«le pensioni, poi lascerò» Dini:«Ma le idee non mancano se il Parlamento vuole che resti» di Stefano Lepri

«le pensioni, poi lascerò» «le pensioni, poi lascerò» Dini: «Ma le idee non mancano se il Parlamento vuole che resti» WASHINGTON DAL NOSTRO INVIATO Non mi pare che il risultato elettorale possa preludere a un assetto politico stabile. Non prevale una forza su un'altra: il quadro rimane quello che è». Lamberto Dini commenta così i risultati del voto regionale. Non tradisce emozioni, però si capisce che è pronto a restare più a lungo alla guida del governo, qualora il Parlamento lo voglia. «Le idee e i programmi non ci mancano» dice ai giornalisti abbivaccati da tre ore per attendere quelle che sono le sue prime parole dopo le elezioni. Dunque, se il Parlamento le chiederà di restare più a lungo, resterà? «Vedremo. Ili cross the bridge when I get there» risponde l'uomo che qui a Washington, al Fondo monetario, ha passato un bel pezzo della sua vita. E' un modo di dire in inglese, attraverserò il ponte quando ci sarò arrivato, inutile porsi il problema troppo presto. Allo stato attuale delle cose, il governo si sente impegnato a restare in carica «fino all'approvazione definitiva della riforma delle pensioni». Vale a dire finché i provvedimenti non saranno trasformati in legge. Dini ripete due volte «come nel caso della manovra economica» ed è facile capire che allude alla possibilità che il passaggio in Parlamento sia difficile, litigioso. Il termine ultimo resta quello del 30 giugno. Ovviamente prima si*fa meglio è, per le sorti della lira e della nostra economia. Sarà una prova di responsabilità per entrambi gli schieramenti politici: il governo si dimetterebbe anche in caso di bocciatura della riforma. L'ideale - così si fa capire, confi- denzialmente - sarebbe andare con la legge approvata al vertice dei capi di governo del G-7, nella seconda metà di giugno a Halifax in Canada. Agli ascoltatori il calendario fissato dal presidente del Consiglio pare ben adeguato all'ipotesi di elezioni politiche ad ottobre. Ottobre, allora? Dini con tenacia non risponde, mentre le telecamere lo stringono contro un vaso di fiori, nella hall pacchiana di marmi bianchi e neri. Non è compito suo decidere, è del Presidente della Repubblica che prima di partire ha visto «disteso» e desideroso che «il dialogo tra le forze politiche divenga meno conflittuale». Ottobre? Se ne avrebbe la certezza se il governo annunciasse l'anticipo a giugno della legge finanziaria '96, o almeno dei suoi «provvedimenti collegati». Perciò Dini non risponde né sì né no: «L'anticipo è una delle possibilità». Ottobre? Le domande si ripetono identiche, assillano. In linea di ipotesi, non si può escludere nemmeno la primavera '96. Questa, occorre notarlo, è una risposta cui il presidente del Consiglio non si nega. Mario Monti, commissario europeo, ha sconsigliato di votare durante il semestre italiano di presidenza dell'Unione (gennaio-giugno '96): meglio non cambiare governo in quel periodo, per avere più autorità. Ha ragione? «Non mi pare - dice Dini - che il turno di presidenza europea escluda il voto. Ogni Paese ha le sue esigenze». Al Fondo monetario Dini gioca in casa, tutti i documenti elogiano quanto sta facendo. «Speriamo che resti» si sente dire, ovviamente off recards. Stefano Lepri

Persone citate: Dini, Lamberto Dini, Mario Monti

Luoghi citati: Canada, Washington