TAMARO D'ORO di Oreste Del Buono

TAMÀRO D'ORO TAMÀRO D'ORO 77 boom di «Va' dove ti porta il cuore» smentisce i profeti dello stile ■J^ ESSUNO è disposto a Ek sorbirsi 165 pagine di fatterelli minutamen- I te prevedibili per poi 1 sentirsi dire, come i premio finale, che "se | 181 la vita è un percorso, è I un Percorso cr,e si I ■ svolge sempre in saliiJtk* 1 ta" e che "l'unico maestro che esiste, l'unico vero e credibile è la propria coscienza"»: questo giudizio inappellabile apparve il 6 febbraio 1994 sul Corriere della Sera a proposito di un libro appena uscito. Si sa che il Corriere è sempre il più autorevole quotidiano italiano e che qualsiasi cosa pubblichi a favore o a sfavore di un libro non manca di avere un gran peso sulla sorte dell'autore. L'invito perentorio a non leggere l'opera incriminata, oltretutto, figurava a firma di uno dei più apprezzati e seguiti collaboratori del quotidiano milanese. Giovanni Raboni, grande poeta, critico e grande traduttore di Proust, era arrivato al giudizio inappellabile dopo un esame conciso ma puntiglioso della banalità del libro in questione: «Non ho nulla contro un "bon usage" dei luoghi comuni in letteratura; ma ho l'impressione che nel suo ultimo libro Va' dove ti porta il cuore (Baldini &• Castoldi) Susanna Tamaro abbia ecceduto nel dosaggio. Non c'è pagina, ma che dico? non c'è frase, non c'è parola (così come d'altra parte non c'è situazione o personaggio) del breve ma interminabile romanzo che non sia intrisa d'ovvietà, che non sia, anzi, l'ovvietà stessa fatta a suono e grammatica, la discesa in terra del più puro concetto d'ovvietà. Presi e soavemente tenuti per mano dalla giovane scrittrice attraversiamo 70 anni di vita triestina ed italiana, la durata di tre generazioni, le vicende di tre esistenze femminili senza scoprire una sola cosa che già non sapessimo, senza uscire per un solo istante dal limbo del già visto, del già sentito, del già pensato», scriveva Giovanni Raboni e ammoniva Susanna Tamaro per il futuro. «Credo (sulla base, soprattutto, dei suoi due libri precedenti) che la Tamaro non manchi di mezzi e di talento; per questo mi permetto di metterla in guardia contro i rischi del minimalismo intellettuale che è qualcosa di assai diverso dal minimalismo narrativo e dal minimalismo stilistico. Nessuno è disposto a sorbirsi 165 pagine, eccetera...». Può darsi che sbagli, sbaglio spesso e volentieri, ma ho il sospetto che, a volte, stroncature particolarmente severe, abbiano invece il potere di suscitare un interesse imprevedibile per il libro di cui si parla. L'elenco dei difetti imputati da Giovanni Raboni a Susanna Tamaro forse suggerì a qualcuno che Va' dove ti porta il cuore potesse essere una lettura alla propria portata. Così capitò che il pubblico disattendesse l'autorevolezza del Corriere e il magistero del critico. D'improvviso molti, quasi troppi si sentirono disposti a sorbirsi quelle 165 pagine. «Nessuno» aveva sancito Giovanni Raboni ma oltre un milione e mezzo di copie vendute in Italia sta a significare che da allora ben più di «qualcuno» ha acquistato e letto il romanzo di Susanna Tamaro e che la sua diffusione procede nel mondo via via che ne appaiono le traduzioni in Spagna, in Olanda, in Germania, in Francia. Giovanni Raboni, naturalmente, è più che libero, come del resto fa, di ripetere, aggravandolo di volta in volta, il suo giudizio negativo, ma ha dovuto rinunciare alla possibilità di impedire il successo di Va' dove ti porta il cuore e ha trasformato questo successo in un capo d'accusa capitale: «Questo romanzo è una resa al luogo comune. Un libro tipicamente inoffensivo, non fa male a nessuno e sembra' far bene a tutti. Dico "sembra" perché non aggiunge nulla alla conoscenza del mondo e del proprio cuore...», ha dichiarato all'Espresso del 24 giugno 1994. E, crescendo il successo di Va' dove ti porta sere il più bravo e la modella più pagata deve essere la più bella. Di fronte alla brutalità di questi sillogismi non sono ammessi né dubbi né prove contrarie...». Giovanni Raboni non ha esitato a buttarla anche in politica. «Poco importa che sull'origine del "potere" e dell' "impero" di Berlusconi aleggino misteri, a dir poco inquietanti, né che i suoi giorni di governo siano stati i più catastrofici degli ultimi decenni; a nulla vale che il romanzetto di Susanna Tamaro abbia la consistenza estetica di un "Harmony Book" o che Claudia Schiffer sia, a guardarla bene, una ragazzona scipita con le orecchie a sventola e i denti da coniglio. Ogni evidenza scompare in una fulgida nebbia, ogni dissenso naufraga in un coro di insulti e di sberleffi: tutta invidia...». Su questa rivelazione dell'insulsaggine e dello squallore di Claudia Schiffer, di cui, ovviamente, lascio