Anziani a scuola «Così difendemmo Valletta » di 1. R.
42 Il 28 aprile '45 nel racconto dei protagonisti Anziani a scuola: «Così difendemmo Valletta » Il 28 aprile di 50 anni fa l'esercito tedesco abbandonò Torino, lasciandosi dietro una marea confusa di speranze e paure. Il giorno successivo, 24 ore dopo la fucilazione di Mussolini, la resa definitiva. Sono le date conclusive di una pagina di storia che l'Ugaf, Unione dei gruppo anziani Fiat, ha programmato di riesumare nelle scuole con l'appoggio del Comitato regionale «Anziani e Società», nella speranza di avvicinare la nuova generazione a un futuro senza più ombre. Ed ecco il ricordo di «quei giorni», nelle parole di chi li affrontò in prima persona. Ernesto Morra. «Abitavamo al piano rialzato in corso Trapani 61 e, come tutti, avevamo esposto la bandiera. Di prima mattina arrivarono due carri armati tedeschi diretti verso le fabbriche Viberti, che sparavano contro ogni tricolore. Ho negli occhi mia madre che, per salvare la casa, si butta fuori e strappa via la bandiera, a neanche 20 metri dai carri con il cannone puntato contro di noi. Dopo 4 anni di servizio militare passati agli Alti Comandi di corso Matteotti, ero iscritto a Economia e Commercio. In divisa da ufficiale, riuscii a strappare un 18 all'esame di Cultura Militare». Evelina Rosso. «Lavoravo alle Fonderie e tenevo i contatti con la Grandi Motori come staffetta della settima brigata Sap, il servizio di attività partigiana. Passammo la fine d'aprile a presidiare la fab- brica per paura che i tedeschi la distruggessero e portassero via i macchinari, togliendoci il lavoro. Nessuna festa: c'erano troppi cecchini in giro. L'ingegner Ragazzi ci ordinò di prendere le armi per portare a casa il professor Valletta e difenderlo. Era la prima volta che lo vedevo e mi stupii perché era piccolino di statura. Più tardi, sentendolo parlare con gli alti ufficiali americani, mi accorsi che era grande ugualmente. Bruno Primus. «Feci la guerra di liberazione nell'esercito, con il primo raggruppamento motorizzato Savoia. Cinquantanni fa - in divisa inglese con mostrine italiane - stavo rastrellando con una ventina di uomini una zona vici¬ na al Po. Eravamo pochi ma bastammo per ottenere la resa di un intero battaglione tedesco». Arturo Penna. «Frequentavo l'ultimo anno di liceo, mio padre era caduto in guerra e mia madre cercava di sopravvivere nelle Langhe. Per evitare la chiamata di leva e l'arruolamento tra i repubblichini di Salò, decisi di unirmi ai partigiani. Era l'unica alternativa possibile, l'eroismo non c'entra. Così, per restare vicino alla mamma, mi unii ai "garibaldini" di Niella Belbo. Se lei si fosse trovata qualche chilometro più in là, sarei finito a San Benedetto tra i "badogliani"». Gim Protto. «Fui catturato in Tunisia dove combattevo come sommergibilista e mandato prigioniero in America, nel New Jersey, dove rimasi per tre anni fino all'ottobre del '46. Mi salvò la passione per la chitarra, che mi permise di passare all'orchestra del campo diretta da Ray Anthony. Suonavo "Blue Moon", "Sunny Side of the Street", "But nothing for me". Noi italiani avevamo un cuoco napoletano e i soiveglianti americani facevano la fila per gustare i nostri spaghetti. I più infelici erano i giapponesi. Scrivevano di continue lettere e poesie lunghissime alle loro famiglie ma, al momento di imbucarle, le stracciavano. Per loro la prigionia era una vergogna». [1. r.]
Persone citate: Arturo Penna, Bruno Primus, Ernesto Morra, Mussolini, Protto, Ray Anthony, Savoia, Valletta, Viberti
Luoghi citati: America, New Jersey, Niella Belbo, Salò, Torino, Tunisia
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