L'esercito argentino chiede perdono

e un ufficiale rivela in diretta a una madre: «Sì, buttai suo figlio dall'aereo» e un ufficiale rivela in diretta a una madre: «Sì, buttai suo figlio dall'aereo» 1/esertho argentino chiede perdono Desaparecidos, in tv il mea culpa del comandante SAN PAOLO NOSTRO SERVIZIO «Sì, signora Steinberg. Suo figlio Pablo fu buttato in mare. Mi perdoni, signora». Vent'anni dopo, la confessione va in onda in diretta. Victor Ibanez, ex sergente maggiore dell'esercito argentino, ha raccontato ai microfoni di una radio di Buenos Aires i dettagli dei «voli della morte» a cui partecipò tra il 1976 ed il 1978, quando era di stanza a Campo de Mayo, uno dei più famigerati centri di tortura della giunta militare che insanguinò il Paese latino americano dal 1976 al 1983. Nel giro di poche settimane, Ibanez è il secondo militare a rompere il muro di omertà che aveva sinora circondato i crimini della dittatura argentina. Il primo era stato l'ex capitano di corvetta Adolfo Scilingo, che in una lunga e tormentata intervista al giornalista Horacio Verbitsky aveva raccontato di come avesse partecipato ad alcuni dei voli settimanali che scaricarono nelle gelide acque dell'Atlantico meridionale i corpi incoscienti di oltre 2000 prigionieri politici: studenti, intellettuali, leader sindacali, guerriglieri peronisti. L'intervista è diventata un libro - £2 vuelo, da sei settimane primo nella lista dei più venduti - e sta per diventare un documentario della Bbc. Ma soprattutto, le rivelazioni sui voli della morte hanno riaperto una ferita che in molti, in Argentina, speravano fosse ormai rimarginata. Per il sergente Ibanez è stato un sollievo pubblico dopo un lungo dolore solitario. «Dopo aver partecipato ai voli - ha raccontato lunedì scorso in un'intervista al quotidiano La Prensa - non sono più stato me stesso. Ho iniziato a soffrire di disturbi psichici, non sono più riuscito a dormire. Rivelare la verità è l'unico modo di star meglio». Il giorno dopo, ai microfoni di una radio ha ricor¬ dato i dettagli della vita quotidiana di un assassino di Stato. Le visite alla «graticola», il centro di tortura di Campo de Mayo; le urla disperate dei prigionieri seviziati fino alla morte; le donne violentate davanti agli occhi dei mariti e dei figli. «Se l'inferno esiste, è questo». E poi i voli, ogni giovedì, di buon mattino: «Quando i corpi nudi dei prigionieri erano pronti ad essere gettati nel vuoto, l'aereo volava basso sull'oceano. Vedevamo i pesci, grandi, forse squali. Sembravano star aspettando che gli buttassimo il cibo». Negli studi della radio iniziano ad arrivare telefonate. Voci spezzate, qualche nome. L'ammissione, in diretta: «Si, signora Steinberg...». Altri nomi. Una ragazza, Dalia Kennedy, e suo marito, Americo. La stessa terribile fine, per tre giovani studenti, tra migliaia di altri, che ancor oggi sono desaparecidos, scomparsi nel nulla. In tutto, 30 mila vittime. In serata, un'altra breccia nel muro. Senza alcun precedente, questa volta. Davanti alle telecamere, il comandante in capo dell'esercito, generale Martin Balza, si scusa per le torture ed i massacri della «guerra sporca». «Non possiamo più negare l'orrore che abbiamo vissuto. L'esercito ha agito al disopra della dignità umana - ammette l'alto ufficiale -. Ma il fine non giustifica mai i mezzi. Oggi, possiamo solo offire il forte impegno di non ripetere gli errori del passato». Il generale ha poi detto che nella forza da lui comandata «la lista dei desaparecidos non esiste», ma ha aggiunto: «Se nell'esercito qualcuno disponesse di elenchi o avesse ricordi atti a riconoscere il passato, assicuro la dovuta riservatezza e la diffusione delle liste sotto la mia responsabilità». Il presidente Carlos Menem ha subito commentato alla radio: «La notizia ci dà sollievo e giunge molto opportunatamente. Il ge¬ nerale Balza ha mostrato ancora una volta onestà, coraggio e capacità». Anche la Chiesa ha fatto il suo mea culpa. Le gerarchie cattoliche argentine furono a volte conniventi con la dittatura. «Durante tutta la nostra vita - si legge in un documento firmato da cinque vescovi - porteremo nelle nostre coscienze il peso di non aver fatto molto di più per impedire le aberrazioni della repressione». Hebe Bonafini, presidente dell'organizzazione delle madri di Plaza de Mayo, ha però definito «ipocrita» l'autocritica della massima autorità dell'esercito, spiegando che «se fosse autentica, non eluderebbe i problemi e incarcererebbe gli assassini». Il candidato alla vicepresidenza, Carlos Ruckauf, sbotta: «E' strano, gli assassini decidono di confessare solo ora», cioè a tre settimane dalle elezioni. Gianluca Bevilacqua

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