ogni responsabilità al gusto di Giovanni Raboni, ritengo di poter passare dal pubblico ministero all'imputata del best-seller del 1994, il primo best-seller del dopo Eco. A parlare di Susanna Tamaro, al di fuori delle cronache letterarie, si era cominciato nel luglio 1991, per merito di Federico Fellini. Il secondo libro di Susanna Tamaro, Per voce sola (Marsilio, 1991), era stato sconfitto per poco al Premio Viareggio, nonostante l'appassionata difesa di Natalia Ginzburg, Cesare Garboli e Giovanni Giudici, ma Federico Fellini che, quando si prendeva una cotta letteraria, era capace di tormentare gli amici, aveva telefonato a Lietta Tornabuoni de La Stampa: «Guarda che la Tamaro vale. Meriterebbe un articolo. E' una donna di trentaquattro anni che sembra un bambino di dodici, pure Lucignolo, Pel di Carota, Gelsomina. Un personaggio del teatro dei burattini. Anoressica e campionessa di karaté...». Nella sua generosità Federico Fellini era un imbonitore straordinario. Lietta Tornabuoni aveva letto Per voce sola ed era andata a trovare nella sua piccola e calda casa di Trastevere Susanna Tamaro. Per scoprire che Federico Fellini aveva indotto all'intervista anche Natalia Aspesi di Repubblica. I due pezzi erano usciti pressoché insieme. La prima cosa che nell'intervista concessa a La Stampa Susanna Tamaro aveva tenuto a precisare riguardava i suoi successi nel karaté: «Ho provato con il judo, ma non mi piaceva e non avevo il fisico. Il karaté invece.. Esige approfondimento del proprio essere ed equilibrio del corpo. Io ero paurosissima, di una timidezza patologica. Ma in combattimento non si può mentire, vengono fuori le pulsioni primordiali e si può sfogare l'aggressività in modo controllato. Poi c'è il fondamentale fatto estetico, la bellissima semplicità ed economia dei gesti, il senso di sicurezza. Il rapporto formalistico, ma profondo con il Maestro. Ci vuole rigore, freddezza...». Era ancora agli inizi, ma era orgogliosa dei diplomi del Barbin Goju-Ryu Karaté Club appesi alle pareti. te, fa, in ma biSusanna Tamaro Cesare romperaveva pda MarMa nonveva lePer vocmiglioraveva vna Tamaltro roeditoreAlessan Poi aveva spiegato perché in casa sua non si vedessero libri: «M'ero ammalata di asma allergica, per via della polvere. Senza dispiacere mi sono liberata dei libri dandoli alla biblioteca di quartiere dove posso leggerli quando voglio. Ma i libri che rileggo non sono più di dieci, dodici: i Diari di Kafka, le Mille e una notte, i romanzi di Jack London, De rerum natura...». Veniva da una famiglia triestina molto bizzarra aveva detto: «Un padre che parla cinese, correttore di bozze, sparito più o meno alla mia nascita; ci siamo poi rincontrati a Roma, ma c'erano scarsissimi rapporti. Una madre manager, proprietaria di un'agenzia di pubblicità che, quando si è risposata, ha voluto cancellare la sua vita precedente e i figli. Sono cresciuta a Trieste con la nonna malata del morbo di Alzheimer alla quale è dedicato Per voce sola. I miei due fratelli lavorano a Trieste. Da parte materna, una grande famiglia ebrea cosmopolita, col ricordo d'una solida opulenza: la moda della Mitteleuropa mi dà la nausea, ma questa eredità è una grande ricchezza...». Giovanni Tamaro, correttore di bozze in pensione, ha raccontato all'Espresso del 24 giugno 1994: «Da bambina era bellissima con grandi occhi azzurri spalancati sul mondo. Non parlava quasi mai. Una volta la maestra mandò a chiamare mia moglie perché Susanna stava sempre zitta a guardare gli altri bambini. Forse una forma di autismo che andava insieme alla caparbietà. Quando lei decide una cosa, e la decide in silenzio, senza comunicarla, non c'è ostacolo che tenga... Se ne è andata molto presto. E prima ha vissuto in un piccolo appartamento di Udine. Successivamente, e per molti anni, con la nonna. Vivevano in una bella villa a Opicina, sulle colline di Trieste. La casa descritta nel libro... La nonna era una donna forte con una grande personalità. Si chiamava Elsa Hoeberth von Schwartztai ed era nipote di una capitana d'industria che reggeva con grande polso una multinazionale delle vernici per le carene di navi, la Veneziani, con sedi ad Amburgo, Londra e Trieste. Un'altra figlia della bisnonna aveva sposato Italo Svevo... Susanna è parte integrante di una genealogia di donne, discende da una famiglia matriarcale in cui le donne avevano il potere sugli uomini...». Susanna Tamaro è arrivata tardi alla pubblicazione. Quando a diciotto anni aveva vinto una borsa di studio al Centro Sperimentale di Cinematografia e si era trasferita a Roma, scriveva di già ma senza grandi soddisfazioni. Farsi pubblicare se non si è noti o raccomandati implica una fatica muscolare in più oltre quella di scrivere. Occorre