Gabetti e Ferrero lasciano il consiglio, al loro posto Grande Stevens «San Paolo troppo pubblico» di Gianni Zandano
Gabetti e Ferrerò lasciano il consiglio, al loro posto Grande Stevens Gabetti e Ferrerò lasciano il consiglio, al loro posto Grande Stevens «San Paolo troppo pubblico» In allarme i soci privati TORINO. Sì al San Paolo privato, no a quello pubblico: è in questa formula che può riassumersi l'atteggiamento dei grandi gruppi privati azionisti del grande istituto di credito torinese. E due di essi - il gruppo Agnelli, presente nel capitale del San Paolo attraverso l'Ifil e il gruppo Ferrerò - hanno preso una decisione che, al di là delle pur rilevanti motivazioni contingenti dei diretti interessati, va appunto letta in questo senso. Gianluigi Gabetti e Pietro Ferrerò, consiglieri del San Paolo in rappresentanza dei rispettivi gruppi, hanno fatto sapere al vertice del San Paolo che non avrebbero accettato una riconferma nel consiglio d'amministrazione che l'assemblea della banca dovrà nominare domani. Al posto di Gabetti e di Ferrerò, i loro due gruppi designeranno congiuntamente a rappresentarli nel cda l'avvocato Franzo Grande Stevens. Non una mossa polemica, dunque visto il rango del rappresentante congiunto - ma senza dubbio una presa di distanze, un «segnale». Rivolto non soltanto a Torino ma anche, e forse soprattutto, a Roma. Ma quali elementi hanno indotto a questo atteggiamento i due gruppi? Un dato di fatto e una fondata indiscrezione. Il dato di fatto è che le Ferrovie dello Stato, in seguito all'imminente fusione della Bnc (oggi loro controllata) nel San Paolo, diventeranno azioniste della banca torinese con circa il 4%, il che incrementerà la quota pubblica a discapito di quella privata. La fondata indiscrezione riguarda invece il progetto di una successiva fusione dell'Imi con il San Paolo; operazione che risponderebbe - almeno in apparenza - ad una forte logica imprenditoriale: dare all'Imi quella grande rete di sportelli bancari che cerca da anni per poter aumentare la sua capacità di collocamento di titoli sul mercato del risparmio, e dare al San Paolo una forte integrazione nel credito industriale e nel merchant banking che pure ha cercato, non del tutto felicemente, comprando il Crediop. Ma se questa fusione avvenisse prima della completa privatizzazione dell'Imi, renderebbe ancor più «pubblico» il capitale del San Paolo. Di qui il chiaro segnale dei privati: prima di varare progetti del genere, si privatizzi del tutto l'Imi. Un segnale rivolto al premier, Dini, e al ministro del Bilancio Masera, che l'Imi ben conosce avendolo guidato come direttore generale. Nessuna presa di posizione, invece, da parte dei privati sulle infinite «querelles» che nei mesi scorsi hanno opposto il presidente del San Paolo Zandano al Comune di Torino e, in minor misura, alla Camera di commercio. E' chiaro che il potere d'indirizzo degli enti locali su una banca nazionale (o meglio internazionale), la cosiddetta «sindrome senese», quella che da anni contraddistingue la gestione del Monte dei Pascili, altro non è che una delle infinite possibile forme di ancoraggio della banca all'ambito pubblico. Giornate cruciali, dunque, per il gruppo San Paolo. E mentre oggi si riuniranno a raffica il cda della holding (per definire le nomine da votare all'assemblea di venerdì) e quello della compagnia per discutere di strategie di gruppo, si intrecciano le ipotesi sui tempi e i modi della eventuale nomina di un secondo direttore generale: è questa infatti l'altra grande novità che le modifiche statutarie all'ordine del giorno dell'assemblea di venerdì, se approvate, renderanno possibile: l'insediamento al vertice di «più direttori generali». Ma chi, e quando? [s. lue] Gianni Zandano
Persone citate: Dini, Franzo Grande Stevens, Gabetti, Gianluigi Gabetti, Grande Stevens, Masera, Pietro Ferrerò, Zandano
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