Anche lo scienziato bolli la cartolina

RICERCATORI IN DIFFICOLTA' RICERCATORI IN DIFFICOLTA' Anche lo scienziato bolli la cartolina Trend preoccupante: più burocrazia e meno finanziamenti TUTTI sanno che in Italia si spende poco per la ricerca - circa 1*1,3 per cento del prodotto interno lordo, la metà rispetto agli altri Paesi avanzati - e che abbiamo pochi ricercatori (la metà della Francia, per fare un caso calzante). Ma è anche noto a tutti che esistono individualità, scuole o intere aree di grande valore internazionale. Per restare alle cose che conosco, la partecipazione alla recente scoperta del quark top, o l'affermazione del Laboratorio del Gran Sasso, diventato in pochi anni il terzo laboratorio europeo per volume di interscambio con gli Stati Uniti, sono i primi esempi che vengono alla mente. Su questi esempi si può costruire, per allargare le aree di eccellenza e per ampliare lo scambio di innovazione tecnologica tra ricerca di base, industria e società civile. Purtroppo però negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni che vanno esattamente nella direzione opposta: l'erosione continua dei finanziamenti e, cosa forse ancor più preoccupante, l'aumento della pressione burocratica sulla ricerca, con la tendenza ad assimilarla a una qualsiasi attività amministrativa dello Stato. Sul primo aspetto, è sufficiente ricordare che, negli ultimi sei mesi, il bilancio dei maggiori enti di ricerca - Cnr, Enea, Infn - è stato ridotto prima del 5 per cento e poi, con l'ultima manovra economica, di un altro 3 per cento. Detratte le spese del personale e tenuto conto della svalutazione della lira (molte spese per la ricerca si devono fare all'estero), questo equivale a una riduzione secca, in corso d'opera, del 15-20 per cento sui fondi a disposizione per quest'anno. Se includiamo la notevole riduzione dello stanziamento all'Enea, abbiamo una perdita di 300 miliardi per i tre maggiori enti di ricerca, su poco più di 2000 miliardi di stanziamento globale. Quanto al secondo aspetto, voglio citare due casi che mi sembrano particolarmente emblematici. Il primo è un esempio indicativo delle linee di tendenza, il secondo un fatto recente, dalle conseguenze potenzialmente disastrose. L'esempio riguarda la nuova normativa per i concorsi dello Stato. Le regole prevedono, tra Taltro, la limitazione della sé, ma è la sua applicazione al mondo della ricerca che appare, fuori di ogni dubbio, inutile e anzi nociva. Non a caso il controllo dell'orario di lavoro è una pratica sconosciuta negli enti di ricerca europei (Cnrs in Francia, Max Planck Institut in Germania) e in quelli internazionali (Cern di Ginevra), dove è privilegiata la valutazione dei risultati conseguiti, a tutti i livelli di personale. Da noi, almeno per il momento, la regola ha prodotto il paradosso di un ministro-scienziato che è costretto a ordinare a un presidente, altrettanto scienziato, di mettere il cartellino ai fisici nucleari. Si dirà: ma perché mai i ricercatori debbono avere uno stato speciale? Sono forse tutti dei Rubbia o delle Levi-Montalcini? Ragioniamo su un ricercatore al primo impiego. Con ogni probabilità, è stato^tra i laurea¬ Commissione a tre membri e l'attribuzione del ruolo di presidente a un magistrato o a un dirigente generale. Non discuto l'utilità delle norme per i grandi concorsi di ammissione all'amministrazione dello Stato. Ma l'estensione ai concorsi per ricercatori o tecnologi mi sembra di dubbia utilità. Inoltre in alcuni casi, e penso ai concorsi per dirigente di ricerca o dirigente tecnologo, la limitazione del numero dei commissari ridurrebbe gravemente le competenze presenti nella commissione, necessarie per valutare candidati che provengono da specializzazioni diverse. Ed ecco il secondo caso. Una norma generale, introdotta nella legge finanziaria per il 1995, richiede che l'osservanza dell'orario di lavoro sia controllata, per i dipendenti dello Stato, «con metodi obiettivi ed automatici». Di nuovo, non metto in dubbio l'utilità della norma in ti più brillanti del suo corso. Poi è stato selezionato per il dottorato di ricerca e per una borsa post-doctoral. Quindi, verso i 28-30 anni, ha vinto un concorso nazionale. Per perfezionare le sue conoscenze, quando lo assume, lo Stato ha già investito su di lui centinaia di milioni e altri ne investirà per finanziare le sue ricerche. E' ragionevole sostenere che l'erogazione del suo stipendio sia condizionata al numero di ore lavorate? Il problema dei ricercatori degli enti non è quello dell'assenteismo ma, semmai, un problema di motivazione. La motivazione alla ricerca, che richiede tensione e competitività, può avere alti e bassi e diminuire nel tempo. I ricercatori sono potenzialmente un grande serbatoio di energie e competenze professionali, che potrebbero essere impiegate nei dottorati, nella consulenza agli organi dello Stato, nel trasferimento di innovazione all'industria. Dopo un incidente ferroviario, un incendio, o un disastro simile, le autorità sono sempre ansiose di rispondere alla domanda: com'è potuto accadere? In questo caso posso identificare almeno tre motivi. In primo luogo, i ministri dell'Università e della ricerca che sono succeduti a Ruberti hanno privilegiato la cura dell'Università, senza proteggere adeguatamente gli enti di ricerca dall'invadenza della burocrazia. In secondo luogo, la tendenza a dare autonomia scientifica, organizzativa e contabile agli enti di ricerca, un processo iniziato da Ruberti e culminato con la legge n. 168/89, si è arrestata e la legge stessa è stata in gran parte disattesa. Infine, la riforma dell'amministrazione pubblica compiuta con il Decreto Legislativo n. 28/93 ha riportato gli enti di ricerca nell'ambito dell'amministrazione dello Stato, con gli effetti che abbiamo appena visto. Che fare? Ci sono almeno due appuntamenti per una inversione di tendenza quanto mai necessaria. 1) Il nuovo contratto del settore ricerca: potrebbe trovare spazi per un'organizzazione del lavoro che tenga conto della specificità degli enti di ricerca, primo fra tutti il clima di competizione internazionale in cui si svolgono le attività, che richiede snellezza e autonomia a tutti i livelli del personale. 2) La legge finanziaria 1996: una iniezione di denaro fresco nel sistema ricerca dell'ordine di quanto sottratto quest'anno, somma trascurabile rispetto alle manovre economiche in corso, metterebbe in moto nuove energie e darebbe un segnale positivo al Paese. E' un provvedimento già suggerito al ministro Podestà in occasione della legge finanziaria 1995. Il ministro Salvini pochi giorni fa ha proposto autorevolmente proprio su questo giornale il rilancio della ricerca nelle Università. Al ministro, che si sta muovendo con energia e competenza, non può sfuggire la necessità di strumenti nuovi anche per gli enti di ricerca: gli chiediamo di agire da par suo per scongiurare una nuova fuga di cervelli dal mondo della ricerca e fermare il declino scientifico del nostro Paese. Luciano Maiani Presidente dell'Istituto nazionale , di fisica nucleare

Persone citate: Levi-montalcini, Luciano Maiani, Max Planck, Rubbia, Ruberti, Salvini

Luoghi citati: Francia, Germania, Ginevra, Italia, Stati Uniti