fotocopiare, spedire pacchi, e non scoraggiarsi al crescere del numero dei rifiuti, insistere nel perseguire gli editori. Per quasi dieci anni, dal 1979 al 1988, Susanna Tamaro aveva collezionato rifiuti. Per fortuna, il diploma di regista le era servito a realizzare documentari scientifici e a non tornare agli incubi scolastici quando credeva di avere un'intelligenza inferiore alla media e ne soffriva pensando di non essere in grado neppure di arrivare a essere giardiniera o puericultrice. Almeno al diploma di maestra elementare era arrivata. Avrebbe conseguito anche quello di scrittrice. Era stato Cesare De Michelis nel 1989 a interrompere la catena dei rifiuti. Le aveva pubblicato il primo romanzo da Marsilio, La testa tra le nuvole. Ma non era cambiato nulla. Chi l'aveva letto? La raccolta di racconti Per voce sola aveva ricevuto una migliore accoglienza critica ma non aveva venduto molte copie. Susanna Tamaro scrisse un altro libro, un altro romanzo, e passò a un altro editore, la Baldini & Castoldi di Alessandro Dalai. Ed è stata un'al¬ tra avventura, un'altra vita addirittura. Non solo gioie, anche guai, naturalmente: con i consensi del pubblico sono cominciati i dissensi dei critici. Il 20 gennaio del 1995, scadendo un anno esatto dalla pubblicazione di Va' dove porta il cuore, Susanna Tamaro si è provata a sintetizzare quanto le è successo, per il Corriere. Con qualche malizia l'intervistatrice Lucia Annunziata aveva espresso la possibilità di mettere accanto Silvio Berlusconi e Susanna Tamaro come personaggi dell'anno 1994, e ha domandato se anche la scrittrice condividesse una simile ipotesi. Susanna Tamaro ha risposto tutta seria: «La gente era stufa del vecchio, in tutto, in politica come in quello che leggeva. Questo è il filo, un bisogno di nuovo. Per il resto, sa, la tesi della berlusconiana Tamaro è stata in genere sollevata a sinistra dalle stesse persone che hanno amato altri miei libri solo perché quelli parlavano di diseredati, mentre questa mia ultima è una storia borghese, una storia intima, e dunque... Ma questo dice solo quanto è rozza la critica. La mia non è affatto una storia intima perché tocca il senso etico di ognuno, che è poi la base della convivenza civile... Io ricevo migliaia di lettere in cui mi si dice grazie. Come mai succede questo? E' la reazione al fatto che abbiamo vissuto per anni una vita solo esterna, fondata sui valori del successo e dell'avere, poi siamo arrivati a una situazione di stallo, con tanta insoddisfazione politica e allora la gente ha comincialo a guardare dentro di sé...». Susanna Tamaro ha raccontato che, quando aveva fatto leggere il suo libro alle sue amiche, tutte le avevano dato della pazza per il titolo da biglietto Baci Perugina, e per l'argomento. Ma il titolo figurava in un passo delle memorie che un grande samurai aveva lasciate ai suoi allievi. E lei, dopo un anno di discussioni, è riuscita a pubblicare il libro, sentendosi molto coraggiosa nel farlo. E ha parlato di leggende: «Hanno detto che l'editore abbia speso milioni per fare una campagna pubblicitaria al libro o che io abbia preso tanti soldi. Niente di vero, perché nel libro non credeva nessuno. Quando l'editore ha proposto una prima tiratura di ventimila copie, i venditori hanno protestato: ma la Tamaro non ne vende più di otto. Questa è la macchinazione. La cosa mi fa rabbia perché quando succede una cosa eccezionale come la vendita di questo libro, invece di capire, si trovano cose strane...». Ha fatto l'elenco delle accuse ricevute: «Che il pubblico è stato istupidito dalla pubblicità. Che il libro è stato scritto a tavolino, da una redazione sulla base di una ricerca di mercato. Che il tutto è solo una versione un po' più elegante di un libretto di "Harmony". E che sono furba. Ma, se lo fossi stata, non avrei vissuto per la maggior parte della mia vita come ho vissuto, senza soldi, senza una carriera di nessun tipo, pur di seguire la mia ricerca letteraria. Perché, invece, non pensare che il pubblico cambia e vuole delle cose, non altre?...». «La maggior parte delle critiche che ha elencato sono fatte in realtà a tutti i best-seller...», ha ammesso Lucia Annunziata. E Susanna Tamaro ha ribadito: «Certo, ma allora dimentichiamo che la letteratura è un genere popolare e che nell'Ottocento gli scrittori erano delle star...». Il best-seller con cui si chiude questa rassegna dei romanzi italiani più venduti negli ultimi cinquantanni è Va' dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, un libro che non si è venduto per un'ossessiva campagna pubblicitaria né per una accoglienza critica eccezionale, ma per un passa-parola vertiginoso. E magari grazie all'odio palese del poeta Giovanni Raboni. Oreste del Buono