Partigiani, non è finita

documento. Maggio '45: il saluto agli amici garibaldini e di G.L. documento. Maggio '45: il saluto agli amici garibaldini e di G.L. Partigiani, non è finita Bocca-. «Il nostro lavoro è nelle città» i IVEVO visto giorni fa cam1 biare un Tompson con una j\ pistola; svalutazione cori lossale che era sintomo di Ailfine; poi è venuto l'ordine di smobilitazione. I partigiani hanno deposto le armi nei magazzini, come fossero giunti alla fine di un corso militare, e compilato un modulo ritornano alle loro case. Conclusione piatta e burocratica vissuta in una atmosfera di trapasso gravida di incertezze e di impazienze, percorsa da delusio.ni, turbata da disorientamenti. La stanchezza fisica, un ingenuo desiderio di piaceri per tanti mesi negati, una ancora più infantile sorpresa nel trovare il mondo ancora cattivo e guasto, hanno favorito la crisi. Ed intanto sono giunte le avanguardie di quel vecchio mondo che non vuol perire ed intanto si sono ridestati dal letargo che è durato venti mesi tutti coloro che riputavano troppo preziosa per il Paese la loro esistenza per arrischiarla sulla traiettoria di una pallottola tedesca o fascista. Così gradatamente tra l'abbraccio di una «faccia falsa» e l'ossequio al colonnello di stato maggiore ridisceso in piazza colla divisa fiammante (puzza ancora di naftalina) il partigiano ha ripreso a meditare. Così dalla nausea di cose viste e sentite, dal senso di soffocazione che riprende, dal ricomparire del nemico camuffato sotto nuove forme i partigiani sono sta- ti riportati alla realtà; la lotta si conduce sino alla fine e senza soste. Perciò benvenuta la smobilitazione e che sia veloce. Perché ora noi, e sembra paradossale, nella smobilitazione vediamo la ripresa della nostra opera. Il campo di lotta si è spostato dalle montagne ai paesi, alle città, alle officine, agli uffici, ai giornali; dalle bande all'esercito regolare ed alla polizia. Là noi dobbiamo essere presenti. Già nell'inverno scorso la parola d'ordine era: pianurizzazione. Con ciò venivano intese quelle operazioni di carattere militare per cui i partigiani si irradiavano nella pianura circondando il nemico in una rete a maglie più fitte. L'ordine è più che mai attuale. Ma non resteremo più nei cascinali di campagna e nei sobborghi più nascosti. Andremo nel filo della corrente, dove la vita è più intensa e serrata. Le bande dì montagna si sciolgono, ma i partigiani restano uniti. Non è il tesserino da partigiano, che si può anche falsificare, come non sono i raduni periodici, le commemorazioni e i ricordi giornalistici a mantenere tale unità. C'è qualche cosa di più marcato, qualche cosa che ha inciso profondamente nell'anima. Venti mesi di lotta sono stati un'ottima scuola e nelle scuole buone si formano mentalità e caratteri. Per questo non ci preoccupa troppo il sapere se i partigiani sceglieranno un partito piuttosto che un altro. A noi importa solo che tutti ricordino quanto hanno visto ed appreso in questi mesi. Ed in questi mesi abbiamo toccato con mano che a lottare per la liberazione della patria e per l'avvento di una democrazia progressiva c'era solo e generoso Ù popolo che lavora. Quanti ufficiali superiori abbiamo visto nelle bande, quanti industriali, quanti proprietari di terre? Quasi nessuno. Ma c'erano gli operai ed i contadini e gli intellettuali che giorno per giorno si guadagnano la vita colle loro fatiche. Chi ci ha aiutato in questi mesi e specialmente nei duri tempi dell'inizio? Solo e sempre la povera gente, che ci vestiva, che ci ricoverava, che divideva con noi il poco che aveva, ma non gli ufficialoni spartitisi fra lo stipendio repubblicano e lo stipendio regio, non gli industriali intenti a fare milioni servendo il tedesco, non i proprietari di terre diguazzanti fra i proventi eccezionali di guerra. Quelli se mai protestavano per la requisizione di una bestia. E chi, adesso che la puzza di morte è svanita, si pavoneggia con una impudenza che raggiunge limiti inauditi, si butta all'arrembaggio delle raccomandazioni? Non il popolo che ha ripreso a faticare, ma loro, sempre loro, gli sfruttatori ed i disonesti. Sono corsi i primi giorni da noi credendo che fossimo i nuovi padroni, ma poi hanno capito che siamo dei poveri diavoli, tanto bravisi, ma non adatti a loro. Ed allora si sonò precipitati in un carosello impressionante, annaspando, cercando. Alcuni si sono diretti agli alleati, sorridendo a qualche simpatico filippino, a uno stupito moro, altri aspettano che giunga da Roma qualche signore potènte. Danno ancora e sempre prova di servilismo. Ieri col tedesco e col fascista, oggi con l'inglese è con il francese; pur di strappare qualche cosa di vantaggioso. Ai grossi squali si accodala nube 'dei pesciolini, più piccoli, ma altrettanto voraci. .Alcuni mimetizzati alla perfezione sono entrati nelle' nòstre file schizzandoci di fango.- Smobilitiamo, e smobilitiamo in fretta. Ritorniamo a lottare duramente e ci ritroveremo in menò, ma più puliti. Ritorniamo a lottare per quei principi che hanno dato un signi¬ ficato alla lotta. Per la libertà che non è quella di morire di fame e di scrivere qualche brano polemico (puntura di spillo nella cute di un elefante); perla giustizia, che non è quella tutelata dai reali carabinieri o quella promossa dagli istituti di beneficenza presieduti dà una nobildonna; per l'onestà, che non è quella troppo facile dei commendatori e dei milionari. Lottiamo per la giustizia, per la libertà e per l'onestà del popolo che lavora. Senza convocazioni, senza richiami ci ritroveremo domani à marciare ancora sullo stesso sentiero, con lo stesso passo e con lo, stesso cuore. Noi specialmente garibaldini e G. L. che siamo stati così vicini e uniti nella guerra partigiana. Arrivederci compagni, il rastrellamento non è ancora finito. Giorgio Bocca Commissario di Guerra della II Divisione G. L. «Non è il tesserino i e non sono i raduni I a tenerci uniti. Tutti ricordino quanto hanno visto e appreso» i I A A^yANNI DALLA » LIBERAZIONE

Persone citate: Bocca, Giorgio Bocca

Luoghi citati: Roma