte lezioni e fatto molte esperienze, che possono essere applicate allo sviluppo in tempo di pace». C'è, al momento, un Paese che possa sfidare l'egemonia militare degli Stati Uniti? «E a che scopo? Solo per sfidare gli Usa? Certi americani mi hanno domandato se ho qualche lezione da dare agli Stati Uniti; io ho sempre risposto che pur avendo vinto la guerra, noi restiamo un popolo modesto. Non abbiamo mai pensato di dar lozioni ad altri. Gli americani non sono stati capaci di sconfiggerci in guerra, nonostante la loro formidabile potenza militare ed economica. Perché? Perché il nostro popolo era assolutamente determinato a combattere per l'indipendenza nazionale. Dico sempre che il potere militare ed economico ha i suoi limiti. La potenza più grande risiede nell'uomo, nella nazione». Nel 1990 nel Golfo abbiamo assistito a una guerra ad alta tecnologia. L'epoca delle guerriglie ò forse finita? «Per quanto moderni siano gli armamenti, la guerra di popolo, fatta dagli uomini, è ancora la più forte. Nella guerra per la riunificazione il Vietnam ò ricorso al concetto di guerra di popolo e l'ha condotta fino alle estreme conseguenze. Francesi e americani combattevano contro il nostro esercito, ma in realtà avevano contro tutto il nostro popolo. Noi vietnamiti amiamo la pace, ma non saremmo mai disposti a piegarci e di', ventare schiavi. Perciò ci siamo 1 battuti fino alla fine, per la vittoria, l'indipendenza e la libertà». Come spiega le ripetute vittorie dei vietnamiti sul campo di battaglia? «In Vietnam abbiamo una dottrina militare tradizionale. Tale dottrina non è mai stata insegnata nelle accademie militari all'estero, neanche in Unione Sovietica che era nostra alleata. E' una dottrina per la guerra di una piccola nazione contro un grande nemico. Vede quella statua? - Giap punta il dito verso un bronzo sul caminetto -. Raffigura Tran Hong Dao, il precursore della nostra dottrina militare. Nel XIII secolo guidò la resistenza contro l'invasione dei mongoli che ci attaccavano dalla Cina. Egli impiegò piccoli contingenti per contrastare grandi armate. Usò armi semplici e suscitò negli uomini coraggio, intelligenza e creatività per sorprendere il nemico. A Dien Bien Phu non abbiamo perso neanche un aeroplano, per la semplice ragione che non ne abbiamo impiegato alcuno. Nella guerra contro gli Usa non abbiamo perso neanche un B-52 perché non ne avevamo». Lei ha detto che la decisione di cui è più fiero è il prolungamento della campagna di Dien Bien Phu contro la Francia. Qual è invece l'errore compiuto in vita sua di cui più si rammarica? «Non c'è nessuna grande decisione che rimpianga. Nel nostro Paese il processo decisionale è collettivo. Le decisioni vengono prese dal Politburo (la massima istanza del pc), con l'ausilio, se la questione coinvolge aspetti militari, del comando militare del partito». Come valuta l'attuale processo di normalizzazione delle relazioni con gli Usa? «Nella rigorosa difesa dell'indipendenza e dell'autodeterminazione del Vietnam, noi vogliamo stabilire relazioni con tutti i Paesi del mondo». Anche con gli Stati Uniti? «Sì. Credo che gli Usa avrebbero dovuto normalizare i rapporti con il Vietnam già da tempo. Così avrebbero potuto contribuire ai nostri sforzi di supcra| re le conseguenze della guerra, i Noi crediamo che il popolo I americano lo capisca. Ritengo che la politica americana nei ! nostri riguardi sia determinata da un ristretto numero di persone, e direi che non è una politica molto intelligente». Il contenzioso territoriale fra Cina e Vietnam potrebbe portare a una guerra? «I leader dei due Paesi, al più allo livello, si sono accordati per un rapporto di amicizia di lunga durata. L'àltr'anno sono andato a Pechino a incontrare il presidente cinese Jiang Zemin, che e anche segretario del partito comunista. Poi Jiang è venuto in Vietnam. Tulle e due le parti ritengono che le divergenze possano essere risolte pacificamente, por mezzo di negoziati». Jaime Spitscovsky Copyright «Folha de S. PauloLos Angeles Times» e per l'Italia "La Stampa» «Non abbiamo perso neanche un B-52 e sa perché? Non ne avevamo» «mi resta una guerra da fare: contro la dominazione dei Paesi ricchi» o o . o a e a e l e l generale Vo Nguyen Giap. Un reduce Usa a Hanoi (a destra) e (sotto) la fuga degli americani da Saigon nel 75Il condmento sono qui, nel nostro Paese. Mi riferisco alle risorse nali il li l imo pianificaun'azione |J| generale Vo Nguyen Giap. Un reduce Usa a Hanoi (a destra) e (sotto) la fuga degli americani da Saigon nel 75

Persone citate: Jaime Spitscovsky, Jiang Zemin, Vo Nguyen Giap