CENT'ANNI DI VIZIETTO
CENT'ANNI DI VIZIETTO CENT'ANNI DI VIZIETTO Da Sodoma a Hollywood: viaggio letterario tra i tagli e le censure del cinema gay e lesbico Con Rodolfo Valentino, Lulu e Tootsie 12 autori vanno alla ricerca di drammi, stranezze e coraggio B. Ruby Rich analizza il cinema latinoamericano «con la sua forte contrapposizione machomaricon», Vieri Razzini si occupa del «Camp», Tamsin Wilton scherza sulla spettatrice lesbica nel saggio «Non essere Lady Macbeth», Sergio Trombetta racconta lo straordinario personaggio che era il regista armenogeorgiano Sergej Paradjanov, Antonio Miredi vede Rodolfo Valentino come un caso politico in «Maciste contro lo Sceicco». Richard Dyer ripercorre il cinema lesbico e gay in Europa: con i suoi logori stereotipi, «la checca urlante, la lesbica rapace, il giovane miserevole, lo scapolo solitario» (un esempio di «lesbica rapace» è naturalmente Giovanna Galletti in «Roma città aperta»); con la fascinazione per il lesbismo «esplicitamente messo in scena per lo sguardo d'un personaggio maschio e ripudiato dalle donne appena riescono ad avere "la cosa vera", cioè un uomo»; con i film più drammatici come «L'homme blessé» di Patrice Chéreau, «che danno agli omosessuali la dignità d'un destino tragico, ma danno pure agli eterosessuali il conforto di pensare che le nostre vite sono più disperate di quanto avessero mai immaginato». Mario Fortunato parte dai tradimenti compiuti dal film di Bob Fosse «Cabaret» rispetto al romanzo ispiratore, «Addio a Berlino» di Christopher Isherwood, per porre a confronto l'omosessualità nel cinema e nella letteratura. Fabio Bo ana¬ lizza la fisicità e nudità maschile nei film, dai baci profondi allo «spettacolo del pene», nel passaggio dal «corpo senza organo» del cinema industriale all'«organo senza corpo» del cinema hard gayQuesti e altri lavori sono preceduti dal testo in cui David Robinson traccia una breve storia del cinema gay e lesbico, completata da una cronologia dei lungometraggi del genere. Alle origini il cinema, nato nell'anno del processo contro Oscar Wilde «durante un periodo rivoluzionario per pensieri e costumi sessuali», vede gli omosessuali come personaggi comici: caratteri mascolini affliggevano nella satira quelle donne «snaturate» che erano le suffragette; si travestivano ridicolmente da donna attori corpulenti come Wallace Beery o Fatty Arbuckle; Charlie Chaplin invece, in «The Masquerader», vestito da donna per trovare lavoro nello spettacolo come più tardi Dustin Hoffman in «Tootsie», ha un fascino ambiguo che seduce tutti gli uomini, e Stanlio fa innamorare in «The Soilers» un manierato cowboy che gli lancia baci e azzarda avances sessuali. La prima lesbica esplicita è Alice Roberts, interprete della contessa Geschwitz in «Lulu» di Pabst: nel tempo del muto, il cinema tedesco pare l'unico ad affrontare temi omosessuali. Il film gay più redditizio della storia è «Il vizietto» di Edouard Molinaro, con Michel Serrault e Ugo Tognazzi. Il più si-; gnificativo, secondo l'autore, è «Domenica, maledetta domenica» di John Schlesinger, «per la prima volta un film commerciale sulla vita gay riguardava solo i rapporti umani tra i personaggi, l'orientamento sessuale non era messo in discussione ma dato per scontato». I film più commoventi sono «Il diritto del più forte» di Fassbinder e «Philadelphia» di Jonathan Demme: ormai, tra il 1982 e il 1995, «appaiono centocinquanta film a tematica omosessuale, molti di più che nei precedenti ottantacinque anni di storia del cinema». Dal 1982 infatti l'Aids moltiplica i film che rispecchiano un'esperienza del sesso e una percezione della morte drammaticamente cambiate, scrive David Robinson: «Gli Anni Novanta hanno portato l'epoca del Nuovo Queer Cinema... La più impressionante rivoluzione di questo periodo è il riconoscimento - non solo tra i gay - che i sentimenti, le emozioni, le storie delle persone omosessuali sono interessanti a modo loro per ciascun tipo di pubblico e possono essere visti con la stessa assenza di morbosità dei più tradizionali temi drammatici, delle emozioni e della sessualità generalmente umani». Alla fine del secolo, dopo cent'anni di cinema, «la rivoluzione implica che i film di tematica gay e lesbica non sono più importanti per il loro coraggio e la loro stranezza: quello che importa è che i film abbiano un intrinseco valore drammatico», che siano belli. nuova cultura ejmpletamente dPer molparlare dipartenenzdelle qualrispettatablemi si Annamariprofessoreca dello svlazioni fversità dpubblicatlato Bin affidpressolo Cort -; n a a a o pi Lietta Tornabuoni ci si possa creare una vita autonoma al di fuori della famiglia, a discapito delle inevitabili sofferenze e di un'eventuale disapprovazione, pena la propria libertà affettiva e individuale. Non lo fece Erika Mann, che si dedicò talmente alla divulgazione del lavoro del padre da trascurare le sue attività di attrice e di conferenziera, oltre che di corrispondente di guerra e di scrittrice di storie per bambini, e non lo fece Emily Dickinson, che decise di ritrarsi dalla vita dichiarando «io mon mi spingo oltre il giardino di mio padre». Oltre la siepe però, è bene ricordarlo, non c'è il buio ma la luce dell'Altro. Chiara Simonetti Luisa Accati, Marina Cattaruzza e Monika Verzar Bass Padre e Figlia Rosenberg & Sellier, pp. 282, L 40.000 r* *
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