I luoghi persi

I luoghi persi I luoghi persi RUSTICI FANTASMI SULL'APPENNINO DI PIERSANTl » I latini lo chiamavano rediI tus, i greci nostos. E' il riI torno dopo il lungo peregriI nare, la casa dopo i molti ~ I bivacchi. Ma qui, nel sesto libro poetico di Umberto Piersanti, I luoghi persi, pubblicato da Einaudi, della casa non resta che la nostalgia, del ritorno non altro che le rovine. I luoghi sono «persi» perché aspri, impervi e abbandonati. Unica a resistere è la memoria. Piersanti è nato a Urbino cinquantaquattro anni fa, ma i paesi più «suoi» sono «rinserrati dentro l'Appennino» rustico e marginale. E a questo cerchio di risonanze (cerchio anche metaforico, di smarrimento e di angoscia), l'io poetico non approda che per ripartire, la sua è una sosta, la tappa obbligata di un viaggio da ricominciare: «Io ancora sogno il viaggio / la fuga che riprende». Nella confessione è contenuta un po' tutta la vicenda («lunga come la vita») di un libro fatto di vicende. Dal racconto più spiegato e persino più compiaciuto della prima parte (Per tempi e luoghi), si trascorre ad una seconda parte più scabra e frammentaria, specie nelle piccole schegge di un'epica famibare appena accennata, ricca di coloriture marchigiane e persino dialettali, idioletto che si fa voce dell'origine e dell'essere. Si tratta di un paesaggio preciso, di una nostalgia pudica e secca, come se l'idillio impossibile fosse leopardianamente rivissuto alla ricerca di nuove modalità. Ma per intanto se ne riconoscono le tracce sparse: il pastore del deserto, la ((torre antica», la siepe, le ragazze che «verso sera / colgono l'erbe buone per la festa», l'aria che «imbruna» o i colli «che tu speri / di sorpassare un giorno». E soprattutto il modello di canzone, il canto che si snoda negli endecasillabi e nei settenari ricchi di contratture. Piersanti lavora su elementi fondamentali: la natura, il tempo, il suo trascorrere colto nelle stagioni di passaggio, la memoria. Ama narrare sillabando la semplicità di un vivere che si snoda nel cerchio o nella cerchia del morire annunciato. Ma è più persuasivo dove contrae la voce, lasciando parlare il suo mondo, specialmente nella sezione Cespi e fiori, che è una specie di erbario, di grimoire popolare, ossia uno di quei libri che aiutano per magia a recuperare l'amore perduto o a trovare l'amore che non si ha, la donna o l'uomo che si desidera. Rituali di attrazione e di ripulsa, misteri del sangue legati ad arcaiche credenze tribali, divinazione e fascinazione, veggenza, demonismo presagio. Sicché la nota finale (partendo dall'autobiografismo dell'io proprio del principio) non fa che tradurre un destino, ombra inascoltata e invisibile diventata il fantasma che «s'inerpica tra i greppi / per l'eterno», in un viaggio per davvero infinito. cide il suo «cacciatore», che si scopre essere una donna, si innamora di una pittrice di scene di guerra, severamente vietate, la quale è arrestata e,- liberata, viene trovata assassinata. A questo punto, Antalo sente la vocazione del Profeta: e annuncia la fine dell'età della pace e la santità della guerra secondo le regole dei secoli remoti, ricordando i versi di Bertran de Born, fattigli conoscere dalla pittrice. Alla fine viene ucciso in una rissa di condominio, ma il suo annuncio trionfa nel mondo. Due sono i piani del romanzo, allora. Uno è quello dell'apologo, che naturalmente si regge sul paradosso della guerra che salva il mondo dai mostri, dai trapianti, dal dominio dell'odio universale, convogliandoli su determinati gruppi, e nei tempi stabiliti, dalle risse continue, dalle crudeltà e degli assassini senza motivo e senza senso. C'è un pessimismo di fondo intorno alla natura umana: che nasce dalla coscienza della storia in cui stiamo vivendo, con gli esempi europei, asiatici e africani sotto gli occhi. Ed è un apologo crudo e di¬ sperato, sotto l'ironia. Poi c'è il gioco della letteratura: e i singoli episodi, come l'esame di scrittore o come la riunione di condominio in maschera per raccogliere firme contro il Profeta, come la descrizione della burocrazia e della polizia di Energia, sono godibilissimi, rinnovando la vocazione satirica di Vassalli, quella de L'arrivo della lozione o. di Mareblù o de L'oro del mondo, certamente fra i romanzi più vivi e duraturi di Vassalli. Ci sono, sì, momenti un poco risaputi, ma il paradosso del libro tiene perfettamente, e l'acutezza della parodia religiosa, ideologica, letteraria, è di grande incisività ed efficacia. In questi termini 3012 va letto e giudicato: e che taccia chi non riesce a capire le battute, l'ironia, il gioco del paradosso. Giorgio Bàrberi Squarotti Sebastiano Vassalli 3012 Einaudi pp. 244. L. 28.000

Persone citate: Bertran, Born, Einaudi, Giorgio Bàrberi Squarotti, Profeta, Sebastiano Vassalli, Umberto Piersanti, Vassalli

Luoghi citati: Antalo, Urbino