dei La fabbrica dei fiamminghi

La rivelazione è Joardens che annuncia Vermeer Rembrandt, Rubens, Van Dyck e il Seicento barocco dei Paesi Bassi dei La fabbrii mmingm JMILANO IANO benedetti e benvenuti i musei e le collezioni dell'Est, tanto affamati di qualsiasi valuta estera da offrire la sola possibilità residua per l'Italia in bolletta e snobbata di allestire mostre di ottimo o buon livello di pittura antica e moderna con materiah' di oltreconfine. Ai tempi della cortina di ferro, ricordiamo rapporti felici e privilegiati fra Praga e Venezia, che ci portavano capolavori del Bassano o il Marsia del vecchio Tiziano che nessun museo al mondo avrebbe concesso; o episodi singolari come i Kandinsky trionfanti a Roma e ripiombati al loro ritorno in depositi di raro accesso a Mosca e a Leningrado. Poi, con la libera ondata dopo la caduta dei muri, hanno viaggiato persino i Leonardo; ultimi felicissimi episodi il Teatro Ebraico di Chagall a Milano e i Gauguin a FerraraFino al 28 maggio, è la volta alla Società Permanente di Rembrandt, Rubens, Van Dyck e il Seicento dei Paesi Bassi: 80 quadri delle collezioni del Museo delle Belle Arti di Budapest, una cavalcata nel '600 fiammingo e olandese maggiore e minore, fabbrica di pittura di dimensione industriale con livelli di produzione organizzata persino superiori al modello italiano, che è comunque imprescindibile come scuola, forma e cultura. Essa è affiancata da un interessante excursus sui rari pittori della Germania flagellata dalla Guerra dei Trent'anni: fra questi i più autorevoli, Johann Heinrich Schònfeld, rientrato ad Augusta con i più ricchi frutti barocchi romani e napoletani, evidenti nella Lotta di Giacobbe e l'angelo degno di un Cavallino o di un Maffei e nel prezioso, anche tematicamente, Sciti alla tomba di Ovidio, colta fantasia alla Salvator Rosa: Johann Liss, saldamente stabilitosi a Venezia via Paesi Bassi e Parigi e ivi barocco eccellente, ma qui rappresentato da una precoce Festa nuziale paesana fiammingheggiante, ricca di sapori cromatici fra Rubens e Jordaens. Per quanto l'autore sia dimenticato (ingiustamente) nell'intitolazione della mostra, il pezzo più straordinario è probabilmente proprio II contadino e il satiro di Jordaens, che solidifica le forme rubensiane in compattezze caravaggesche di rossi blu e gialli mo- «Ritratto d'uomo» di Frans Hals alla mostra dei fiamminghi a Milano dellati di luce e nell'ovoide centrale della testa della moglie del contadino, che già preannuncia Vermeer. Nel quadro tutto, le sedie impagliate rimaste tal quali dopo 300 anni nel mondo contadi¬ no e l'incredibile, nordico seggiolone-cestone che ospita la vecchia madre, lo stupendo ritratto di bracco accucciato sotto il tavolo, trasmuta in quella tangibile quotidianità del reale continentale (da noi padano), che sarà privilegio dei Le Nain e del Ceruti, la mediterraneità classica e aliena del mito e delle favole «morali» di Esopo. Quasi a fianco, una gran tela coeva illustra con analoghe, ma sontuose e teatrali modalità pittoriche proprio quell'opposto mondo alieno, in omaggio alle classiche fonti italiane del '500: è il Muzio Scevóla, impostato da Rubens e in gran parte dipinto da Van Dyck negli anni di collaborazione alla fine del secondo decennio del '600, rinnovando dopo un secolo i procedimenti del gran cantiere raffaellesco; non è un caso che questo impeto barocco rinnovi le forme degli arazzi per la Sistina e delle ultime Stanze vaticane. L'autonoma essenziale grandezza della pittura di Van Dyck emerge nelle diafane trasparenze del Ritratto di coniugi, vibranti di linfa vitale nelle mani e nei volti, guizzanti di luce gelida nei pizzi e nelle cocolle inamidate contro la densità vellutata delle vesti nere. Fra questo e il Ritratto d'uomo di Frans Hals è un combattimento di gran pittura che rivela le infinite diverse identità pittoriche dei velluti neri e dei collettoni bianchi e le ineffabili diversità della pelle bianca di un guanto, con una infinitesima sfumatura di ingiallimento; o di un alito fra dorato e grigioargenteo sulle carni. L'altro versante, rembrandtiano, si appoggia ad un Sogno di Giuseppe della bottega, nascente da un disegno a penna del maestro; la fedeltà degli ombrosi modi pittorici con il loro oro soffocato non raggiunge la sua altezza, ma è salvo lo spirito che immerge la lettera biblica ed evangelica nella quotidianità talmudica del ghetto di Amsterdam. E' l'altra forma, densa, intima, patetica, di una realtà inglobante il sovrannaturale. Lo vediamo in modi diversi, per la vasta cerchia rembrandtiana, nella bellissima Testa di fanciulla di Jan Lievens e, massimamente, nella misteriosa intimità ebraica di Ester e Mardocheo, di un tardo allievo, Aert de Gelder, profondamente fedele allo spirito del maestro. Marco Rosei A Milano ottanta tele dal Museo di Budapest La rivelazione è Joardens che annuncia Vermeer L fbbi